Per cercare le chiavi del presente, e per capirlo, bisogna uscire dal rumore: andare in fondo alla notte, o in fondo al nulla; magari laggiù, un po’ a sinistra e un po’ oltre il secondo cavalcavia, sotto il «macigno bianco» che oggi non si vede. Nel villaggio fantasma di Zardino, nella storia di Antonia. E così ho fatto. In tal modo si esprime nella Premessa Sebastiano Vassalli, 67enne novarese nato a Genova da padre lombardo e madre toscana (e laureatosi in Lettere a Milano discutendo con Cesare Musatti, il grande psicanalista, una tesi su psicanalisi e arte), in relazione a La chimera, il suo romanzo edito nel 1990 e che ha mietuto infiniti successi di vendita (oltre venti le edizioni, con svariate traduzioni all'estero) e di critica (Premi Strega e Campiello). Un romanzo che trova collocazione a cavallo del Seicento, una storia cruda e crudele, una magistrale invenzione narrativa, con le lucenti e tragiche stimmate della Storia, di uno degli autori più amati del pubblico italiano, sempre originale e mai scontato (La notte della cometa, Dux, Stella avvelenata et alia).
«Un romanzo indimenticabile», lo definisce Laura Sicignano, che ne ha curato adattamento e regia per lo spettacolo La Strega (orari: dal martedì al sabato ore 21, domenica ore 17, lunedì riposo. Biglietti: posto unico € 12. Info e prenotazioni: tel. 02.86454545), che con la Compagnia Teatro Cargo ha aperto la stagione del Teatro “Litta” (Sala La Cavallerizza, Corso Magenta 24, Milano) e qui in programma sino al 19 ottobre. Fiammetta Bellone interpreta Antonia, la bella Antonia, deposta in fasce, in una gelida notte del gennaio 1590, quella di Sant'Antonio, vicino al Convento di San Michele, a Novara, e condannata ad ardere sul rogo vent'anni dopo la sua nascita, nel settembre 1610. Un triste e durissimo epilogo, la bellezza vissuta come una colpa, una parabola fra gioia panica, amore, dolore e incomprensione estrema, la ribellione inutile (?) al mondo spietato, un apologo sulla verità, illusioni, speranze e ingiustizie, una metafora quanto mai attuale dell'oscurantismo sociale e culturale.
«Antonia cresce con una coppia di contadini che l'adottano e vive in un mondo fatto di poveri cristi: mendicanti, soldati mercenari, spacciatori di finte reliquie, falsi preti, pazzi, comari maligne e pettegole, nel clima della Controriforma. S'innamora di Gaspare, un camminante, ossia un vagabondo, e spesso lo incontra di nascosto la notte, ignara di quello in cui le malelingue avrebbero potuto trasformare la storia d’amore tra due ragazzi. In paese infatti iniziano a circolare voci orribili sul suo conto e chi l’ha vista scomparire nel bosco tutte le notti crede prenda parte a dei Sabba di streghe. Subito è il vuoto intorno alla bella ragazza dai capelli neri e dai tratti spagnoleggianti, subito pullulano leggende sui presunti malefici da lei compiuti. Da qui il processo. Antonia si trova davanti all'Inquisitore e una fila di testimoni depone contro di lei, non c’è scampo, e a vent'anni la sua vita è tragicamente spezzata», è la presentazione che viene fatta del lavoro, la cui messa in scena avviene peraltro in uno spazio scarno ed essenziale: una sedia, luci di candele, frutti scarlatti e odorosi infilzati in acuminati spiedi.
«È la storia di una persona divorata dalla Storia» spiega la Sicignano. «Antonia è una gesù crista. Il capro espiatorio di una collettività che, imbevuta di sensi di colpa, deve espiare i suoi mali nel fuoco e nel sangue. L’ennesima storia di Cristo in croce per lavare i peccati del mondo. Ma Antonia non ha il senso del peccato, non è Giovanna d’Arco, sfolgorante martire grata al proprio martirio. Antonia non è una strega, è solo un animale di carne che vive la propria carne in una ribelle gioia dei sensi, in un forsennato istinto di sopravvivenza. Antonia è predestinata ad essere capro espiatorio fin dalla sua nascita di oscura orfana, marchiata da una nefasta bellezza carnale che non le consente di nascondersi nelle pieghe della vita, ma la espone agli sguardi morbosi del mondo. È la mela biblica, la mela marcia e la mela del rito magico e ancora la mela che in campagna si conservava durante l’inverno nelle stalle». Le mele della scena... simboli.
Il Teatro Cargo, che gestisce anche il “Teatro del Ponente” di Genova, vanta più di venti produzioni, coniugando tradizione e sperimentazione e proponendo sia spettacoli in cui si rivisitano testi classici sia testi originali della stessa Laura Sicignano.
Alberto Figliolia