La scuola è stata, in questo Paese, l’istituzione che ha realizzato più di tutte il dettato costituzionale dell’uguaglianza fra i cittadini, impegnandosi a rimuovere gli ostacoli alla sua realizzazione.
Pur nelle difficoltà dovute a riforme parziali e finanziamenti sempre insufficienti, e tenendo conto delle differenze tra i vari ordini di scuola, tra i quali l’eccellenza è certamente della scuola elementare, la stragrande maggioranza delle e degli insegnanti ha lavorato per quella promozione umana sociale e culturale che ha consentito a bambine e bambini, ragazzi e ragazze, di qualsiasi condizione, di crescere in un luogo in cui si sono sentiti uguali nella possibilità della differenza.
L’attacco alla scuola non riguarda solo i posti di lavoro degli insegnanti, ma in modo ben più grave è un attacco al patto costituzionale e al futuro delle nuove generazioni.
Oggi i problemi economici del nostro Paese non sono dovuti alle spese per la scuola, e certo tra queste non agli stipendi degli insegnanti, nei confronti dei quali la vergogna dei bassi stipendi si è unita all’elargizione di piccoli privilegi, oggi completamente cancellati, che in realtà favorivano il lavoro casalingo femminile non pagato e stupidamente mai considerato come fonte della ricchezza del paese.
La crisi economica è dovuta ai manager incapaci o furbastri o ladri, è dovuta all’incapacità di gestione o alle complicità dei politici che pensano agli affari loro contro il bene del Paese.
Se c’è assenteismo in certi settori pubblici la responsabilità è dei dirigenti che non svolgono la loro funzione e preferiscono la connivenza per loro utilità personale.
La scuola è l’unico luogo in cui è interamente presente tutta la popolazione dai tre ai diciotto anni con tutte le sue meravigliose potenzialità, straordinarie e quotidianamente faticose differenze, creatività e disagio, bisogni e desideri, voglia e paura di crescere.
La scuola è l’unico luogo in cui possiamo intuire le speranze e le minacce, aprire nuove strade e mettere ordine nelle valige dei patrimoni da portare nel viaggio che disegna la sua mappa di generazione in generazione.
Cancellare luoghi, le scuole di montagna e delle isole, ammassare le piccole persone, nelle aule e nei megaistituti, sostituire le relazioni umane con le tecnologie e soprattutto sottrarre la presenza di adulti competenti, che hanno il compito di trasmettere il patrimonio culturale perché diventi creativamente fruibile da tutte e tutti, non significa solo ridurre gli insegnanti a compiti di babysitteraggio o polizia, a seconda delle età e situazioni, ma considerare i nostri figli e figlie meno importanti delle banche, dei consumi, delle aziende che vengono salvate, del mutuo per l’auto, delle vacanze, significa non rispettarli nella loro dignità di persone che hanno diritto al meglio, se vogliamo che il dono della vita, che ci perpetua come specie, non diventi un peso insostenibile, e non perché mancano i beni, ma perché manca l’amore di un’intera società nei confronti dei suoi piccoli.
Nella scuola e in tutti i settori pubblici in cui prevale la cura delle persone sono presenti in maggioranza le donne che, come sappiamo, erogano anche la maggior parte del lavoro gratuito indispensabile per la crescita dei bambini, la cura degli anziani e delle famiglie.
L’attacco alla scuola è quindi una scelta politica che penalizza soprattutto le donne, soprattutto le famiglie, soprattutto le giovani generazioni.
Una politica che salva banche e società finanziarie, non considerando reati penali l’inquinamento e le dichiarazioni false, e toglie la sussistenza alla scuola, non è più politica, ma un abuso di potere che mira a smantellare le fondamenta della democrazia.
Rosangela Pesenti
insegnante Liceo “Don Milani”, Romano di Lombardia