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Aglaia Viviani: lettera ad Alessandra Borsetti Venier sull'intervista a Vittoria Franco
07 Novembre 2008
 

Cara Alessandra, ti mando un pezzo che mi hanno chiesto gli alunni per il glorioso giornalino della nostra scuola. Occupazione, lunedì sera. Io e la mia collega usciamo stravolte dall’assemblea cittadina al palazzetto delle esposizioni, e decidiamo di passare a vedere cosa combinano i nostri ragazzi e le nostre ragazze. Per tutto il fine settimana ho pensato a loro, chiusi in quell’edificio convertito in scuola da una poco lungimirante politica. Adolescenti reclusi a discutere e a lavorare mentre fuori si respirava, estemporanea, l’aria primaverile e una gran voglia di correre, di uscire a divertirsi. Solo per questo sacrificio andrebbero rispettati, mi dico.

 

Dormono tutti insieme in sacchi a pelo sul pavimento della palestra, entusiasti e animati dal senso della giustizia; forse più simili all’Ordine della Fenice di Harry Potter che a sessantottini barricadieri. Occupare un Liceo non è tutta ‘sta pacchia che uno potrebbe immaginarsi: e infatti “ai miei tempi” (eccola, la frase da quarantenne disillusa) mai e poi mai ci saremmo sognati di sacrificare un fine settimana di sole; se proprio dovevamo scioperare, sceglievamo di preferenza i giorni più gremiti di compiti di greco e interrogazioni di matematica. Invece queste ragazze e questi ragazzi del 2008 mi spiazzano con il loro impegno e la loro coscienza politica. Mi hanno meravigliata l’acutezza delle questioni postemi dalla terza B linguistico, le motivazioni forti di alcuni alunni del Classico che mi hanno fermata in corridoio prima dell’assemblea di venerdi. Ho ritrovato nell’impegno civile la stessa serietà che impiegano nello studio – e non è poca: questa è ancora una scuola dura.

 

A fine mattinata ho portato delle pizze agli occupanti, perché capissero che non sono soli; ma non mi sembra abbastanza. Il comunicato stampa scaturito dall’assemblea dei docenti di stamani è un buon inizio. Ma non è abbastanza. Gli studenti del “Virgilio” stanno protestando anche per i loro coetanei (i quali, invece, si sono goduti – eccome! – il sabato e la domenica, andando in giro grati dell’inaspettata sosta didattica), per le generazioni più giovani ancora prive di voce, e per noi adulti che sembriamo aver dimenticato come si fa. La loro voglia di agire, di esporsi, di correre dei rischi, mi ha fatta vergognare della pusillanimità paciosa nella quale spesso noi docenti ci adagiamo. Questi ragazzi e queste ragazze sono riusciti a diventare soggetto unitario, malgrado li caratterizzino idee molto diverse, affinché una protesta fortemente politica rimanesse apartitica e trasversale. Hanno contrapposto alla fumosità inconcludente delle chiacchiere la concretezza del rimboccarsi le maniche. Non hanno creduto a chi diceva loro che protestare non serve, e che il mondo non si può cambiare: proviamoci, hanno risposto, con gli occhi e l’anima limpida dei sedici anni. Si sono autodisciplinati con regole ferree e turni (di pulizia, di sorveglianza…), perché non accadessero incidenti. E scusate se è poco, mi dico, mentre la mia collega parcheggia la Peugeot sotto le finestre della presidenza.

  

Stasera ci sono due gruppi rock che suonano (bravi davvero, tra l’altro). Musica loro, e poi cover dei Clash e dei Ramones: un sottile filo musicale fra le generazioni, perché c’è sempre musica dove qualcuno cerca di cambiare il mondo. E di colpo mi commuovo come non mi succedeva da anni. Perché il “Virgilio” è il Liceo dove ho studiato; perché stasera all’assemblea cittadina c’era in prima fila la mia fantastica insegnante, idealista come allora anche sull’orlo del pensionamento, e dietro di lei una fila di ginnasiali con le menti ben sveglie malgrado gli occhi assonnati; perché appena gli occupanti ci scorgono da lontano è tutto un sorridere e chiamare come quando si ritrova un vecchio amico; perché penso ad un alunno dal sorriso gentile che è mancato in settembre, e mi domando se anche lui se sarebbe qui. Questi ragazzi e queste ragazze non sono pericolosi sovversivi, rifletto, ma un gruppo di gran belle persone con la testa piena di sogni e il desiderio di vederli realizzati, com’è giusto essere alla loro età; chi li accusa ha perso di vista il senso della vita.

  

Decido che domani porterò qui i miei figli, perché vedano, imparino, ricordino. Grazie, virgiliani del 2008: grazie, perché stavolta siete voi che insegnate. E grazie per avermi chiesto di unirmi, con questo pezzo, alla vostra voce.

 

Aglaia Viviani


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