Altra lunga pausa intercorre tra l’autopresentazione di Francesco Tomada apparsa nella scorsa puntata (la 21) e questa nuova: il “ritardo” è dato dal mio viaggio a San Francisco, all’International Poetry Festival Other Words in rappresentanza della Svizzera (mia nuova Patria) e della lingua italiana.
Un articolo specifico su cosa è accaduto e come muove un festival di tali proporzioni (vi partecipano anche 5 Consolati ed altrettanti rappresentanti di nazione/lingua) è in scrittura e verrà offerto in lettura tra non molto.
Ma è tempo di immergersi nella voce di Luca Ariano.
Ancora una volta e per come accadrà nelle puntate a venire, lo spazio è per la sola voce dell’autore, autore a nudo e senza la mediazione della domanda, autore lanciato nel vuoto e che arriva a noi per mezzo di una autopresentazione, cui seguirà una scelta di testi e solo in ultimo una breve nota bio-bibliografia.
AUTOPRESENTAZIONE di Luca Ariano
“Ho già avuto modo di spiegare un po' (per quanto sia possibile a un poeta) la mia poetica nell'antologia Oltre il tempo e cercherò qui di non ripetermi troppo.
Ho iniziato a scrivere poesie, come molti, da adolescente, a quattordici anni e, naturalmente, le prime poesie erano d'amore. Crescendo e ampliando le mie letture (ho sempre letto molta narrativa ed ho iniziato a leggere poesia proprio quando ho sentito l'esigenza di scrivere versi) non solo si è modificato il mio modus scribendi, ma anche la poetica si è trasformata da lirismo puro a sguardo verso gli altri, verso situazioni vissute o che mi sono state raccontate. La mia passione per la storia ha molto influito e spesso nei miei testi ricorrono storie sulla Resistenza, ma anche riferimenti ad altre epoche.
La prima raccolta risale al 1999, ma considero la mia prima vera pubblicazione Oltre il tempo uscita nel 2004 a cui credo ancora a distanza di anni e che per la mia maturazione è stata un’ esperienza fondamentale. Nel 2005 ho raccolto le poesie presenti in Oltre il tempo, nell'antologia La Coda della galassia e altre sparse ed è nata la raccolta Bitume d'intorno (Edizioni del Bradipo) con una prefazione di Gian Ruggero Manzoni.
In questa raccolta ho voluto descrivere la Lomellina (terra di cui sono originario) mettendo in luce lo sfacelo paesaggistico e morale della nostra società, raccontando storie di tutti i giorni e di un passato con cui non abbiamo forse ancora fatto del tutto i conti.
Dal 2005 sto lavorando ad una nuova raccolta che mi porterà via anni se non tutta la vita: sono sempre storie in versi, ma seguo il percorso di vari personaggi durante la loro vita con riferimenti al passato ed alla quotidianità: una specie di romanzo di formazione il cui primo estratto uscirà entro il 2008 (una plaquette dal titolo Contratto a termine).
Nel 2008 con il poeta Enrico Cerquiglini ho curato l'antologia Vicino alle nubi sulla montagna crollata nella quale abbiamo deciso di raccogliere voci che manifestassero una certa sensibilità verso l'inquinamento e la catastrofe ambientale per cui vuole essere un manifesto dell'impegno civile dei poeti.
Da Bitume d’intorno (Lugo di Romagna, Edizioni del Bradipo, 2005)
I nipotini di Lucio
In quell'osteria
- un po' fuori tempo - ai bordi
d'un borgo dove correranno camion
carichi di ghiaia e sabbia,
rivedere quei volti che lasciano sempre
patine di ghiaccio sullo sguardo,
brividi nella memoria sulle sponde
del fiume tra sciabordii di costellazioni.
Sul pavimento scivolano scarafaggi
mentre si contemplano monoliti
come esili fili nella nebbia,
gazze in amore volano sfiorando
reti di ciliegi ormai sfioriti,
maturati al sole.
