(Giuseppe Bezzuoli e Stefano Ussi). La pittura di storia, ampliò nell’Ottocento i propri orizzonti tematici e sperimentò nuove tecniche linguistiche che per le intrinseche possibilità comunicative le conferirono una grande popolarità. Ai mutamenti politici e sociali, che interessarono in maniera diversa i vecchi stati italiani corrispose una riorganizzazione dell’educazione artistica. Le Accademie conobbero una profonda trasformazione col prevalere del principio di affidare all’arte una dimensione civile e pertanto nelle Accademie nazionali di Milano, Bologna e Venezia venne esaltata la funzione della pittura di storia.
La pittura di storia veniva commissionata grazie al sistema dei concorsi che soddisfaceva sia le aspirazioni degli artisti sia le attese del pubblico che poteva assistere alle esposizioni.
La pittura di Storia italiana, a Milano, si mosse su un filone storico legato al Medioevo e come riconobbe lo stesso Mazzini, non riuscì, prima dell’Unità, ad avvicinarsi ai temi contemporanei (in relazione vedi: Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta di Fattori, in Manuale Tellus).
Nel Regno Lombardo-veneto, l’Accademia di Brera, a Milano, grazie ai pittori: Sabatelli e Hayez, acquistò prestigio e fu di richiamo per molti artisti, poiché privilegiava la pittura di storia, libera da convenzioni neoclassiche.
La proposta più interessante venne da Hayez che scelse un tema popolare come La Sete dei Crociati sotto Gerusalemme, legato alla tradizione epica, dal Tasso al Grossi, e al Melodramma: I Lombardi alla prima crociata con musiche di Giuseppe Verdi.
La Cacciata del Barbarossa dell’Arienti, (1851), rispondeva alle nuove istanze retoriche di una pittura come manifesto politico che ormai subentrava con la sua gestualità e la sua foga cromatica a quella dinastica.
Un genere storico-celebrativo, che suscitasse il consenso intorno alle memorie culturali del nostro paese si ebbe in Toscana dove il governo granducale, per il Congresso degli Scienziati Italiani del 1841, invece dei fasti del proprio casato preferì affrescare la Tribuna di Galileo alla Specola con i personaggi del progresso scientifico da Leonardo a Volta e ne affidò l’incarico a: Bezzuoli, Cianfanelli e Sabatelli.
In Toscana, protagonista del rinnovamento fu Giuseppe Bezzuoli con la grande tela L’Ingresso di Carlo VIII a Firenze completata nel 1829 per il Granduca.
Il tema consentì un’orchestrazione corale della scena, dove accanto al tradizionale eroe del quadro storico, comparivano il popolo, individuato nelle sue reazioni, e una serie di illustri fiorentini con cui il pittore rendeva omaggio alla patria e garantiva al pubblico una ricca informazione.
Il quadro fu commissionato a Giuseppe Bezzuoli nel 1827 dal granduca Leopoldo II.
E’ un quadro di meditazione storica per il popolo (vedi immagine): Carlo VIII, sovrano francese entra in Firenze (1494) dalla porta S. Frediano con il suo seguito di guerrieri e dignitari, accompagnato dal cardinale Giuliano della Rovere( il futuro papa, Giulio II).
In primo piano, a destra è rappresentato Gerolamo Savonarola mentre dice a Francesco Valori: “Si avvera la profezia, entra in Firenze l’Anticristo”; il personaggio dallo sguardo violento è Pier Capponi che pronuncia la famosa frase: “Voi suonerete le vostre trombe, noi suoneremo le nostre campane”, messo a tacere dal cancelliere di Firenze. Machiavelli (figura con i capelli corti) indica col pollice Carlo e vede avverarsi la sua idea politica: “Il fine giustifica i mezzi”. Davanti al re s’inchina il Gonfaloniere del Comune di Firenze. Il tema del quadro riprende in parte le “Istorie della città di Firenze” di Jacopo Nardi. “Venne il re con tutta la pompa per il borgo di San Friano…Seguitò poi la medesima pompa per il borgo di san Jacopo sopr’Arno, e passato il ponte Vecchio, per porta santa Maria e per Vacchereccia e per piazza, e dal palagio del Podestà e dietro a’ fondamenti di santa Maria del Fiore, si condusse alla maestra porta della detta chiesa, ove fu ricevuto dal clero”.
