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Marco Cipollini: Una nuova visione del mondo in Ervin Laszlo. Risacralizzare il cosmo
31 Ottobre 2008
 

Caro Claudio, indirizzo questa letterina a te in quanto mio primo lettore, ma è aperta a chiunque. Non mi garba mischiare mie notizie personali a scritture oggettive, ma stavolta devo farlo. Avevo appena sigillato l’ultimo dei miei capitoletti sulla Realtà (“Realtà verso verità, VII”, ne Lo scaffale di Tellus) che, per senso di liberazione, me ne uscii a passeggiare. Capitai in libreria. Nessun titolo da cercare. Ma da uno scaffale un volume magneticamente mi s’infilò in mano: Ervin Laszlo, Risacralizzare il cosmo, ed. URßA 2008, € 15,00. I giorni seguenti lo lessi ininterrottamente, e ancora una, due volte, perché non era acqua corrente. Fu come se lo conoscessi da sempre. I miei sette scritti appena conclusi - ecco il prodigio - ne erano stati propedeutici, come se maturati in attesa di quel libro. Ma da molti anni non credo più al Caso, anagramma eufemistico di Caos. Leggilo, mi ringrazierai.

Marco

 

 

Una nuova visione del mondo in Ervin Laszlo

 

«Nella nostra cultura postmoderna emerge un rinascimento della cosmologia premoderna, man mano che l’ormai marcia miseria del paradigma ricevuto dalla scienza moderna si trasforma in letame». Non usa eufemismi Ralph H. Abraham concludendo il suo intervento nella terza sezione di questo libro straordinario; e chi afferma ciò non è un creazionista sbracato, ma un docente di matematica ai massimi livelli mondiali.

Ho detto libro straordinario. Lo è, senza attenuanti. Ervin Laszlo, per il cui curriculum accademico e di studioso non basterebbe questa pagina, in un libro divulgativo snello ma completo (eccellente la bibliografia ragionata) ci consegna qualcosa di più di una vaga ipotesi cosmologica, essendo solidamente basata sulle più recenti acquisizioni della fisica quantistica, delle anomalie e delle scoperte di cosmologia, della biologia e degli studi sulla coscienza. Colpisce che questo nuovo paradigma scientifico si richiami tranquillamente a visioni del mondo tradizionali, ristabilendo una piena coesione tra scienza e spiritualità, connubio che il razionalismo riduzionista vede come il fumo negli occhi.

La grande frattura tra questi due orizzonti del sapere, considerando la lunga vicenda umana, si aprì non molto tempo fa: esattamente quattro secoli or sono, allorché Keplero nel 1609 propose una teoria della gravitazione universale, con la quale per spiegare le orbite non circolari usò la parola “forza” invece di “spirito” (l’influsso angelico). «E con questa data» così Abraham «possiamo decretare la morte del concetto di anima del mondo, concomitante alla nascita della fisica moderna». Chi l’avrebbe detto che proprio dalla fisica, come la fenice dalle proprie ceneri, sarebbe risorta una visione cosmica la quale rammenta, immensamente evoluta, quelle pre-kleperiane?

Risacralizzare il cosmo — il titolo originale è Science and the Reenchantment of the Cosmos, che controbatte tutto il “disincanto” scientifico moderno — si divide in tre parti. Nelle prime due il prof. Laszlo espone i risultati raggiunti dall’avanguardia scientifica e le proprie idee cosmologiche con una scrittura lodevolmente piana, e tuttavia permane qualche difficoltà per un lettore statistico par mio: i concetti non sono brigidini; nella terza intervengono dodici “pensatori d’eccezione”, appartenenti a vari campi del sapere, i quali confermano entusiasti le teorie dell’autore. Ma in nuce, in che consistono?