I nipotini di Lucio
si specchiano nel teatro della Piazza
sussurrandosi sospiri,
avvinghiati ai loro danè,
vivendo al 25% sbuffando
sorrisi controvento:
quando già i giocatori salutano la curva
tra fischi e plausi si stende in un'ombra
lungo la schiena a inseguire i passi
d'un feretro già scomposto in atomi.
Parole d'un curato di campagna
sentite nell'odore d'incenso,
in un corteo sfumato nella luce.
Ted
Ted gioca coi suoi versi di lego
componendo castelli
sotto un cielo di vescica di seppia:
una mantide striscia passo di serpe
sulle corde della pelle
rotolando dietro raggi di luna.
A San Giovanni davanti una biella
di tortelli s'attende la notte
rugiadosa che specchia cuori di noci:
crani vuoti conficcati nella terra
rafferma s'eclissano al primo sbatter
di ciglia del mattino.
Mezziuomini danzano in una Terra di Mezzo
contemplando bambine sognate in stagioni
sugli usci, oltre ponti su letti in secca
che ammantano di rena le scarpe.
Brillano le gote d'un santo
sul disco di Piero Ciampi:
fischiettando "Livorno" quando i bar si gonfiano
e scorrono i titoli di coda d'una commedia
di Pietrangeli, foglie d'autunno
tra bianchi camici.
Tempi moderni
Un cimitero d'automobili
dove c'era un coagulo di papaveri:
campi di granoturco asfaltati
da una nuova rotonda sulla 494,
dall'ultima fabbrica di scarpe
crocifissa nelle tasche.
“Nome senza risposta.”
Invio! Rubrica! …
Il Signor Toso ciucat
davanti ad una birra gelata
che brina di malto lo stomaco:
quella erre di Riverenza un po'
bigia non intimorisce in questi tempi moderni
avvinghiati a qualche catena.
Si dovrebbe fuggire da suore e sciantose
in tinelli viziati dal troppo olezzo
di sudore, fumo stantio sulle vetraie.
Vedove nel vento su biciclette portano
fiori mentre c'è chi amoreggia - nella vigna -
o chi giocando sui tetti si rimira
i capillari forati su pire.
Rimanere sauro sopra mattoni rampicanti
a cogliere la canicola d'agosto
dinanzi un altro sorriso di bronzo:
pizzicagnoli - all'ombra della galaverna -
volano come merli sul trespolo d'avorio.
Da Genti dolorose, una delle sezioni di Contratto a termine, di prossima pubblicazione (per gentile concessione dell’autore e di Francesco Marotta, curatore del sito di poesia La dimora del tempo sospeso ove i testi sono apparsi in anteprima)
Genti dolorose
«che tu vedrai le genti dolorose
c’hanno perduto il ben de l’intelletto»
Dante (Inf., III)
Gli occhiali scuri la mattina presto
per Patrizio sono uno scudo alla sabbia
della notte, all’ansia d’un passo autunnale.
Ti porti sempre la tua aria di sagra
e ravioli d’oca ma quel giro di giostra
un po’ stantio l’hai lasciato lì.
I palazzoni delle periferie non sono poi
così diversi nella Metropoli e in quei piani
s’intrecciano note suonate male e l’odore
umido del vento quasi non si sente più.
Teresa per mano ti porta nel suo molo di pescatori,
in una di quelle navi dove è salita,
dove si sentivano le grida di mercato e reti
ancora da sciogliere; parla e ti racconta
la sua storia di piazze e sotto la campana
di strade vuote e rintocchi di lacrime
sono i graffi della lunga notte.
Don Gigi nel suo oratorio di quartiere
un po’ di teste le aveva cambiate tra biglietti
anonimi e giornali bruciati ma solo nell’ombra
d’uno sparo le sue preghiere durano l’attimo
d’una notizia alla radio e le stanze si gonfiano
di paura un’altra giornata.
*
Eserciti s’affrontano ai limes sguarniti:
orde depredano tra burocrati e ministri
da Basso Evo e dal balcone si sente
la canzone dell’eroe del Rione
benedetto la domenica in confessione.
