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Fabio Barcellandi presenta "Nero, l'inchiostro" a Chiari (BS)
Fabio Barcellandi
Fabio Barcellandi 
07 Novembre 2008
 

Domenica 9 novembre alle ore 15:00

presentazione della silloge

Nero, l’inchiostro

di Fabio Barcellandi

Rassegna della Microeditoria

Studiolo del Conte, al 1° piano di Villa Mazzotti

Chiari (BS)

 

Laura Bagarella intervista Fabio Barcellandi e leggerà alcuni brani tratti dalla raccolta.

 

 

Nota sopra “Nero, l'inchiostro”

 

Penso che l’evento più saliente della vita, quello che volutamente ci scordiamo, sia la sua fine, cioè la morte.

Ora parlare di un tema così delicato, al punto che la mente umana lo accantona per poi riprenderlo in occasione di decessi altrui o in prossimità del proprio, non è certo cosa facile, quasi da scongiuri verrebbe da dire se si volesse ironizzare volando bassi.

Invece l’argomento ha la sua dignità e la sua logica, tanto che in altri autori, scrittori o poeti, assurge a protagonista.

Fabio Barcellandi, in questa sua seconda silloge, si propone come antagonista in un dialogo con la signora dal nero mantello, a diversi livelli di discussione, ma penso con un’unica finalità, quella di esorcizzarla.

Il tema ricorre anche quando apparentemente il percorso è diverso (io sono/ un fiore/ d’esser colto/ in attesa di/ morir/ fra le tue mani); si potrebbe pensare a versi rivolti a un’amata fanciulla, ma non è così, perché invece è un abbandono totale all’ultimo passo, quasi un invito alla dolcezza dell’atto stesso con cui finisce la vita terrena.

A scanso d’equivoci, c’è addirittura una lirica dedicata alla morte (“Morte”), curiosamente contraddistinta da versi costituiti da una sola parola, quasi un sillabare devoto a chi è più forte di noi.

Per non parlare poi di “La Morte”, assai riuscita nella sua completa essenzialità (canto/ d’amore/ per la vita/ ché tutta per sé la vuole). L’antitesi è fra il positivo (la vita) e il polo opposto che è la morte, una belva sempre vincente nella tenzone.

Ma poi ricompare il pessimismo che comporta inevitabilmente il parlare di qualcosa di certo e definitivo come una dipartita e allora i versi si tingono di malinconia, di una rassegnazione pacata propria di chi sa che a nulla serve opporsi (Ho paura/ So già che morirò/ il giorno in cui accetterò di voler vivere/ …per sempre!/ E ciononostante ho paura).

Si scopre, però, l’arcano di questa consapevolezza meditata nei versi che si susseguono, volti a lenire il fato, e nella speranza che esista un dopo. Del resto, in tutte le religioni la finalità è di provvedere a una vita, se pur diversa, dopo che quella che ci siamo portati appresso per tanti anni se n’è andata (da “Resurrezione” - …/ non la fine dunque ma l’inizio / sì).

Eppure, il tema della rassegnazione è come un refrain, e lo troviamo anche nella bella “I vecchi”. Forse di fronte all’unica certezza che a un certo punto la vita finisce, il timore che poi ci sia solo il vuoto si riflette nella consapevolezza della nostra caducità, in questa impossibile lotta da cui già sappiamo che usciremo sconfitti. La malinconia non è tristezza, non è dolore, ma è il trovarsi bambini separati dalla mamma senza possibilità di ritrovarla, è il riconoscersi deboli quando spesso ci siamo atteggiati a forti senza esserlo.

E la conclusione, l’ultima poesia è dedicata all’antitesi, alla vita (un grido/ fino a perder/ la voce/ a diventare assordante/ …così/ assoluto silenzio), ma finisce con l’essere l’ennesimo tributo alla morte, in questa esistenza che per sempre si spegne.

Da leggere, senza lasciarsi impressionare, ma riflettendo affinché ci si renda conto di quanto ogni vita meriti, sempre, di essere vissuta.

 

Renzo Montagnoli

 

 

 

Intervista a Fabio Barcellandi

a cura di Renzo Montagnoli

 

A settembre è uscita questa tua silloge (la seconda dopo Parole Alate), dove si affronta un tema del tutto particolare, anche se naturale: la morte. Ci vuoi parlare di questa tua raccolta di poesie, spiegandoci anche perché è imperniata su questo tema?