 

* * *

Il sistema universo, secondo la teoria più accreditata, sarebbe la conseguenza di una esplosione iniziale, il risaputo Big Bang (BB), che in modo incoerente e casuale continua ognidì a espandersi; questo processo prevede diverse ipotesi finali, tutte destinate comunque a una catastrofe entropica. Partendo dal BB, che «si verificò in un mare fluttuante di energie virtuali: il vuoto quantico», Laszlo sintetizza in poche dense pagine la genesi della materia, dalle coppie particella-antiparticella fino alla formazione delle galassie, e quindi all’autoriproduzione organica: la vita. Si noti che «il BB, che ha stabilito i parametri di base dell’universo, dev’essere stato regolato in modo stupendamente preciso, poiché se fosse stata prodotta una massa di materia appena un miliardesimo di volte più grande, lo spazio-tempo sarebbe curvo positivamente come un pallone; mentre se ne fosse stata prodotta un miliardesimo in meno, la curva sarebbe negativa come quella di una sella».

Gli studi più recenti disegnano un universo coerente e interconnesso, con effetti che alla nostra esperienza sensoriale — ancora e sempre newtoniana, per non dire tolemaica — suonano stranissimi, quasi pazzeschi, ma che non sono inspiegabili. Concetti quali la non-località sfidano qualsiasi tetragono buon senso; eppure è così che funzioniamo anche “noi” a livello subatomico. «Una volta che due particelle assumono uno stato precisamente identico, esse restano collegate indipendentemente dalla distanza che c’è tra di loro». Questa connessione è praticamente immediata e gli esperimenti di Alain Aspect e quindi di Nicolas Gisin dimostrano che la velocità di trasmissione dell’informazione tra di esse avviene circa venti volte più veloce della velocità della luce nello spazio vuoto e, nella seconda osservazione, ventimila volte! Ne risulta che l’intero universo è interconnesso immediatamente, al di là di qualsiasi distanza intergalattica. Dunque tale collegamento (entanglement) trascende tempo e spazio ed è un fenomeno sia microfisico sia cosmologico; il fisico Chris Clarke afferma che «l’intero universo è un sistema quantico collegato, è sempre stato pienamente coerente, e sempre lo sarà».

Non meno stupisce che biologi e biofisici abbiano scoperto che pure il nostro corpo è straordinariamente coerente, con tutte le sue molecole, cellule e organi collegati da connessioni multidimensionali pressoché istantanee, così che, se l’organismo è sano, ciascuna cellula è sùbito informata dello stato di tutte le altre con le quali si armonizza: e noi siamo composti di circa un milione di miliardi di cellule! Se si aggiunge che nel corso di un anno mediamente il 98% degli atomi che costituiscono il nostro organismo viene sostituito, tale traffico interno supera qualsiasi potenzialità cibernetica, senza contare che stanno venendo alla luce meravigliose forme di coerenza tra gli esseri viventi e il mondo a loro esterno. Uno scambio così iperbolico di informazioni non può avvenire in un modo qualsivoglia meccanicistico, ma deve seguire le medesime modalità di coerenza e non-località rilevate nel mondo microfisico.

Tutto ciò, e altro ancora, implica che sono da rivedere radicalmente le teorie del darwinismo ortodosso, secondo cui vige una separazione piena e completa tra il genoma (l’insieme delle molecole che nel DNA trasportano le informazioni necessarie alle cellule per costruire l’organismo) e il fenoma (l’organismo costruito a partire da queste informazioni generiche), con la conseguenza che l’evoluzione biologica sarebbe il prodotto di un caso a due facce: la variazione casuale del genoma e l’idoneità casuale del fenoma mutante nel suo ambiente.

Le ultime ricerche dicono altrimenti: il genoma risponde agli influssi esterni, ed è grazie a tale sua sensibilità se le specie superiori hanno potuto evolversi da semplici origini fino alle complesse architetture multicellulari odierne; invece un genoma che mutasse a caso, e completamente isolato, avrebbe avuto scarsissime possibilità di produrre gli organismi a noi noti. Il biologo Michael Behe afferma che la probabilità che mutazioni casuali siano state in grado di produrre organismi in grado di sopravvivere è assolutamente ridotta, dato che per la maggior parte essi sono strutture “irriducibilmente complesse” (cioè che, variandone anche una sola componente, se ne distrugge il sistema).