Il tuo naso semita – forse traccia cromosomica
d’un altra epoca – è il passo di braccianti
da masseria a masseria
quando i briganti aspettavano i Piemontesi
al bivio; le tue mani pulite hanno dita
d’artigiano a risuolare scarpe.
Teresa oggi è chiusa in casa con quel tempo
che non sai più che stagione è:
“Mira mira” il battello che costeggia le isole
con gli ultimi spruzzi di sole
ed è tempo di migrar come bufale
a pascolare su discariche.
Accanto alle scuole in via Toscana dell’Eridania
è rimasto solo lo scheletro e siringhe
tra l’erba dove domani si sposeranno.
Una dose la puoi comprare al Parco Ferrari
e t’immagini un’azione della banda Corbari
prima dell’ultima rappresaglia gridando “W l’Italia!”
*
In quella casa Teresa ha trascorso
stagioni – quando hai gli occhi spensierati,
ma le generazioni passano
e delle onde sugli scogli rimane un po’ di sale
a erodere il tempo d’un tuffo.
Fiulin le conosce bene quelle case,
lui che ancora gioca con l’Enrico,
stanotte in riva all’Enza con la gola trepidante
e calzoni stirati dal vento d’una promessa
non ancora mantenuta.
L’Emilio una domenica a Milano senza partite,
nell’imponente silenzio di San Siro
tra cani scodinzolanti e stoviglie della festa,
a svuotare scatoloni come prima d’un ritorno.
L’Andrea voterà socialista – forse per tradizione:
suo padre commosso
a fischiare l’Internazionale
che nemmeno una lira avrebbe preso negli anni Ottanta.
Guido è rimasto comunista per quarant’anni
anche quando suo fratello Paolo
non è più tornato dalle valli
e il Maresciallo Tito era un altro sogno
da riporre in cantina.
Sicuramente lui c’era quando han bruciato
Giordano Bruno: ha filmato tutto
col videofonino e lo puoi scaricare su you tube
ma per le scene piccanti lo trovi su you porn.
*
Ogni benedetta mattina all’Emilio
tocca insegnare a quei ragazzi in bomber
e stivali d’oca – figli della buona borghesia,
ancora freschi di spedizioni punitive
a schiacciar le zecche ubriachi di birra
la sera ai Navigli.
Se lo ricorda Luciano che giocava a scuola
con lui, ora tifa Lazio e l’ha riconosciuto
manganellare in una rissa.
Suo nonno era sceso in Piazza Principe
fino a Piazza De Ferrari e Tambroni
“L’abbiamo cacciato noi!”
Ora ha il sorriso d’un dolce vecchietto
di forti rughe ma con la Volante Rossa
non c’era da scherzare… “Se non era per il Partito
li sistemavamo ben bene!”
E la faccia di quel bambino sorridente in una foto
scolorita sarà il truce polso d’un dittatore
morto nel suo letto in tarda età.
Teresa coi suoi occhi di febbre danza di tosse
ma dal lucernaio della mansarda la nebbia
mescola le case come un brano d’opera
cantato in altre stagioni d’antiche radio.
*
Stessa stazione un anno dopo,
sala d’aspetto a sfogliare giornali;
un operaio interinale suicida:
lascia moglie e figli.
Teresa volta un’altra pagina
prima dell’ansia d’un volo interrotto nella nebbia.
L’Enrico – che la sua storia pare uscita
da un film d’Almodovar… da una canzone
di sorcini – vorrebbe una zingarata d’altri tempi,
tra campi come quando le risaie si riempivano;
non rimane che l’Emilio con la sua spoglia casa
tra lo scalo merci e il silenzio dei marmi.
Stasera guarderà una tribuna politica
prima di due passi in Duomo per i cent’anni
della sua Beneamata.
Fiulin si ricorda la pioggia a Senigallia,
con tua nonna già vittima dell’osteoporosi
e quel cancro che soffiava da Casale
non troppo lontano.
