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Marina Pizzi: Miserere asfalto (afasie dell’attitudine). Seconda parte
Rouault: Tete le Clown, Paris, 1930
Rouault: Tete le Clown, Paris, 1930  
10 Novembre 2008
 

101.

Le puntualità degli ultimi, di chi va alla mensa dei poveri o al guardaroba dell’usato con tutte le possibili e pessime esenzioni elargite dal comune

102.

Le bamboline di pezza nate dall’uncinetto fantastico di una donna qualsiasi in estro di picasso

103.

Il vento detestabile che strappa giù i nidi degli uccelli appena nati, il vento ha la bile invisibile come il peggiore dei serial killer

104.

Salva, te ne prego, un orafo che sappia piacere ai coralli che risistema in mare

105.

Un altro numero è andato e la lotteria è la vergine troia di regime senza giacergli accanto

106.

In prigione il bello del viaggiatore, ti viene a trovare solo chi ti ama e senza pietà ti ama, ti rosicchia di baci una mano l’unica toccabile dietro una balaustra di vetro antiproiettile e antivoce. Ma sei contento più dell’isola di pasqua, qui ti passeggi come al liceo quando ripassavi le pagine, dall’altro braccio della prigione ogni tanto ti arriva un lavoretto da fare e ti ci paghi le caramelle senza zucchero, così ne puoi mangiare moltissime senza danno; il lacerto d’uomo che è il secondino arriva a farti pena tanto è pieno di problemi relativi alla libertà; ogni giorno c’è una cosa sicura e buona da fare e tu obbedisci germoglio di te stesso in un soppresso.

107.

A giugno la spiga è senza inganno, gonfia o pudica il grano è senza nord

108.

Dammi un’aureola di corsa, quasi un neo dietro l’orecchio ch’io finalmente possa udire ogni tira tira  tra angeli e mode di angeli

109.

Accreditami con lo stampo della luna, dammi un pulviscolo d’inedia come per aver voglia d’incontrarti così dopo, ormai, il tempo concesso

110.

A cielo aperto l’aeroplano ingolfa in goffaggine

111.

Entusiasmi di salsedine quando il tempo era piccolo, accoccolato spasmo del primo amore, eternità del perpetuo tuo stare al cambiamento

112.

Dopo le distanze le riparazioni delle ruote per nessun’altra distanza

113.

Con crudele anfiteatro ho visto scempio la curva a gomito di nascere per scempio

114.

Il tuo bavero sta troppo alto per poter inquadrare la giostra, il museo delle salme, l’orgoglio.

115.

Da adolescente la cresima e le novene: nulla di più luttuoso. La prima comunione con le foto e dopo altre foto con il vestito unico, più bello sul rudere romano vicino casa. Oggi le spose vanno al Colosseo per posare in argini di traffico i sorrisi comatosi.

116.

Se provi a dirmi amore ti rispondo che sono di plastica, stipendio da statale, dio di sottobosco, cosce di fiore, àncora di coma.

117.

Ogni numero è l’occaso dell’unico

118.

Se mi dispiaci ti bacerei ancor di più

119.

Dov’è la luna del tuo soppiatto quando ti amai vedendoti di striscio?

120.

Andai a Praga, andai da Franz, posai un sassolino sulla sua lapide, per poco piansi

121.

Oh, sì, m’innamorai spendendoti per qualunque, qualsiasi cosa, cosetta, cosuccia, grande cosa

122.

I numeri speculari sono morti, sono gemelli morti.

123.

Nel tinello della sfinge si consuma tutta intera la Grecia

124.

Di te il bivacco non avrà abitudine

125.

Mondami da questa perpetua nenia, da questa lamentazione che guarda le traversie del dado

126.

E’ un dolcetto lacrimoso che sa di asfittico: o è un diamante più freddo che lucente? Comunque sia, la noia è nota di calcetto verso la prima lattina

127.

E se domani avrò un cognome bello, e se domani

128.

ho sognato di lanciarmi dal balcone, altissimo, freccia in basso e salva!

