L’uomo della fornace
Rintronarono parole strane, incomprensibili, nell’edificio di mattoni rossi, fornace dismessa da anni alla periferia del paese. Era di mattina, presto. La voce dell’uomo – perché di un uomo si trattava, non c’erano dubbi – era potente.
Catarrosa e potente.
Due donne – due amiche – si fermarono davanti all’ingresso privo d’infissi: buco nero.
Le parole incomprensibili si ripeterono, poco dopo.
Entravano nell’anima, la scarnificavano. Era il tono, soprattutto, a colpire. Lamentoso, sofferente.
Una delle due donne urlò: “Serve aiuto?”. Ebbe, per risposta, un grugnito.
L’altra donna – più anziana – si fece coraggio ed entrò. Non vide nulla, sul momento. Poi ci fece l’occhio e nel centro di uno stanzone, in mezzo a macerie e sporcizia, vide una sagoma. Non ebbe cuore di tornare indietro. Avanzò. E l’uomo le tese una mano. Era un uomo di colore che conosceva, che bazzicava la zona da tanto tempo. Vendeva coperte.
Dal corpo dell’uomo arrivava un odore tremendo, di carne bruciata. Di morte.
“Aiutami”, implorò. Un soffio. Poi raccolse tutte le forze e riuscì a dire più forte: “Maledetti”. Si piegò da una parte, il rantolo a coprire altre parole, mozziconi. Il braccio gli rimase sospeso, in alto verso la donna, per alcuni secondi, poi ricadde in una posizione anormale.
Urlò, la donna. E fece accorrere l’amica. Anche lei urlò. E scoppiarono a piangere, tutte e due.
Riccardo Cardellicchio