Sono dunque molte le circostanze che dimostrano che la vita sulla Terra si è sviluppata in tempi troppo rapidi perché tale evoluzione sia dipesa dalla mera casualità, in quanto le rocce più antiche risalgono a circa 4 miliardi di anni e le prime forme di vita a 3,7 miliardi di anni. Che in soli 300 milioni di anni, attraverso una serie di prove ed errori generici e casuali si sia passati a un tale livello di complessità è, a dir tanto, assai poco verosimile. Il fisico matematico Fred Hoyle ha detto che tale probabilità equivale più o meno a quella di un uragano che, soffiando attraverso una discarica di rottami, assembli un aeroplano funzionante…

Diverse pagine sono dedicate alla prodigiosa coerenza tra l’universo e la mente umana, che non è istruita solo dalle informazioni convogliate dagli organi sensoriali. Molti esperimenti e innumerevoli esperienze confermano che non siamo interamente limitati e racchiusi nella nostra pelle, ma che la mente e il corpo “risuonano” con l’ambiente e le persone in esso contenute. «La nostra mente è coerente col mondo, e quando non reprimiamo le intuizioni che ci collegano alle altre persone e alla natura, possiamo renderci consapevoli della nostra unione con l’universo». Antichi concetti come il microcosmo (l’uomo) che riflette il macrocosmo (l’universo) ritornano vivi e pregnanti. Tutto ciò convalida sia gli stati di coscienza alterati dei popoli “indigeni” (telepatia, riti sciamanici, ecc.), da sempre svalutati dalla scienza ufficiale come superstizione, sia quella realtà profonda della psiche che Carl Jung chiamò unus mundus, costruendovi la sua teoria dell’inconscio collettivo.

 

* * *

Se uno scienziato non può demandare a una entità trascendente la mirabile coerenza sia dell’universo (non-località a livello subatomico e cosmico) sia del nostro corpo, e la relazione di questo con la mente e di entrambi con il cosmo, deve allora ammettere che c’è qualcosa in natura che la genera. Qual è questo elemento che mette in relazione il tutto? Esso è un “campo” fondamentale tanto quanto l’elettromagnetismo, la gravità e le forze agenti nei nuclei atomici.

Questo “qualcosa” onnicomprensivo, che è pure il deposito della memoria cosmica, in realtà è presente un po’ in tutte le grandi cosmologie del passato, dall’Etere di Aristotele all’Akasha induista. E come non pensare a Dante, quando nel Par. XXXIII, 85-90 scrive, riprendendo i concetti della Scolastica?

 

Nel suo profondo vidi che s’interna,

legato con amore in un volume,

ciò che per l’universo si squaderna:

sustanze e accidenti e lor costume

quasi conflati insieme, per tal modo

che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.

 

È precipuamente la mitologia induista, attraverso l’articolato concetto di Akasha e dei suoi “registri” universali, ad avere sviluppato l’idea di un eterno substrato del divenire, antecedente e susseguente al divenire stesso. In questo basamento dell’essere, che Laszlo ha dunque chiamato Campo Akashico (Campo A), si conservano tutte le “informazioni” lasciate in forma di energia dall’universo che conosciamo noi. Ciò implica nuove ipotesi in vari campi, tra cui la forza di gravità e la forza d’inerzia, e consolida concetti quali “materia uguale proiezione della coscienza”, che sono troppo complessi ed estranei alla nostra esperienza pedestre. Per es., si prenda l’idea che la mente umana — al contrario di quanto comunemente si pensa, paragonandola a un software inserito in un hard disknon è contenuta nella nostra massa cerebrale… Leggere il libro di Laszlo è come entrare sbalorditi nella caverna di Alì Babà o, se preferite, tuffarsi nell’oceano contenuto in un bicchiere. Ma al fondo di ogni meraviglia è la considerazione che la scienza si trova finalmente in grado di produrre una nuova Teoria del Tutto (Theory of Everything) paritetica alle antiche Sintesi.