Buona sera Renzo e ben trovato, è un vero piacere e ti ringrazio per questa bella opportunità. In effetti ci eravamo lasciati solo pochi mesi fa parlando di Parole Alate e di nuovi - “scaramanticamente” indicibili - programmi letterari in corso. E ora, eccoli qua, concretizzati: Nero, l’inchiostro, carta canta!

Perdona l’eccesso di emozione, ma è davvero grande in me la gioia per questo risultato, che oltre a una nuova pubblicazione, mi porta alla vittoria di un premio letterario, il premio Solaris dedicato a opere poetiche, sillogi e poesie singole delle Edizioni Montag.

Il perché sia imperniata sulla morte è un po’ complesso e non è chiaro fino in fondo nemmeno a me, forse, e comunque non potrà esserci un solo perché.

Della morte abbiamo paura e quindi ne parliamo per esorcizzarne il timore. Dalla morte siamo affascinati e ne parliamo per renderle omaggio. La morte la subiamo e allora ne parliamo per convincerci di averne il controllo. La morte la cerchiamo e ne parliamo per farlo sapere. La morte la scegliamo e ne parliamo per farci coraggio. Dalla morte fuggiamo e ne parliamo per non sentire i suoi passi alle nostre spalle. Io credo di aver provato e provare in tempi alterni simili “fasi” e ho voluto metterle nero su bianco per comprenderle quanto meglio potessi. Per familiarizzare, forse, con una parte così importante e definitiva della mia vita. Possibilità che la poesia offre e che ho voluto cogliere a questo giro di boa che sono i miei primi quarant’anni.

 

È quindi indubbio il fine scaramantico del parlare della morte, mentre in altri autori è una presenza costante, determinata da un innato pessimismo che tende a considerare la vita un transito di sofferenza e la morte una liberazione. In particolare mi riferisco a un poeta famosissimo, il nostro Giacomo Leopardi. Sei d’accordo?

Sì, e no. È vero, è indubbio che ci sia anche un fine scaramantico nel parlare della morte, ma è altresì innegabile che sia una presenza costante in me come autore, che sia determinata da un innato pessimismo o meno, credo diventi ininfluente, anzi, non è proprio così se il metro è Giacomo Leopardi. Io letteralmente adoro Leopardi, per tutto ciò che ha scritto, non solo ne I Canti, e a mio modesto avviso tutto ciò che ha scritto non è affatto ascrivibile a un pessimismo “cosmico”, quanto piuttosto a un innato e sano realismo. Chi ha un minimo di esperienza di vita vissuta, non potrà non trovarsi d’accordo con lui. La classificazione “pessimista” potrà forse andar bene a livello scolare, o quanto meno “potrebbe” giustificarsi a quel livello. Ma la vita non è affatto quel rosa giardino fiorito da cui ci saremmo fatti cacciare, ahinoi, è molto più complicata di così.

 

Ti sei fatto un’idea sul “post mortem”, cioè al di là di quella che può essere la fede religiosa, pensi che finisca proprio tutto con la morte o che possa esserci un dopo, ovviamente non documentabile?

Mi sono fatto moltissime idee sul “post mortem”, troppe forse e me ne faccio tutt’ora, continuamente, attraverso fasi simili al mio approccio alla morte. Ciò che ritengo da tutte queste speculazioni è che sì, ci credo, io credo che ci sia sicuramente qualcosa oltre la morte, ma certo non potrei dire cosa o forse potrei, perché no? Ma niente che sia mai minimamente documentabile!

 

Questa tua silloge comprende testi poetici, ma anche alcuni aforismi, quelle massime che considero perle di saggezza. È un inserimento voluto per dare respiro al testo oppure per meglio puntualizzare i concetti?

Perle di saggezza? Ti riferisci agli aforismi in generale, vero? Non certo ai miei scritti. Sì, in effetti ci sono testi poetici e “aforismi”, ma la scelta è dettata dall’ispirazione, null’altro. Nessun calcolo e nessuna decisione a monte. È più semplicemente il diverso materiale che ho composto nel tempo sull’argomento e che mi sono ritrovato all’atto della cernita per la composizione della silloge.

 

Ti propongo una domanda che ti ho fatto in occasione di un’altra intervista e a cui tu hai risposto genericamente. Quali sono i poeti, e quindi non solo Leopardi, che hanno esercitato su di te il maggiore influsso e per quali motivi?

