Timeo danaos et dona ferentes. Continuo a temere, a diffidare, a essere, insomma, fieramente contraria a qualsiasi elezione diretta di qualsiasi carica monocratica al vertice delle istituzioni, anche in presenza di doni così cospicui come quello che ci ha gratificato in questi giorni. È innegabile l’enorme portata simbolica delle elezioni presidenziali statunitensi. Un risultato costruito nel tempo,col paziente lavoro di tecnici pubblicitari e delle tecnologie digitali legate al computer, guidati dall’intelligente intuito di menti esperte nelle diverse articolazioni della conoscenza, capaci di interpretare gli umori diffusi nei vari strati della popolazione convogliando, coinvolgendo, accrescendo le spinte antibush verso un obiettivo poliedrico in cui tutti (e tutte...) i fautori del cambiamento potevano riconoscersi. Gli afroamericani in primis: come si fa a non correre a votare? le origini comuni… la nonna… La scommessa: un “uomo nuovo”, apertamente contro la guerra in Iraq, apertamente per l’aborto, per i diritti civili, in camicia bianca, comunicatore di entusiasmo… ma afroamericano! Come questa scommessa poteva non infiammare i giovani facendo loro apparire estremamente vecchio, bushiano, nonostante ogni patetico tentativo di prenderne le distanze, il mondo di McCain? Queste atout erano del tutto interdette alla candidatura di Hillary, donna, sì, con elementi ben giocati di femminismo, ma complessivamente indeboliti dalla sua appartenenza a un establishment asessuato in quanto maschile. Hillary sarebbe andata bene se si fosse mirato al normale elettorato statunitense, limitato agli/alle appartenenti alla classe media, in assoluta prevalenza “bianca”. Ma queste elezioni dovevano essere “diverse”, perché troppo gravi erano state le scelte politiche dell’amministrazione Bush e troppo gravi le conseguenze di una politica economica che -non da oggi- aveva cominciato a tradire il sogno americano. Non solo gli stati, ma le persone -tutte- dovevano andare a deporre nell’urna il loro NO alla politica delle guerre, degli embarghi, delle torture consentite, della noncuranza dei vincoli ambientali, il loro SÌ a chi parlava del valore dell’istruzione per tutti, degli aiuti economici ai più deboli, di un’America che non intendeva più proporsi come padrona del mondo…
Alla campagna elettorale di Obama va riconosciuto questo grande merito: l’aver promosso la centralità di valori etici come la giustizia sociale, l’accettazione delle diversità, l’emancipazione legata alla propria formazione culturale, valori incarnati dalla sua persona, dalla sua famiglia.
I discorsi di Obama non erano in sostanza molto lontani da quelli pronunciati dai Kennedy, dai Clinton, dalla tradizione dei candidati del Partito Democratico, diversa e nuova fu però questa volta la loro credibilità…
Ma al di là dei consensi delle masse degli afroamericani e dei tanti giovani, a Obama sono andati anche i molti voti degli uomini e delle donne del Partito Democratico, di quel “centro borghese” abilmente convogliato verso la figura dell’uomo nuovo che, coi consensi portati in dote dagli altri strati della popolazione, avrebbe garantito una vittoria non scontata...
Si tratta di quel ceto chiamato ora a sostenere l’azione di governo del nuovo presidente, ceto rappresentato dai poteri forti su cui egli dovrebbe poter contare nella lotta coi poteri economici di marca repubblicana.
Si dice che un prezzo Obama si stia apprestando a pagarlo (ma si tratterà davvero di “un prezzo da pagare” o non piuttosto di decisioni in linea con una sua reale idea di un programma politico di cui finora non si è parlato apertamente?).
Koffi Annan e Nelson Mandela, in qualche modo, docent…
Il fervido e tenace lavorìo per portare col voto popolare un uomo nuovo, non bianco, nella vecchia roccaforte del razzismo mondiale, è la testimonianza di una complessa iniziativa politica e culturale della cui esistenza negli USA non possiamo che compiacerci.
Resta tuttavia, il fondato timore dell’uso strumentale di masse allettate da un apparente protagonismo in merito a scelte di portata carismatica, ma sostanzialmente asservite al dominio narcotizzante dei linguaggi pubblicitari che determineranno sempre più nei tempi futuri ogni elezione diretta “nelle mani” dei cittadini.
Antonia Sani