L’autore riconosce i precedenti delle sue ricerche. Circa cento anni fa Nikola Tesla, un genio dissidente padre delle moderne tecnologie di comunicazione, immise nuova linfa nel concetto di “campo cosmico”, ma finì (ovviamente) screditato. Ora i tempi sono maturi per riteorizzare questo campo che creerebbe coerenza nel mondo delle entità fisiche (fisiosfera), in quello dei sistemi viventi (biosfera), delle informazioni (infosfera), della mente e delle creazioni immaginative (noosfera), e di quanto può rientrare nella teosfera. Questo mare magnum non si trova al di fuori della natura, ma ne è il cuore stesso, pulsante, la humus oscura da cui traggono vita tutte le cose dell’universo, e anche la loro destinazione finale: è il “vuoto quantico”, noto anche come “vuoto unificato” o nuether.

Tale oceano di energia non si trova solo nello spazio esterno, ma dovunque: circonda ed è dentro ad atomi e organismi, a me che scrivo e a voi che leggete. È come una spugna pregna d’acqua, ma la spugna è impercepibile, così che le galassie sono come gocce d’acqua apparentemente sospese nel vuoto. Meno metaforico del “gran mare de l’essere” di Dante (Par. I, 113), questa infinità di vuoto-pieno è nota pure come “campo del punto zero” (zero-point field: ZPF), in quanto in essa, alla temperatura dello zero assoluto, le energie si dimostrano presenti anche quando ne svaniscono tutte le manifestazioni normali. Il vuoto quantico costituisce l’utero, il Metaverso (da meta-universo) da cui nacquero e continuano a nascere le coppie particella-antiparticella; se non s’incontrano annientandosi a vicenda, la particella positiva si consolida, è il mattone dell’universo, mentre quella negativa resta come un buco nello ZPF. Alla fine dei tempi, con il collasso cosmico, le particelle superstiti torneranno nel vuoto quantico, non annullandosi, ma ridivenendo virtuali e “informate”, potenzialità di rinascita in un BB successivo.

Le fasi di questa che è la “più grande storia mai raccontata” sono sette. Prima fase: c’è il vuoto-pieno del Metaverso, non manifestato. Seconda: il Metaverso perviene istantaneamente al BB, creando lo spazio-tempo; ma, ecco, non ripartendo dal nulla, ma dall’insieme delle “informazioni” degli universi precedenti, virtualizzate (direi metabolizzate) nel nuether. Terza: usando i precedenti modelli di informazioni, il nuovo universo si autorganizza nel caos circostante. Quarta: la materia infine si autoriproduce, nasce la vita. Quinta: alcune forme viventi si evolvono fino a sviluppare la capacità di rappresentare sé stesse e il mondo in modo simbolico, nasce la mente e il linguaggio. Sesta: la nostra specie diviene consapevole del processo evolutivo. Settima: l’evoluzione, divenuta autoconsapevole, può scegliere il proprio percorso, sebbene le opzioni rimangano limitate dal ciclo nascita-morte dell’universo. E quando ciò avverrà, non tutto sarà perduto, perché le informazioni e gli schemi energetici generati nel corso della vita dell’universo saranno archiviati nel Campo A del Metaverso, pronti a riformare un ciclo cosmico successivo, sempre più evoluto. La tesi sottesa a tutto questo processo, le cui dimensioni temporali non rientrano nella sfera dell’umano, è che si progredisca da un universo della materia grezza a uno della pura coscienza.