129.

sai che c'è? è che ti scommetto e ti prometto in vita di latrare verso lo schifo dell'universo e qui mi fermo perché il sostantivo è troppo impegnativo...!

130.

le caldarroste vendute all'angolo del viale premurano un rituale arreso, un crocicchio sgangherato tra un traffico e l'altro

131.

il mio compagno lavora alle fogne della stazione Tiburtina. quando è pulito e il tempo è la luce o la luce elettrica, scrive poesie

132.

il frammento è il lusso del superstite

133.

Tra un busto di gesso e un lamento di marmo, il museo ci rassomiglia

134.

“Sei il mio fiore all’occhiello, sei il mio dono”: solo poche ore fa così, ora ti supplico

135.

La vergogna è lo iato dell’angelo

136.

a scapicollo ti accorro per dirti che il salario verrà di consistenza aumentato, che sul davanzale il basilico è finalmente riuscito a fiorire, che alla bambola-tata è caduta una ciglia ed ora tutto l’occhio è diverso

137.

Con un agguato da primo della classe, il mio compagno di banco mi salvò dal verdetto dello zero facendone concetto

138.

in un intruglio di comete invento l'angelo che non si fa vedere e che ne divento sorvegliandomi mentre ti bacio e ti lasci andare lisca angelicata

139.

con uno sconfinato candelabro si rateizza l'infelicità della luce divisa

140.

sul far della nottata uno scalino è di troppo, porta verso l'incubo con il botanico parlottio delle serpi con le gimcane a mo’ di fratellanze non attese, improvvise che pare sia squisito il mondo. e invece è solo un parere di ossobuco, un canestro dell’ultimo punto verso il sipario.

141.

Il papiro è delle piante della casa, è lungo ed esile come la carta che dovrebbe preannunciare: ma la biblioteca lo sogguarda ad intruso, è sapientona la biblioteca, è già scritta, ascritta, inscritta senza sapere che ad ogni lettura il papiro è un po' bianco, un po' convertito ad altro, sconveniente o conveniente sull’attrito del comunque senza recupero. La schicchera della campana elabora il suono dell’ennesimo morto; la nascita, invece, la annunciano con un fiocco facoltativo appeso al portone: presunzione della sicurezza. Certo anche il morto può non essere annunciato come il nuovo vivo.

142.

le migliori stagioni dell'occiduo sono il duetto delle terme d'acqua con i fagotti di sguardi tutti chiusi.

143.

in un cumulo di addendi il mulo della disfatta, lo sfinimento del lancio del dado: non chiamarmi più dal sottraendo della vendetta senza vedetta.

144.

consunzione e verdetto lo sposalizio che avviene di continuo al costato del crocifisso, l'avvenenza della supplica non basta a largire una cometa allo sguardo domiciliato eremo di pianto, cambusa con la ruggine questo pastrano sciatto, giostrato da ogni tramontana

145.

l'eroe è stato dimesso con prognosi riservata, domani farà il mozzo nel sillabario degli ultimi. l'aculeo del vuoto ha vinto su ogni agguato. nessun mito renderà pingue la lira del poeta che, anzi, finalmente, smetterà  la furia di commettere voli con atterraggi di fortuna.

146.

Nessuno e niente è in grado di colmare un vuoto che si postilla quale stima miserrima di sé, attori e attrici professionisti di grado zero affollano la tara del salotto.

147.

Dentro una giara d’olio siciliano, Pirandello sbottò un personaggio, io resto con un’oliva in palmo e mormoro blasfemie infantili quali un rigagnolo di ignominia senza foce né delta di amorose rendite.

148.

E’ bello conoscere un dirupo, sconfinare per porsi irrimediabili, quasi felici verso.

149.

In uno scantinato il verbo di privarsi d’ogni scontento.

150.

E del verbo il cranio, l'io ignudo senza identità, finalmente

151.

Era un mansueto andirivieni di foglie alla caduta all'alzata del ceppo, infine quando non serve badare un corollario di eventi la morte data, ormai.

