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Una tragedia quasi comica: Giovanni Esposito e i personaggi di “Fincostassù”
05 Novembre 2008
 

Martedì 4 novembre, in occasione del 42° anniversario dell’alluvione di Firenze, è andato in scena, al Teatro “Everest”, di Via Volterrana, lo spettacolo Fincostassù di Alberto Severi.

Il testo, allegro e brioso, racconta la tragedia imminente, in modo paradossale, attraverso il racconto comico e poetico dei personaggi. Il dramma non visibile è rievocato attraverso i versi di Pascoli Un bubbolio! Un bubbolio… lontano… che irrompono nel canto di vita: Scende la pioggia ma che fa, crolla il mondo addosso a me per amore sto morendo…

L’attore, Giovanni Esposito, nelle sue performance, offre ancora una volta un saggio della sua bravura, calandosi nei panni di personaggi che si raccontano nella normalità giornaliera ora nelle vesti di Carlo Maggiorelli a dialogo telefonico con Franco Nencini, giornalista della Nazione per parlare del suo lavoro e della sua responsabilità: Gli è un lavoro di responsabilità, davvero. E i’tturno di notte e’ mi capita spesso. Allora sa icchè fo? E’ mi porto un tèrmosse di ‘affè, che mi resta quasi cardo. Un po’ di pane ‘olla finocchiona. Una birra splugen o per rievocare con forte afflato emotivo la sua Firenze: (Sorride e il suo sguardo si perde nel ricordo) D’estate, a quell’ora gli è ancora chiaro. Mi garba. Vedo i’ tramonto sulle colline […]. E invece d’inverno, quando parto da Pozzolatico sulla collina gli è di già buio da un pezzo. Mentre scendo colla Sita, vedo tutte le lucine di Firenze che brillano, nella vallata, e mi piglia uno struggimento a i’ ccòre…E aggiunge incupito: E ‘nsomma, appena arrivato da Pozzolatico sulla collina, gliò visto che di là dall’albereta i’ffiume gli era quasi a pparo, raso raso. Passava lesto esagerato, parea un fiume da “Oggi le comiche” di Ridolini, e nella ‘orrente porta tronchi, rami secchi, bidoni, assi di legno, perfino una bestia morta; ora nelle vesti del maresciallo dei carabinieri mentre dice fra sé, pensoso: Le sette e ventisei… Dì quattro novembre sessantasei. Giocali a i’llotto, Anfuso, codesti numeri; ora nei panni dell’evaso l’mmerda e del suo dialogo col professore Fulvio Pappalosa dove la tragedia si tinge di grande umanità e diventa messaggio di vita: impressionato dall’ospitalità del professore e moglie, l’mmerda gli chiede meravigliato e commosso: perché lei, professore, ci tratta così bene? Sa, io mi picco di trattare chicchessia da uomo, con umanità. Mi dispiace soltanto che voi, poveri ragazzi, non ci siate più abituati. E poi, a guardare bene, siamo noi, vero Adele? Che si deve ringraziare voi. Uno dice: delinquenti, criminali, con rispetto parlando. Carcerati, ergastolani… Ci si dimentica che prima, prima di tutto, dico, tutti siamo uomini. Forse, ci voleva l’alluvione, per farcelo ricordare… ora nei panni di Polvere, un vecchio polveroso: io son rimasto l’ultimo cenciaiolo, Sebastiano Trallori, detto Pòrvere: E ppe ‘rridere (vi racconto) la barzelletta dell’omino bigotto che confidando nell’aiuto del Signore, affoga e poi anche in Paradiso… Va in Paradiso un po’ incazzato, si presenta a mmuso duro a i’pPadreterno, e gli fa: “O allora? O ccome sarebbe a ddire? ‘Un c’è più rreligione! Ma ccome! Ti son sempre stato devoto, ho pregato e ripiegato ‘tu mi salvassi dall’alluvione, e te ‘un tu m’ha ascoltato e tu mm’ha fatto morire?!” “O bischero, gli fa i’pPpsdreterno, ma che vagelli? Occome ‘un t’ho ascoltato? Tre barconi, t’ho mandato a salvatti, mica uno! Tre!”. E sospirando: Eh, pe’ bischeri ‘un c’è paradiso… A Firenze, siam fatti così […] L’acqua, e' pare impossibile, ma ll’è arrivata fin lassù. Anzi: fin costassù. Che magari ‘un sarà di’ttutto corretto, forse, ma ssòna più fiorentino. Perché tutto questo, diciamocelo. Gliè tipicamente fiorentino.

Giovanni conferisce un’impronta fortemente espressiva ai personaggi che interpreta con la gestualità, la mimica e il tono, passando dall’ilarità alla comicità, al grottesco, a una forte carica di umanità, offrendo un saggio di recitazione divertente e coinvolgente.

La platea irrompe in un lungo applauso meritatissimo, rivolto a Giovanni e a tutti gli artisti della compagnia che hanno lavorato egregiamente e con una coralità straordinaria, grazie all’ottima regia di Nicola Zavagli e Beatrice Visibelli.

 

Anna Lanzetta


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