«Questa raccolta di poesia da poco in libreria è composta come una Spoon River dei vivi.
«Le voci sono quelle dei Clandestini di stanza in Italia che ho contattato e con cui ho vissuto per diverso tempo a cavallo tra il 2001 e il 2004. Li ho incontrati nei pressi dei C.P.T. (campi di permanenza temporanea), in Questura, nei “ghetti” etnici dove vivono ricreando comunità indipendenti per luogo e per spazio, nelle strade.
«Emerge dalla composizione dei quadri raccolti cosa è l’essere un Clandestino in Italia, il travaglio del viaggio dal paese d’origine (area Balcanica, Albania, nazioni dell’Africa centrale squassate da guerre e fame di cui si sono perse le origini ma anche paesi i più pacifici, segnati solo dalla povertà e dai quali la fuga è necessaria per andare altrove, guadagnare ed inviare denaro in seno alle famiglie che spesso hanno solo quell’introito come sostentamento).
«Nelle tre sezioni della raccolta vengono tracciate le mappe del come e del perché accade il viaggio sino all’Italia, del come e dove vivono una volta giunti nel nostro paese, delle relazioni che governano l’interagire tra noi e loro, delle pratiche burocratiche, dello svolgere la vita secondo le minuscole regole comprese tra mattina e sera.
«Ogni pagina racchiude una voce, un episodio, tutte insieme danno la misura dell’accaduto e dell’accadere.
«È un popolo in ombra anche se pienamente visibile, che qui trova una voce (un'altra voce direi piuttosto) per dire dell’istinto e della forza che sorregge quando tutto viene sottratto – anche la terra su cui posare il corpo – terra spetta, che viene ricavata di nascosto negli angoli della nostra cecità e che viene protetta! col silenzio, con la speranza». (F.A.)
La materia cui Alborghetti ha messo mano con questa sua opera di poesia, di particolare intensità e singolarità [...] Riguarda infatti gli esclusi, gli emarginati, i fuggitivi, i “sans papier”, [...]. Problema spinoso del nostro tempo, [...].
Alborghetti ha voluto avvicinarlo e approfondirlo non da osservatore neutrale, ma facendosi come uno di loro, [...].
La forma, lo stile che ne caratterizzano la qualità (della poesia), stanno in un linguaggio chiaro, diretto, a volte anche teso, che non concede niente alla retorica e fa segnare al percorso espressivo di Alborghetti, infine alla sua poesia, un momento importante di raggiunta e compiuta maturità.
dalla prefazione di Giampiero Neri
dalla sezione: Mentre cambia il tempo, la nube o il secolo che sia
E dove altro credi possibile la mia presenza
se anche la mia terra è contro? Non rimane niente altro
che la cancellazione ripeteva un dirsi presenti
anche senza il luogo. Adesso conta diceva
fai la somma dei rimasti. Sottratti gli urti i lampi
i sacchi senza nome o le cataste di arti e boccine colme
di vuoto avrai la misura del rimanere, l’innominata ampiezza
dalla sezione: Il presente che ci resta
Come evasi senza ragion veduta, in fila
lungo la sorte sino alle montagne: sottrarsi
alla propria terra per la sola carne riassumeva il motivo
il convoglio, senza custode ognuno
che non l’occhio indietro a dilavare la strada fatta.
La sola parola ripetersi scandiva l’insieme unendo
dalla perdita presente alla trama a venire, noi siamo dove?
dalla sezione: L’opposta riva
Partiva a caso certe volte con la nostalgia
per un luogo dove non era mai stato veramente
apriva le parole stilando particolari minimi: così incontenuto
spandeva il ricordo elencato tra l’andare e il ritorno
consumando senza scissione. Questa è la vita del transfuga
diceva: senza un luogo preciso cui appartenere
e troppo dentro gli occhi su cui fermare.
Fabiano Alborghetti nasce il 13 luglio 1970 a Milano. Vive a Sesto San Giovanni (Mi). Con LietoColle ha pubblicato Verso Buda che ha raccolto numerosi consensi di pubblico, critica e si è distinto in diversi premi letterali. Numerosi testi sono stati pubblicati su riviste e antologie. È drammaturgo teatrale. Questo è il suo secondo libro.