Bezzuoli scelse questo tema per: richiamare alla mente dei suoi concittadini le conseguenze delle discordie civili; rappresentare i personaggi più illustri del tempo che ebbero un peso notevole nelle sorti della repubblica fiorentina; esprimere le passioni popolari e il sentimento di libertà; rappresentare la prepotenza di un conquistatore
Carlo domina la scena con alterezza. Con la destra che regge la lancia e la sinistra posata sull’elsa della spada, manifesta l’orgoglio della propria fortuna. Delicata è l’espressione del paggio, che conduce il reale destriero. Servile il Gonfaloniere mentre presenta al re uno dei Priori. Arrogante il re per l’accoglienza che gli riserva. Un cittadino addita i modi arroganti del re, un altro, coprendosi il viso, deplora la libertà perduta. Nello stesso anno in cui Bezzuoli terminava il quadro, Hayez dipingeva Pietro l’eremita, superando i canoni del Neoclassicismo per un’arte densa di contenuti civili.
La pittura di Storia si sostituì alla Mitologia “a pingere le azioni generose de’ padri nostri, ad innalzare col loro esempio gli animi alla virtù. Sia lode ad Hayez che fra’ i primi sempre nei suoi dipinti presentò avvenimenti di storia” (L. Sabatelli).
Il quadro è una metafora: bisogna guardarsi dai potenti per conservare la Libertà
Stefano Ussi nel 1860 dipinse La cacciata del duca d’Atene, ovvero l’esilio di Gualtieri di Brienne, momento storico in cui Firenze difese la sua libertà scacciando il tiranno.
Il ducato di Atene fu costituito nel 1205 dopo la quarta crociata. Gualtieri di Brienne fu nominato duca d’Atene nel 1308 e nello stesso anno, fu inviato a Firenze da Roberto d’Angiò come suo vicario. Eletto capitano generale dei fiorentini, ottenne la Signoria di Firenze nel 1342, ma essendo diventato troppo crudele fu cacciato nel 1343.
L’opera fu commissionata all’artista con una sottoscrizione.
Al centro del quadro (vedi immagine) è rappresentato Gualtieri di Brienne, perplesso se firmare o no la rinuncia alla signoria di Firenze. Accanto al duca, il crudele Cerrettieri Visdomini ( per il quale posò Domenico Morelli), personaggio molto crudele e a sinistra i capi delle congiure (le congiure furono tre) e tra questi, in primo piano, l’arcivescovo Acciaioli. Alla sinistra del Duca, un soldato ferito e con la testa fasciata ( per il quale posò lo stesso Ussi, facendosi ritrarre dal Cassioli), sollecita il signore a firmare. I vetri rotti e le figure che sbandierano dalle finestre indicano il tumulto nella piazza.
Il dipinto trae ispirazione dal II libro delle -Istorie fiorentine-di Niccolò Machiavelli sebbene il tema fosse tornato d’attualità grazie al romanzo di N. Tommaseo (1837) “ Il Duca d’Atene”.
L’opera non convinse del tutto i contemporanei che la criticarono, poiché si stava affermando la rappresentazione dell’immagine moderna attraverso la forma e la luce.
Il quadro è una metafora: Il popolo combatte contro i soprusi del potere in nome della Libertà
( da:Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Romanzi e Pittura di Storia” a cura di Carlo Sisi Sezione Didattica degli Uffizi 1988)
Per la Pittura di storia vedi:
La pittura come cronaca “La zattera della Medusa”, Scuola-Laboratorio
Medioevo romantico: Manzoni, Hayez, Verdi, Scuola-Laboratorio
Pittura di Storia. Prima parte: Contesto storico-culturale, Scuola- Manuale Tellus
Elementi del Neoclassicismo in Canova, David e Gros, Scuola-Laboratorio
Pittura di Storia con Hayez romantico, Scuola-Manuale Tellus
Il caso a parte di Francisco Goya, Scuola-Laboratorio
“Il bacio” di F. Hayez, Scuola-Manuale Tellus
A. L.
Giuseppe Bezzuoli (Firenze 1784-1855) L’entrata di Carlo VIII a Firenze (1829), olio su tela,cm. 290-356 Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze
Stefano Ussi ( Firenze 1822- 1901)La cacciata del Duca d’Atene ( 1860), olio su tela, cm. 320-452 Iscrizioni: in basso a destra << S. Ussi 1860>> Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze