La donna scomparsa
Arrivò ai primi di giugno. Stanca, stressata. Tanta voglia di silenzio e di campagna. L’accolsero bene tutti nel borgo. Era una bella donna oltre i quaranta.
Se ne accorsero, gli uomini. Anche quelli giovani, che cominciarono a fantasticare.
Alcuni si fecero avanti. Lei sorrideva, educata.
Fu un’estate calda e di feste all’aperto. Un mucchio di balli in riva al fiume e nel bosco.
Le piaceva ballare.
E ballò. Con tanti, ballò. Ma c’era chi non avrebbe voluto tutta quella ressa intorno a lei.
Uomini e donne.
Trovarono una sua scarpa sull’uscio della sua casa, una mattina. Di lei, neanche l’ombra.
In casa, tutto a posto.
La cercarono per giorni. Ovunque.
Qualcuno arrivò a ipotizzare che fosse tornata da dove era venuta. Nessuno, però, sapeva da dove era venuta. C’era addirittura chi conosceva a malapena il nome di battesimo.
I carabinieri interrogarono mezzo paese.
Niente.
Poi, a metà ottobre, un cinquantenne un po’ fuori squadra disse che lui sapeva che fine aveva fatto quella gran bella donna.
Era troppo bella per durare, disse.
Ma davanti ai carabinieri cominciò a frignare. Io non so nulla. Io non ho fatto nulla. Chiedetelo a quell’uomo venuto da fuori, di notte.
Quale uomo?
Non lo conosco. L’ho visto solo entrare in casa di lei.
Indagarono, i carabinieri. Senza costrutto. Tornarono a tartassare il cinquantenne. L’hai ammazzata te e hai sotterrato il corpo da qualche parte.
No, non è vero. Io sono innocente. Ce l’avete con me.
Il pubblico ministero concluse che un po’ di gattabuia non gli avrebbe fatto male.
Mi state ammazzando, disse piano. Che decise di non toccare cibo. E di non bere.
Deperì a vista d’occhio.
Lo si seppe in paese e s’alzò, spontanea, la protesta.
Un imprenditore mise a disposizione il suo avvocato. Che si attivò subito.
State tenendo in carcere un innocente. Dove sono le prove? Quel poveretto è in pericolo di vita. E per cosa? Un omicidio. M dov’è il cadavere per parlare d’omicidio?
Il giudice delle indagini preliminari non confermò il fermo e il cinquantenne fu libero. Per riportarlo a casa ci volle l’ambulanza.
Faceva discorsi strampalati. Un medico disse che il colpo era stato duro, per lui. Che aveva già più di un problema.
Fu mandato al centro d’igiene mentale del distretto. Si rinfrancò. E lo si rivide a curare i giardini di privati. Come aveva fatto sempre.
Di lei, della quarantenne venuta chissà da dove, neanche l’ombra.
Cessò d’essere argomento di conversazione.
Lui, il giardiniere, faceva vita solitaria. Come prima.
Cadde da un fico e si ruppe l’osso del collo, verso mezzogiorno d’un lunedì... Lo trovò, ormai ghiaccio, la padrona dell’orto, preoccupata di non vederlo verso sera.
Fu gran dolore per il paese. Il Comune si addossò le spese del funerale.
Qualcuno inveì contro la malasorte di certa gente.
Fu il sindaco a entrare nel suo appartamento – due stanze appena, più un bagno e uno stanzino – e a rimanere di sasso dal tanfo. C’era sporcizia ovunque.
Era una casa popolare e andava liberata.
Il primo cittadino incaricò gli uomini del cantiere.
Tante cianfrusaglie e, nello stanzino, due sacchi neri dell’immondizia.
I due operai lavorarono con mascherine e guanti.
Uno disse: “A vivere soli ci si riduce male”.
E l’altro: “Poveretto, con la testa non ci stava. E non è che l’abbiano trattato bene. Quel carcere, quell’accusa”.
Caricarono tutto su un furgone.
Tutto, tranne uno dei sacchi neri. Che, mezz’ora dopo, aprì un ragazzo e quasi svenne dal cattivo odore e alla vista di un piede scheletrico.
Urlò. E accorsero in tanti. Anche il sindaco e i carabinieri.
Riccardo Cardellicchio