 

* * *

La terza sezione del libro, come sopra anticipato, comprende gli interventi di scienziati, matematici, filosofi, accreditati a livello mondiale, i quali condividono in pieno le teorie totalizzanti dell’autore. È impossibile riportare qui i loro contributi, a cui però si è attinto in precedenza. Peter Russell (autore di From Science to God) fa una disanima complessa e condensata del concetto di realtà (alla fine pare che non ci sia cosa meno reale della “nostra” realtà!). Già Kant, distinguendo tra fenomeno e noumeno, affermava che la nostra percezione del mondo è cosa ben diversa dal mondo oggettivo, e che tutto ciò che noi possiamo sapere è solo fenomeno: esiste, sì, una realtà “là fuori”, ma che noi non conosciamo mai direttamente. Quando identifichiamo il fenomeno con il noumeno, ci autoinganniamo: è l’illusione che la sapienza induista definisce maya. Attraverso pagine appassionanti in cui si afferma che dalla materia non senziente non può nascere ed evolversi una coscienza, come invece dogmatizza la scienza materialistica ancora in auge, Russell conduce all’arduo concetto di materia come proiezione della mente; inoltre spiega come «non dobbiamo più pensare alla coscienza che percepisce la materia […]; è in realtà la coscienza a percepire direttamente la coscienza. […] Le qualità che appaiono nella mente (colori, suoni, odori, sostanza o altro) diventano oggetti di percezione, ‘il mondo materiale’. Ma non c’è segno di coscienza nelle immagini della materia che appaiono nella mente». E ancora: «Le forme che sorgono nella mente non fanno affatto pensare di essere tutte manifestazioni della sostanza mentale. Esse appaiono diverse dalla coscienza. E così noi diamo per scontato che le cose del mondo ‘là fuori’ (ciò che è composto di materia) non siano senzienti». È un addio irrevocabile alla scissione cartesiana del mondo in res extensa e res cogitans, così che l’intero universo diviene un’entità panpsichica. Russell riporta in sèguito queste convinzioni — teologiche, possiamo ormai dirlo — di Laszlo nel suo The Connectivity Hypothesis: «Il processo evolutivo si verifica all’interno della coscienza di Dio. Esso porta da una coscienza divina inizialmente imperturbata e informata di potenzialità pura, attraverso l’eccitazione spazio-temporale di questa coscienza, fino a una coscienza finalmente imperturbata e in-formata della piena e completa realizzazione di questi potenziali». L’essere come autorealizzazione divina… Quanti echi di antiche religioni e filosofie, acidamente derise dalla mitologia illuminista, ci risuonano nella mente: che, ricordiamolo, non risiede nella nostra superba scatola cranica, ma è dovunque! (Fu l’egocentrico disconoscimento di ciò la colpa primordiale dell’uomo, ricorrente in tutte le cosmogonie?)

Piace concludere con alcune considerazioni di Stanislav Grof, psichiatra studioso degli stati alterati della coscienza, che ha definito l’opera di Laszlo come la “Pietra di Rosetta” tanto a lungo attesa dai pionieri della ricerca sulla coscienza e della psicologia transpersonale. Egli afferma: «Nel corso del XX secolo, varie discipline della scienza moderna hanno ammassato una straordinaria quantità di osservazioni che non possono essere descritte né adeguatamente spiegate nei termini di una visione materialistica monistica e nel contesto di quello che Fritjof Capra [autore del celebre Il Tao della Fisica], chiamava paradigma newtoniano-cartesiano. […] Nel tempo ha cominciato a farsi largo una comprensione radicalmente diversa della realtà e della natura umana, che nella scienza viene solitamente definita ‘nuovo paradigma’. A ogni modo, questa nuova prospettiva è stata fino a ora un mosaico composto da pezzi di grande impatto ma disgiunti fra loro. Mancava la ‘colla concettuale’, una visione unificante che integrasse alla perfezione i contributi individuali in una ‘teoria del tutto’ complessiva. […] il credito per aver creato tale teoria va senz’altro a Ervin Laszlo, probabilmente il più grande teorico dei sistemi, nonché scienziato e filosofo interdisciplinare al mondo […] una persona dalle mille sfaccettature con una gamma d’interessi e talenti che ricorda le grandi figure del Rinascimento».

 

Marco Cipollini www.webalice.it/marcocipollini

 

Questa recensione uscirà anche in un uno dei prossimi numeri di "Erba d'Arno


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