152.

È qui che mi si dà il soqquadro dell'amarezza al tasto che tutto può nei tasti gemelli di genesi con esito diverso. Si formano le parole e le guardo nel leggerle con la fratellanza del mito, con il polso gonfio di evocarle musiche al calendario da stracciare a poco a poco.

153.

Alla bocciofila c'è un'unica donna campionessa di lancio e di stecca quando gioca al biliardo. E’ molto ammirata, ma lei, ormai, è l'ultima rata di donna, un siluro di pianto nonostante nessuno la senta o veda la sua furia. In spirito si sente ragazza e questo la uccide ben più della incipiente vecchiezza. Tutti la sogguardano e la trattano con rispetto un po’ amoroso. Lei lo nota e se ne accontenta in nota, nota di sé, oramai.

154.

Rampe per alienati queste linee inclinate verso l’ospizio dove ridono e si disperano tutti i nati dati per alieni appena dopo.

155.

Era un collo in fato di bambina, era un crollo in fato di ragazza, era uno scorporo in fato di donna.

156.

Lasciami addosso la nuca di piramide che non toccherà dio

157.

Desidero un grande amore felicemente impossibile

158.

oscenamente binario dalla morte alla vita dalla vita alla morte

159.

oscenamente doppio oscenamente triplo

160.

sull'io che correggo incontro tutti, quanti non so, ma sono molti, tutti

161.

di te non restano strutture ossee né pagine ossesse né vanità

162.

si raccolse a feto e tutto escluse per un ritorno di lusso impossibile o addirittura svanente al non essere

163.

con un marsupio da bambino volo al tavolino per scrivere chissà

164.

l'ospizio ti risvegli le pupille e il mare

165.

attore di collaudo questo antidepressivo modo di stare nel mondo l'antidoto

166.

L’archivio delle onde è certo dissolvente

167.

Cristo sta bene nelle poesie, poverocristo

168.

La poesia quale disappartenenza

169.

nella chitarra di te nemmeno un senso sopravive al liceo

170.

aspirantina è una ragazza che aspiri a diventare monaca. in colonia dormiva accanto all'angolo velato della responsabile di turno; era come noi ma diversa. io ero piccola, lei un po’ ragazza. io mi specchiavo nei vetri delle finestre, lei mai. gli specchi erano banditi. una volta feci le scale in ginocchio per chiedere la guarigione di mia madre. ero credente per tumulto. oggi ne ho un ricordo vago, quasi filmico, muco da rincorrere con il fazzoletto nelle cornici vuote.

171.

in un sepolcreto di crisi ho visto l'ombra

172.

era maschio il vento era corallo la femmina lenita da un adempiere di baci, ma non bastò questa felicità al lutto di non arrivare nel vano della porta nel tramestio del cane che sa in anticipo

173.

da una mansarda ho figurato il mondo cellula d'occaso sterminio in via di senso

174.

con le gote paonazze appena in tempo si salva in un portone. non ha commesso niente, ma è terrorizzato. si sente un latitante con un cuore di prigione con una gola di galera. appena in tempo su un altro assalto di panico, apre il portone e corre fuori fingendosi lieto, composto con destinazione. una lapide sul petto sarebbe più lieta. ma deve fingere, fingere per non storpiarsi le mani e i piedi.

175.

in un cantuccio di piazza finge d'innamorarsi. in tasca ha un libro intonso, solo senza occhi. forse non lo leggerà. troppi fogli legittimi, ordinati. il suo, invece, è comunque un tumulto, un rancore in un cantuccio senza requie. si deve ricordare di fingersi o credersi innamorato. questa è forse la resistenza. sua madre se ne accorgerà e tutto finirà senza vendette né vedette d'altro o d'altrove. è bello fingersi di vivere, dopotutto.