Chi la dura la vince! E sia, ne parlerò. Abbiamo detto di Giacomo Leopardi, direi che l’influsso maggiore lo abbia esercitato la sua chiaroveggenza, che nulla ha a che vedere con la magia né con arti esoteriche, sia chiaro, ma solo con la grande lucidità con cui ha compreso la realtà circostante. Aggiungerei Ugo Foscolo, per I Sepolcri, non certo per un autoincensamento o un’autoesaltazione, non c’è niente di lui nel mio scrivere, ma solo per una sintonia di argomenti e perche’ li ho tanto amati. Salvatore Toma, per il suo Canzoniere della morte, sono rimasto affascinato dalla sua “poetica” personalità’. Dario Bellezza, che tanto parlò di morte ancor prima che diventasse una “presenza costante”, ma che dire della sua poesia? Incantato. Cesare Pavese, Pier Paolo Pasolini, Alda Merini, Antonia Pozzi, Amelia Rosselli, Sylvia Plath, Ted Hughes, Emily Dickinson, Edgar Lee Masters, Umberto Saba, Federico Garcia Lorca, Edgar Allan Poe, Nicanor Parra… credo che se proseguissi, alla fine li citerei davvero tutti. Non era una risposta generica, la mia, quella che ti ho dato in un’altra intervista, era una risposta vera, sentita. Ogni poeta conosciuto, letto, studiato, ha saputo darmi qualcosa di se stesso, della sua visione, del suo mondo, della sua poetica, lampi, sprazzi, illuminazioni, epifanie, certo, ma questo è, la poesia.

 

Una domanda di carattere generale, ma pertinente: che cos’e’ per te la poesia?

Una risposta di carattere generale: è tutto!

Che posso dire? Questo è per me, ma se vogliamo limitarci all’ambito della scrittura, la tua Renzo non è affatto una domanda di carattere generale, la tua è La Domanda, delle domande.

La poesia è la parola, anche una sola parola può essere poesia, ma non una parola qualunque, ma solo ed esclusivamente quella parola, quella che sarà in grado di fare luce su tante altre che aspettano nascoste dietro di lei. La parola è la chiave che ci permette di aprire le porte di un universo parallelo ma di cui noi siamo l’emanazione, noi stessi a nostra volta e le cose, parole. Ne basta una e se saremo fortunati – ma non solo, dicevamo in un’altra occasione dell’importanza della lettura come abitudine, frequentazione, “educazione” alla parola – essa farà e sarà luce, lampo, illuminazione, epifania a mostrarci “nuovamente” l’uomo e il suo mondo, sotto una diversa luce. La poesia è un certain regard!

 

L’aver pubblicato (questa e’ la tua seconda pubblicazione) ha cambiato in qualche modo la tua vita e magari anche ti ha permesso di vederla con occhi diversi?

No, sinceramente e fortunatamente devo dire di no. La mia vita non è affatto cambiata, lo aveva già fatto la poesia quando vi è entrata!

 

L’occasione per pubblicare con Montag è stato l’aver vinto il Premio Solaris Edizione 2008. In precedenza l’editore della tua opera prima Parole Alate è stato Cicorivolta.

Come ti sei trovato con Montag e, rispetto a Cicorivolta, quali sono gli elementi più qualificanti e quelli meno?

Vero, tutto giusto, ma credo di non poter rispondere a questa domanda, o meglio, in parte lo farò comunque, alla prossima. Per ora è troppo presto per poter fare un bilancio o una valutazione in merito all’esperienza con Montag per cui il libro è uscito davvero da pochissimi giorni, lo ricordo, il 22 di settembre. Naturalmente sono molto felice e orgoglioso per l’opportunità di questa collaborazione che già si preannuncia assolutamente qualificante e arricchente.

Con Cicorivolta mi sono trovato, ci siamo trovati, più che bene, tant’è che… ma questo sarà appunto l’argomento della prossima risposta.

 

Fino ad adesso abbiamo parlato del passato e del presente, quindi direi che si può passare al futuro. Ci sono progetti letterari e, se sì, ci puoi fornire qualche anticipazione?

Progetti letterari per il futuro ci sono, sì, sarebbero stati l’attuale presente, se il fato non ci avesse messo il suo zampino portandomi alla vittoria del premio Solaris.

Stavo giusto valutando una proposta di Cicorivolta per una nuova pubblicazione poetica da farsi a novembre e così, ho dovuto giocoforza mettere questo progetto in stand-by, ma sono certo che tornerò a parlarne. Tu Renzo porti fortuna!

A presto, quindi, ma non troppo.

Grazie ancora una volta per la tua gentile ospitalità e la splendida opportunità di confronto.

Grazie a te per la pazienza nel rispondere alle mie domande e auguri per questa tua nuova silloge.


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