Quando un monarca
preferisce essere un semplice conte
«Sua Maestà Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e per volontà della Nazione, Re d’Italia, Re d’Albania, Imperatore d’Etiopia, Re di Sardegna, Re di Cipro, di Gerusalemme e di Armenia, Duca di Savoia, Principe di Carignano, Principe di Piemonte, Principe di Oneglia, Principe di Poirino, Principe di Trino, Principe e Vicario perpetuo del Sacro Romano Impero, Principe di Carmagnola, Principe di Montmélian con Arbin e Francin, Principe balì del ducato d’Aosta, Principe di Chieri, Principe di Dronero, Principe di Crescentino,…».
I 18 titoli nobiliari appena elencati sono soltanto una piccola parte di quelli appartenuti a Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro, Principe di Napoli ed erede al trono d’Italia, nato nella reggia di Capodimonte l’11 novembre 1869, e figlio di due cugini primi, Umberto I di Savoia e Margherita di Savoia. A tutti questi bisogna ancora aggiungere altri 67 titoli, complessivamente, tra duca, marchese, conte, barone e nobil homo!
In questo sterminato elenco spicca – non tanto per importanza ma perché riguarda da vicino chi scrive e l’argomento che vuole trattare in questo scritto – il titolo di Conte di Pollenzo. Se il nome del Real Borgo di Pollenzo evoca in me sentimenti di attaccamento ed affetto filiale, analoga passione per questo luogo pervadeva l’animo dell’augusto protagonista di questa storia, Vittorio Emanuele di Savoia, appunto. Quale fosse il motivo di questo legame atavico non è dato sapere, e probabilmente rimarrà per sempre nel novero dei tanti misteri che circondano l’aura del personaggio.
Il dato di fatto, lampante ed incontrovertibile, è il costante rimando a questa “reale villeggiatura” (costituita per volere del suo bisavo Carlo Alberto di Savoia Carignano), che si verifica lungo tutto l’arco della vita del monarca sabaudo.
Infatti, fra tutti i titoli a sua disposizione, molto più blasonati ed importanti, egli ha sempre e comunque preferito quello di Conte di Pollenzo, usandolo, ad esempio, allorquando da giovane principe ereditario viaggiava in incognito in giro per l’Europa.
Una volta salito al trono, poi, l’attaccamento per Pollenzo torna di nuovo a palesarsi nella scelta delle destinazioni in cui trascorrere le vacanze estive con la famiglia. Molto riservato e sicuramente meno mondano del padre, il “piccolo” re condivideva le sue passioni per la pesca e la fotografia con l’amatissima consorte, Elena del Montenegro. Puntualmente, quindi, ogni estate, le residenze piemontesi dei regnanti (Racconigi e Sant’Anna di Valdieri) si aprivano per ospitare i sovrani con i loro bambini ed una ristretta cerchia di persone della Corte, fra le quali si prediligevano coloro che avevano figli della stessa età dei principini. E spesso, da queste due residenze, si facevano delle gite proprio alla volta di Pollenzo, per cacciare nell’immensa tenuta e per pescare nei diversi laghi del parco.
Nel 1923, poi, Vittorio, potendo disporre liberamente della proprietà pollentina – facente parte del patrimonio privato della famiglia e non del demanio dello Stato in dotazione alla Corona – aveva dato il castello e la tenuta in dote alla figlia primogenita Jolanda, al momento delle sue nozze con il Conte Giorgio Calvi di Bèrgolo (residenza che sarà abitata fino alla fine degli anni ’60 del Novecento dal nipote Pier Francesco e dalla moglie, l’attrice Marisa Allasio).
Ancora vent’anni più tardi, in piena II Guerra Mondiale, conscio del futuro a cui sarebbe andato presto incontro insieme alla sua famiglia e, probabilmente, presagendo già una fine nefasta per la Monarchia italiana, Vittorio farà celare tra le mura secolari del maniero pollentino la bellezza di 363 casse, contenenti la sua più grande passione e ricchezza, ovvero l’inestimabile collezione numismatica, insieme alla totalità del mobilio della sua residenza romana, oltre a diversi effetti personali e ricordi di famiglia (chi scrive ha già trattato ampiamente l’argomento in un suo libro, nel 2003).
I nazisti, dopo aver scoperto il nascondiglio della collezione numismatica (composta da circa 100.000 monete, per un valore approssimativo di oltre un miliardo di lire di allora), avrebbero tentato, invano, di trasferirla in Germania. Miracolosamente recuperata al valico del Brennero dagli Alleati, fu subito riconsegnata a Vittorio Emanuele che, al momento di partire per l’esilio ad Alessandria d’Egitto, l’avrebbe donata al popolo italiano.
E qui giungiamo all’epilogo della nostra storia. Al termine del conflitto mondiale, il “piccolo” re, privato della corona e del regno, abdica in favore del figlio Umberto, per tentare un ultimo estremo gesto – poi risultato vano – per salvare il salvabile. Un’ultima volta, al momento di lasciare per sempre la sua patria, Vittorio abbandona tutti i suoi titoli nobiliari, mantenendo per sé solo quello più modesto di Conte di Pollenzo.
Di tutti questi accadimenti, e di tanto altro ancora, riguardante l’enigmatica figura di Re Vittorio Emanuele III, se ne è parlato recentemente in un programma televisivo di storia, dal titolo “Ainigmata” (puntata n. 57 “Il carteggio di Sua Maestà”, in onda sul canale satellitare Mediolanum Channel), ambientato per l’occasione proprio nel Real Borgo di Pollenzo (le riprese sono state effettuate il 21 maggio 2008, per cui, chi scrive, era stato contattato espressamente dai responsabili della produzione del programma, ed ha fornito la propria consulenza storica sui testi letti dal conduttore, oltre alla collaborazione ed alla assistenza logistica in loco).
A tutt’oggi, le spoglie mortali di Sua Maestà Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e per volontà della Nazione, Re d’Italia… Conte di Pollenzo – spirato il 28 dicembre 1947 – giacciono, dimenticate, nella chiesa di Santa Caterina ad Alessandria d’Egitto, in quella che doveva essere solo una sistemazione provvisoria… Ma, da allora, sono passati sessantuno anni!
Neppure l’adorata moglie Elena riposa accanto a lui, poiché è morta a Montpellier, il 28 novembre 1952, e la sua tomba si trova nel cimitero della città francese.
Quindi, in conclusione, mi permetto di fare mia una proposta già avanzata nel 2002 dallo storico Aldo Alessandro Mola, rilanciandola, nella speranza che qualcuno la recepisca benevolmente.
Il luogo naturalmente preposto alla tumulazione delle spoglie sue e della consorte dovrebbe essere il Pantheon di Roma, dove riposano già il padre ed il nonno, ma, qualora non dovesse esserci posto per loro nel mausoleo romano – non per motivi di spazio ma per vergogna dettata dal fatto che, ancora oggi, egli viene considerato, a torto, il capro espiatorio a cui addossare tutte le colpe dell’Italia del primo Novecento – perché non traslare le due salme a Pollenzo, nella Real Chiesa di San Vittore Martire?
In fondo, Vittorio, prima che un re ed un imperatore, è stato – in vita, e lo sarà per l’eternità – Conte di Pollenzo!
Alberto Vissio Scarzello