C’era un sole d’autunno a Barceloneta
tra mura sfarinate di vecchi pescatori:
non è roba da turisti, tapas in quel bar
dove ancora ritrovi le facce di quartiere
incartapecorite dal sale e dai gas
*
I cavalieri d’Annibale
- si dice presso il Ticino, sconfissero
i fanti di Scipione in fuga sul Trebbia.
I cercatori d’oro – dai tempi di Plinio –
setacciano il fiume e ora non rimane
che pescare metalli pesanti
mentre la Tavola Periodica sgorga dal rubinetto.
Teodosio non ci credeva poi molto in quel Dio,
preferiva Apollo e Marte,
ma il potere delle religioni vale più di mille eserciti.
L’Emilio ripassa la sua storia
e quando Claretta sul divano si struscia,
manda giù il suo boccone amaro e gli anni all’Università.
Il professor Piero non capì mai
l’azione di Via Rasella e il figlio Franco,
comunista dell’ultima ora,
forse ci sperava davvero nella Rivoluzione.
Nell’antica provincia romana c’è odore
di raffineria, di petroliere nel porto
che tanti sghei hanno portato:
guai a parlarne ma quei sorrisi non diventeranno
mai padri e la chemio per quel cancro al polmone
ha il sapore nero del vento che s’alza di notte.
Dall’antologia La Coda della Galassia (Rimini, Fara Editore, 2005)
Un’altra San Martino
Non riuscire a svellere meningi
per comprendere il perché d’affondare
i baffi in un piatto di tortelli di zucca
irrigati da un bicchiere di Refosco:
zucche svuotate per una nuova festa
importata da telecomandi
– “Dolcetto o scherzetto?” –
in fila al supermercato col carrello
gonfio o ai cancelli di cimiteri
nelle tasche fiori già passiti
ai primi ghiacci dopo San Martino.
“Troppo mosso il mare! Nessuno sbarco su carrette!”
Nosferatu posa i suoi canini su aliquote
mentre Sallustio – nella Trinacria –
dopo essersi rimpinzato di sesterzi
si dedica all’Otium.
Scavalcati da “terroni” elvetici in un’orgia
di cariche fischiano proiettili di Capi Morra
tra i vicoli – “Com’era strano l’albergo
della gita a Napoli!” –
e dall’autostrada pulsano le luci di raffinerie,
tossi nere di petrolio di bronchi
e la nebbia confonde cascine dove danzare
sui tavoli, camion sul ciglio rimorchiano
“Battone” tra lo schifo malcelato
dello sguardo d’un architetto con lo Spadone.
(cliente della prima ora!)
I bambini non sentono più il sapore del canto
delle galline e il brusio d’un orto
appena innaffiato;
questo mese sono uscite tre antologie:
“Ma noi ci siamo?”
Luca Ariano è nato nel 1979 a Mortara (PV), è cresciuto a Vigevano e dal 1998 vive a Parma. Ha pubblicato nel 1999 la raccolta di poesie Bagliori crepuscolari nel buio presso Cardano di Pavia. Numerose sue poesie sono apparse su riviste tra cui La Clessidra, Il Foglio Clandestino, Ciminiera, La Barriera, Tabard, clanDestino, Palazzo Sanvitale, Nel verso, siti e blog letterari in internet tra cui Faranews, Farablog, Viadellebelledonne, FuoriCasa.Poesia, La poesia e lo spirito, Oboe sommerso, La costruzione del verso, LiberInVersi e su antologie tra cui Oltre il tempo/ Undici poeti per una Metavanguardia, curata da Gian Ruggero Manzoni (Edizioni Diabasis, 2004) e La coda della galassia, a cura di Alessandro Ramberti (FaraEditore, 2005). Collabora con le riviste Il Foglio Clandestino e Tabard. La sua seconda raccolta di poesie è Bitume d’intorno, con la prefazione di Gian Ruggero Manzoni (per le Edizioni del Bradipo, 2005). Con Enrico Cerquiglini ha curato l'antologia Vicino alle nubi sulla montagna crollata (Campanotto, 2008).