176.

c'è un segno di divieto, ma lei se ne frega. vuole gareggiare col purgatorio, vuole essere motoria ben più oltre. atleta, sì! e con il fioretto usato ad arte. non è mica da tutti fronteggiare gli elementi equorei aerei materiali. lei può farlo: è un grido di fioretto. ora si trova nella strada delle ambasciate e i divieti qui si rispettano nonostante il fioretto. torna a casa con un visto appena in tempo senza esecuzione.

177.

sull’asse della voce ho visto la tua felicità cantare la fionda della scoperta

178.

verdetto di elemosina guardarti

dalle centurie del panico dal veleno

così le norme del piangere

l'età cattiva

bandita da una comica arsa

banconota fuoricorso.

179.

in un mondo di percosse, l'attore incorre nella sanzione di figurare amore, le corazze indossate vanno tutte a pennello e la gente è sicura.

180.

nella maestria di una tenebra possa risolversi la mia vita. una bravura da sprecare a caso, una scontrosità di bambina da far tenerezza. in questa strenna non vi saranno veliero né chiave di fortuna. tutto finirà dolcemente senza impronte digitali.

181.

in un far di stoppie il breve di una stasi

182.

in convitto con il lento occiduo

nessun ristorante appello a far di pace

183.

un promemoria per piangere di meno quasi a ricordarselo dal momento che la spezzatura del cerchio correre si arena rotola

184.

salite le montagne da confinati stagni

non fu uscita non fu entrata la stanza del respiro.

in mano alle veneri del sale così senza sorriso

il sorso del vetusto scarabocchio

il solco della scuola da disperdere.

remote le caviglie sul far del moto

e non basta la corsa dietro al cerchio

la perennità dell'orologio

la ninnananna logica del vinto

185.

è lavarsi i denti con la soda caustica, incidente da non augurarsi, ma ritorna medesimo nella scrittura di evocarlo, starlo a sentire a tormento, un'erbaccia invadente. con la mestizia delle forbici controllare di non starci, andarsene alla larga senza né arte né parte, apolide il petto senza battiti. questo scontento non basta ad avere una distanza, una discordia da conquista della fuga. qui si resta in gara con la fotocopia.

186.

domande d'offuscamento, un crepitio di rena senza mare, questo è dato oramai. il gerundio della staffetta senza altri atleti, si sta soli, agende da non sfogliare. un salvacondotto per rimanere condannati.

187.

domani comprerò il detersivo adatto per mantenere più soffice la lana

188.

vieni da me con un inguine di spranga così mi ucciderai in intimità brevettandomi una scaturigine di pace pur con la pece del senza-senza il senza finalmente.

189.

le rupi delle suole, così difficile il giorno

nel prontuario del cerchio

le medesime ragioni sismiche

le medesime origini medesime

ma non parte la ruota

questa taccagna enfasi di niente

190.

un eremo la contentezza del portico, guardare il sole con la lente d'ingrandimento e non averne buio, anzi la solita fanciullezza con il cerchio da correrci

191.

un cane smilzo, picchiato e tardo

così è tutto il fatto della carta

nonostante l'accademia e l'epica delle giostre.

amanuense adesso la stamberga chiami

le stanze nude delle rese intese

dal bavero del fagotto.

un lusso di detersivo per la lana

questo l’inverno di chi in pista

è doppiato da nugoli asprigni.

192.

singhiozzo d'eremo voglio la giostra

scampata dalle ronde dei millenni

spampanata a mille a mille petali

per la stranezza d’un notturno nomade 

193.

era l'autunno il vuoto della siepe

194.

i libri stanno in cantina ma non la svelano né la soffitta in apice leggera

195.

il frammento del frammento ed è il numero

rapacissima cometa di finito

196.

a cottura ultimata la minestra

nella scodella fuma per felice

questo coltello mite di bisaccia

197.

un fatto, un’alienazione da urto tra le somme della spesa

198.

attendere è più forte del tormento proprio.

199.

i prezzi li hanno raddoppiati e la pace è nera.

200.

è finita la sintonia, è finita la simpatia in una pagliuzza di cimelio.

 

Marina Pizzi


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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