È uno dei più bravi attori della sua generazione, sex symbol ma anche artista eclettico che ama la fotografia, la pittura e la poesia e parla pure l’italiano. Viggo Mortensen è stato uno dei pochi veri personaggi del 3° Festival del cinema di Roma da poco concluso. E il protagonista del film forse migliore, il western Appaloosa, di una manifestazione che ha perso la poca anima e utilità che aveva nell’era Veltroni-Bettini diventando un carrozzone di film mediocri dopo spuntano rare gemme (il kazako Baksy, alcune commedie francesi, gli inglesi La duchessa e Easy Virtue), con troppi film italiani (solo due validi, L’orizzonte degli eventi di Daniele Vicari e Galantuomini di Edoardo Winspeare con una brava Donatella Finocchiaro) e pubblico in calo nonostante le ragazzine per High School Musical 3. Mortensen, celebre per Il signore degli anelli di Peter Jackson e A History of Violence, e La promessa dell’assassino di David Cronenbeg, interpreta il vice sceriffo di Ed Harris, che è anche regista di una pellicola ambientata nel 1882, classica nella forma e moderna nei personaggi con donne ben definite. La protagonista femminile (una pianista vedova che non vuole restare sola e in ogni situazione si lega “al capo branco”) è Renée Zellweger, mentre il cattivo è un ottimo Jeremy Irons. Mortensen era anche protagonista del meno riuscito Good di Vicente Amorim dal testo teatrale di C.P. Taylor, nei panni di un professore di letteratura che nella Germania degli anni ’30 si avvicina al nazismo.
«Di Appaloosa mi è piaciuta la storia di uomini e infelicità», ha raccontato l’attore. «È ambientata in un periodo di fine di un’epoca e di cambiamento, un periodo in cui le possibilità erano infinite, le regole stavano cambiando e le persone invecchiavano. Il mio personaggio deve adattarsi al mutamento, si chiede cosa fare davanti agli ostacoli».
– E con Ed Harris?
«È un amico, ci siamo conosciuti sul set di Cronenberg e abbiamo legato molto. Sapevo che era una persona molto attenta ai dettagli e questo mi dava fiducia. Essere diretti da un attore è positivo, perché c’è più attenzione ai particolari. Ma quel che conta è che il film sia riuscito, ben fatto».
– Rispetto ai western soliti i personaggi femminili sono più approfonditi.
«Sì, molto del loro interesse sta nell’essere insoliti. E non solo il personaggio della Zellweger ma anche quello della ragazza del saloon. È un western classico con più attenzione ai comportamenti, ai dettagli, i personaggi sono moderni. C’è un rapporto paritario tra uomo e donna. Ed è poco frequente in un western che due uomini parlino tra loro dell’amicizia».
– Appaloosa non è neanche politicamente corretto.
«Abbiamo cercato di riprodurre l’epoca, documentandoci, guardando le foto del tempo. La gente si comportava così, ma stava finendo l’epoca del West selvaggio e si andava verso più giustizia, più “civiltà”, le cose cambiavano. Il film non dà giustificazioni, mostra soltanto le cose».
– In Good arriva invece a indossare la divisa delle SS.
«Avevo già fatto il nazista in un lavoro teatrale, ma il primo giorno di riprese indossare la divisa delle SS mi ha provocato fastidio. Credevo fosse il caldo o la stanchezza, invece era la sensazione cattiva che quell’abito mi dava. Era retaggio di quel che soprattutto la parte danese della mia famiglia, che ha subito l’occupazione nazista, mi ha trasmesso. Anche qui ho cercato di non giudicare, ma di mostrare come una persona comune finisce dentro questi meccanismi. Non è un film sui grandi fatti ma sulla gente comune. Mi sono chiesto più volte che cosa avrei fatto in quei panni. E cosa devo fare ora nella mia vita. Credo che siano importanti le scelte che si fanno ogni giorno. Ogni governo, anche il più democratico, cerca di farci sentire insicuri e come se i singoli non contassero nulla invece contiamo e dobbiamo saperlo. Allo stesso Obama, se, come spero, sarà eletto, bisognerà ricordare che deve fare ogni giorno le scelte giuste. I politici vanno controllati, non si può delegare tutto per quattro o cinque anni. Rimasi male quando gli americani rielessero Bush nel 2004 dopo i brogli che aveva fatto in Florida nel 2000».
Nicola Falcinella