È davvero una giornata memorabile, questa della vittoria di Barack Obama: il quarantaquattresimo presidente degli U.S.A. Il primo Presidente afroamericano. Un democratico da cui ci si aspetta moltissimo, l’immane compito di metter le mani e la testa nel riassesto di questo nostro mondo. Non poca cosa di certo. Eppure a questa sfida ha indotto a credere i suoi elettori, e gran parte di tutti noi, che lo hanno ricompensato con il più grande dono: quello della fiducia, tanto maggiore nella sua valenza quanto più si pensi alla strategia della paura instillata dall’11 settembre a questa parte. Yes, we can. Lo slogan tanto inneggiato ha acquistato tutto il suo senso.
Ma si tratta di un punto di partenza, ricorda Obama nel suo primo discorso, un metter le basi per rimboccarsi meglio le maniche e cominciare il lavoro vero. Questi sono i nostri tempi, ha ragione a ricordarlo, questo il nostro oggi. Inutile recriminare o perdere occasioni: è tempo di fare.
Chicago gli ha tributato un attestato di stima enorme. Una folla mai vista al Grant Park ad aspettare il miracolo. Lui, sempre controllato, sicuro, cool – come lo si definisce in patria – eppure con quell’aria da ragazzo e la camminata dinoccolata che lo fa apparire tanto spontaneo e vicino al popolo. E c’è da dispiacersi che la nonna Madelyn, per lui unica parente stretta in vita, esempio di serietà ed etica, non abbia potuto assistere a questa grande giornata.
Mentre contente e spensierate sono apparse le figlie Malia e Sasha, trepidanti di certo perché anche loro vedranno coronato il proprio sogno: quello di un cagnolino ad aspettarle sulla porta della Casa Bianca. E che dire di Michelle? La prima first lady nera della Storia, anche per lei un ruolo non facile, ma che pare intenzionata a ricoprire con le stesse modalità della sua vita di sempre: azione, concretezza, orgoglio a volte anche oggetto di critiche. L’incarnazione dell’american dream, figlia di gente semplice che ha sgobbato per mandar lei e la sorella a scuola, uscita dai ghetti per conquistarsi due lauree ad Harvard e Princeton. Niente male neppure lei, quindi, con la sua indipendenza che ha fatto dire spiritosamente al marito “ai seggi Michelle ci ha messo un sacco a votare; devo controllare per chi l’ha fatto..”.
Una famiglia di kennedyana memoria, che serviva proprio all’America e al mondo!
Annagloria Del Piano