Bellange è un uomo che si dibatte in un ambiente disumanizzante, in cui tutti gli impiegati dalla Cassa, la Boîte (generica e misteriosa azienda o banca o istituzione volta al profitto) si chiamano Blanchard. Bellange passeggia. È domenica e siamo in autunno:
Bellange aveva rialzato il colletto del proprio cappotto troppo largo. Camminava, ridicolo e piccolo, nell’oscurità d’una domenica pomeriggio. Un vento freddo gli soffiava parole scoraggianti e impediva alle acque brune del fiume d’avanzare. Ogni cento metri, un candelabro traballante gettava una luce anemica sulle membra torturate d’un uniforme, aggiungendovi un lamento metallico che faceva saltare le medaglie per il terrore. […] Le corone mortuarie persistevano sul selciato, approfittando dell’aria fresca per perdere ancora un po’ di freschezza. Ce n’erano molte. […] “Avevo un amico che si chiamava Jean. È stato messo in un buco senza corona.” […] era una domenica d’autunno. Le foglie erano già quasi tutte cadute, raccolte, bruciate. I faggi erano stati decapitati, tagliati a pezzi, triturati. (pp. 122-123)
Marie-Jeanne Urech è una giovane scrittrice svizzera e del suo ultimo romanzo, La syndrome de la tête qui tombe, abbiamo ora una bella traduzione curata dal ricercatore ticinese Demis Quadri e pubblicata presso l’editore Tufani di Ferrara. Marie Jeanne Urech si sta facendo conoscere oltre i suoi confini nazionali e La syndrome è tradotto pure in tedesco. Mi pare un’interessante e acuta voce letteraria che in questo libro dipinge, con ironia e forza allegorica, le situazioni ridicole dell’uomo di oggi, individuo prigioniero. I boia che fan “cadere le teste” si chiamano mercato e profitto. Un boia invisibile. Il colpevole è Nessuno.
La scrittrice di cui si parla si presenta quindi nel panorama italofono, parlando di un tema d’attualità ed è normale che i giovani autori svizzeri sentano il bisogno di confrontarsi, uscendo dal territorio svizzero e pure linguistico. Un bisogno certamente non facile da nutrire e sentito anche dagli autori della Svizzera italiana che a volte riescono a farsi conoscere oltre confine, a farsi promuovere da bravi editori, portando dibattito, ponendo dubbi e critiche necessari al progresso umano.
Dicevo dell’ironia, dell’astuzia nel “punzecchiar narrando”, in modo simbolico e grottesco. La Syndrome de la tête qui tombe è divertente, pur distribuendo malinconie, toni cupi, autunnali presenze. E poi c’è un capro espiatorio che in un qualche modo “cade” per tutti, come una specie di Josef K. nel Processo.
Certo, non piacerà a tutti, il senso critico di questo testo che ridicolizza il valore umano di quegli uomini che rincorrono, all’interno di una “cassa” - bastimento, scatola enorme di cemento che invade il paesaggio grigio – una sorta di profitto misterioso, in un’azienda misteriosa, con regole e scopi misteriosi. Gli impiegati si chiamano tutti Blanchard, mentre il povero protagonista, il ridicolo Arthur Bellange (che gli altri chiamano Blanchard e che a fatica cerca di mantenere la sua identità), è un piccolo uomo ridicolo in un cappotto troppo largo. È il protagonista, anonimo dipendente tra tanti anonimi dipendenti, uomini grigi molto simili a quelli descritti da Michael Ende. Il compito di Bellange è tracciare linee perfette, diritte, con la matita. Ma nell’azienda non ci sono temperini! Ci sono stati abusi, quindi i rifornimenti sono tagliati. Bellange rischia il posto!
Una crisi dell’individuo e una sorta di alienazione che ci ricorda appunto il signor K. di Kafka. Riproduco il dialogo tra Bellange e un Blanchard Illustrissimo:
– Il signor Blanchard m’ha incaricato di dirle che avremmo il nostro capro espiatorio. Tutto è dunque tornato in ordine.
– Ciò è bene. Ce ne vuole sempre uno. Rinforza lo spirito di gruppo.
In seguito, grottesca situazione. Ecco perché gli affari vanno male e i clienti non firmano più i contratti:
– Questa inadeguatezza tra le sue linee e i nostri affari non è concepibile.
– Nostro Brillante Pantheonico serenissimo Clorioso Agnus Dei Nobile Commendatore Virtuoso…
– Non pronunci mai il mio nome!
– …Illustre Eccellente Onorato Mio Carissimo Signor Blanchard – terminò Bellange prima di udire il divieto, – penso che le mie idee non c’entrino niente. Se gli affari non funzionano più, è a causa della penuria di matite portamine. È per questo che i clienti non firmano più.
– Sta dicendomi che gli affari non funzionano a causa delle matite portamine?
– Esattamente.
E poi c’è la macchina-mucca del the, che crea scompiglio in pausa, con tutti i signori Blanchard incavolati con Bellange, che si beve un… caffè. Un teatro dell’assurdo, per descrivere dei Rinoceronti degli affari. Un’allegoria in cui la boîte francese è stata tradotta da Demis Quadri con la “cassa”, con un adattamento di certi giochi di parole. La boîte dove lavorano gli anonimi signori Blanchard, in francese può essere intesa come “posto di lavoro”, “cassa di risparmio”, “cassa pensione” (ahinoi…), “cassa-scatola”, e poi “scatola cranica”, infine “cassa da morto”. E poi, ricevere una letterina che contenga il verbo remercier, che in francese significa ringraziare qualcuno per il lavoro svolto, ma anche licenziare, può risultare una bella beffa.
Il romanzo finisce con queste parole:
Sarebbe stato un bel Natale. E quando la neve si sarebbe sciolta, l’abete sarebbe stato fatto a pezzi per fabbricarne delle piccole casse nelle quali sarebbe stata disposta con cura ogni boccia.
“Casse vuote” hanno creato non pochi problemi di fiducia, nel mercato mondiale, ma a lasciarci la testa, oltre a qualche signor Blanchard (Illustrissimo Brillante Pentheonico) è stata l’intera Boîte. Speriamo di arrivare a Natale con le bocce intatte. Buona lettura.
Daniele Dell’Agnola
(da La Regione Ticino, 22 ottobre 2008
col titolo “Teste che cadono”)
Marie-Jeanne Urech
La sindrome della testa che cade
traduzione di Demis Quadri
Edizioni Tufani, pagg. 210, € 12