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Maria Lanciotti: Un fiore per i miei cari
03 Novembre 2008
 

Nel giorno dei morti io non vado al cimitero. Al cimitero non ci vado nemmeno in tutti gli altri giorni dell’anno, i morti cari me li porto appresso sempre e se voglio offrire loro un fiore lo vado a cogliere con essi in mezzo a un prato o in cima a una montagna. Il cimitero l’ho frequentato troppo a lungo durante la mia vita, fin da quando ragazzina orfana di padre mi vestirono a lutto per un anno e un giorno sì e un giorno no mi portavano a trovarlo al camposanto. Io guardavo la foto sulla lapide e non vi riconoscevo mio padre, tentavo di parlare con lui e in testa non mi si formava alcun pensiero. Quando lasciavo il cimitero mi sentivo dentro il peso di una colpa più grossa di me, e l’unica cosa che sapevo fare era piangere.

Tante persone care mi hanno lasciata nel tempo, e ho continuato così a frequentare il cimitero portando mazzi di fiori, cambiando l’acqua nei vasi, lucidando col sidol i simboli in ottone della cristianità. E sempre, uscendo dal cancello del cimitero lasciandomi alle spalle i miei cari defunti, non mi sono sentita in pace né con essi, né col mondo, né con me stessa.

Poi, diversi anni fa, decisi di non andare più a cercare i morti dove non sono.

Non è stata una mossa facile, i parenti non hanno capito e mi hanno giudicata senza sentimenti e senza rispetto per i defunti; non ho cercato di spiegare loro il mio modo di onorarli, non sarebbe servito a nulla. Ma i miei figli lo sanno, che io con i miei morti ci parlo in qualunque posto mi trovi, così come parlo con Dio.

Una concezione tutta mia di considerare l’oltre e il legame che unisce cielo e terra.

Questo per dire che il 2 novembre per me è un giorno di commemorazione come tutti gli altri, poiché il pensiero quando c’è non guarda il calendario.

E tuttavia, pur pensandola così, rispetto in pieno chi il 2 novembre si reca al cimitero a trovare parenti vicini e lontani con grandi mazzi di fiori e una scatola di lumini. Ognuno credo debba vedersela con se stesso e seguire la via che più gli porta pace.

Oggi dunque non vado al cimitero, ma osservo con particolare attenzione la vita. Osservo la vita che mi circonda, nel suo bene e nel suo male, e ne parlo con i miei.

Certo, caro papà, che se tu fossi qui, in questo nostro pianeta sconvolto prossimo a schiattare per le troppo offese che subisce con un dolore che si ripercuote in ogni fibra dell’essere umano, in ogni piega dell’anima, non te ne staresti certo buono buono a guardare, ma prenderesti la vanga e ti metteresti a rivoltare la terra per fargli prendere sole; faresti uno scasso grande e profondo per tirare fuori dalla pancia della terra la sua fertilità invaginata, e nel frattempo bestemmieresti come un turco contro coloro che l’hanno ridotta così, perché tu la terra l’hai conosciuta a fondo, amata a fondo, servita a fondo, rispettata a fondo, quando la terra s’ingrassava del tuo sudore e in cambio ti dava il nutrimento per te e la tua famiglia, in una sfida all’ultima possibilità, avvinghiati tu e la terra come amanti feroci e appassionati, avidi ognuno dell’odore dell’altro.

Se tu fossi qui, papà, mi diresti non andare al cimitero, lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Non comprare fiori per me, mi diresti, lascia che i fiori muoiano sul loro lembo di terra per concimarla, per riprodurre altri fiori. Non venirmi a lucidare la lapide, mi diresti, ma accarezzami in quello che io sono. E io non sono polvere e cenere chiusi in un loculo. Non ho potuto concimare la terra con le mie ossa e il mio grasso – mi diresti – perché abbiamo qui tanti bei cimiteri monumentali che fanno onore ai morti e ai parenti dei morti, e certe usanze barbare che ci vogliono ammonticchiati qui, in queste cellette che compongono un alveare immenso di cemento e marmo e bronzo e ottoni molto decoroso, se vogliamo dirla tutta molto pacchiano, ma insomma si presenta bene e ti fa sembrare la morte meno nuda e meno cruda, un cambio di residenza obbligatorio ma pieno di comfort, se uno si contenta dell’apparenza.

Se tu fossi qui, papà, mi diresti brava, è nella terra che ti devi far seppellire, così come tu desideri e hai lasciato detto per iscritto come tua volontà; è nella terra che continuerai ad esistere, questa madre grande che abbraccia tutti i suoi frutti per moltiplicarli all’infinito, purché il più infido dei suoi figli, l’uomo e la sua barbarie, non riesca infine a spaccarle il cuore per farne polvere sottili.

Ecco, papà, ti ho portato il mio fiore. Il fiore che ho colto dai tuoi insegnamenti.

 

Maria Lanciotti


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