«Chi definisce storpio un portatore di handicap, terrone un meridionale, frocio un gay già discrimina quella persona» (Vladimir Luxuria).
E se dicessimo tutti di essere un po’ froci? Per disinnescare l’offesa, ma anche per mettere le mani avanti. I militanti di Forza Nuova, quando, per protestare contro il gay pride, hanno tappezzato i muri romani di manifesti con su scritto “L’Italia ha bisogno di figli non di omosessuali”, e hanno esibito striscioni come “Il Colosseo ai gay? Coi leoni dentro”, non hanno certo avuto bisogno di sostituire gay e omosessuale con checca o frocio per far arrivare forte e chiaro il loro becero messaggio omofobo.
Il linguaggio manifestamente offensivo induce, se abbiamo un po’ di fegato, a portare alla luce il problema, a sollevarlo: è un nemico esterno ed è per questo che ci fa reagire. La finta solidarietà di chi vorrebbe mascherare la forma dell’offesa, infischiandosene in pratica della sua sostanza, è un nemico più difficile, più insidioso da combattere: è un nemico interno, ed è per questo che ci può fregare.
Certo però che portatore di adipe e verticalmente svantaggiato, rispetto a grasso e basso, sono tutta un’altra cosa. Quasi quasi mi faccio convincere: “diversamente sessuale” (già circolante sul Web), “diversamente orientato in materia sessuale” o, che so, “diversamente portato a manifestare il proprio orientamento di genere”?
Massimo Arcangeli