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Yoani Sánchez. Che ci facevamo noi cubani in Angola
13 Ottobre 2008
 

Dal blog Generación Y

11 ottobre 2008

 

 

La guerra más larga

El jueves se estrenó en toda la Isla una película cubana sobre la guerra de Angola. En las afueras de los cines las parejitas han preferido cambiar el rumbo e irse a un lugar oscuro, pues la campaña cubana en África les despierta poco interés. El filme padece de una tardanza de un par de décadas y aborda una historia que aún tiene zonas sin desclasificar. Kangamba hubiera provocado largas colas y apasionados comentarios a finales de los ochenta; pero, a estas alturas, muy pocos quieren rememorar lo ocurrido.

La contienda cubana en tierras angolanas ha sido la guerra más larga de la historia de Cuba. Quince prolongados años peleando en otro suelo, matando o dejándose matar por gente que no sabía muy bien dónde estaba esta Isla. Eran los tiempos en que el Kremlin proyectaba su sombra sobre Cuba y ¡dependíamos tanto de él! que nuestros líderes no dudaron en sumarse a su campaña contra la UNITA. La geopolítica traza esas duras pruebas para los pequeños países que orbitan alrededor de los grandes imperios.

Reparo en que durante tres lustros de conflicto no aconteció en ninguna plaza pública una protesta de madres cubanas para no enviar sus hijos al frente. Nadie lanzó en los medios de difusión la pregunta que todos susurrábamos “¿Qué hacemos en Angola?” y mucho menos un movimiento pacifista llenó de palomas blancas algún punto de reclutamiento. Éramos más dóciles como ciudadanos de lo que somos hoy, y nos llevaron a perecer y a matar sin saber bien qué hacíamos.

Hoy estamos informados de cada baja que sufre el ejército norteamericano en Irak, pero recuerdo el secretismo sobre el número de soldados cubanos caídos durante la guerra angolana. Nos enterábamos que el vecino había perdido un hermano o que el colega de trabajo regresaba sin una pierna, pero la prensa sólo tocaba la sinfonía de la victoria. Los muertos se lloraron en la privacidad de las familias que no entendían muy bien qué hacían sus hijos al otro lado del Atlántico. Quedaron los nichos en el cementerio, las fotos enmarcadas en las salas familiares, los vasos de flores repletos en cada aniversario y los largos discursos de quienes habían visto la guerra desde lejos, pero nadie supo responder con claridad a la pregunta: ¿Qué hacíamos los cubanos en Angola?

 

Yoani Sánchez

 

 

La guerra più lunga

Giovedì è stata proiettata per la prima volta in tutta l’Isola una pellicola cubana sulla guerra d’Angola. Fuori dei cinema le coppiette hanno preferito cambiare direzione e appartarsi in un luogo oscuro, perché la campagna cubana in Africa desta poco interesse. Il film arriva con un ritardo più che ventennale e affronta una storia che presenta ancora aspetti poco chiari. Kangamba avrebbe provocato lunghe file e appassionati commenti sulla fine degli anni Ottanta; ma, in questo periodo storico, poche persone hanno voglia di ricordare l’accaduto.

La battaglia cubana nelle terre angolane è stata la guerra più lunga della storia di Cuba. Quindici interminabili anni combattendo in terra straniera, uccidendo o facendosi uccidere per gente che neppure sapeva dove si trovasse questa Isola. Erano i tempi in cui il Cremlino proiettava la sua ombra su Cuba, dipendevamo così tanto da lui che i nostri governanti non esitarono a unirsi alla sua campagna contro l’UNITA. La geopolitica traccia queste dure prove per i piccoli paesi che orbitano attorno ai grandi imperi.

Ricordo che durante tre lustri di conflitto non ebbe luogo in nessuna piazza pubblica una protesta di madri cubane per non mandare i loro figli al fronte. Nessuno pubblicò sui mezzi di informazione la domanda che tutti sussurravamo: “Cosa ci facciamo in Angola?” e tanto meno un movimento pacifista riempì di colombe bianche qualche luogo di reclutamento. Eravamo più docili come cittadini di come siamo oggi e fu così che ci portarono a morire e a uccidere senza sapere bene quello che facevamo. Oggi siamo informati di ogni perdita che soffre l’esercito nordamericano in Iraq, ma ricordo ancora il segreto sul numero di soldati cubani caduti durante la guerra angolana. Venivamo a sapere che il vicino di casa aveva perso un fratello o che il collega di lavoro ritornava senza una gamba, ma la stampa suonava soltanto la sinfonia della vittoria. I morti venivano commemorati nell’intimità delle famiglie che non comprendevano bene che cosa ci facessero i loro figli all’altro lato dell’Atlantico. Rimasero i loculi nel cimitero, le foto incorniciate nelle sale familiari, i vasi di fiori ricolmi a ogni anniversario e i lunghi discorsi di chi aveva visto la guerra solo da lontano, ma nessuno seppe rispondere con chiarezza alla domanda: Che cosa ci facevamo noi cubani in Angola?

 

Traduzione di Gordiano Lupi

 

 

Nota del traduttore: Ho affrontato il tema della guerra d’Angola per scrivere un romanzo noir ambientato tra l’Africa e L’Avana, un testo che dovrebbe uscire nel 2009 per un editore italiano. Ai fini della comprensione del post di Yoani basti sapere che nella guerra d’Angola esisteva un situazione complessa. L’UNITA, sostenuta dal Sudafrica, era forte nella zona di Namibe, mentre il governo centrale di Dos Santos - da Luanda - appoggiava le forze indipendentiste dello SWAPO che volevano liberare la Namibia. Lo SWAPO riceveva aiuti militari e denaro da Luanda per continuare la guerra contro il Sud Africa per liberare la Namibia. I Sudafricani intanto bombardavano l’Angola meridionale e facevano rapide incursioni contro i cubani a sostegno della guerriglia che portavano avanti i ribelli dell’UNITA. Dietro a tutto questo c’erano i soliti giochi politici alle spalle dei disgraziati. La CIA sosteneva l’UNITA e un pazzo criminale come Savimbi, mentre il KGB spalleggiava il MPLA e il capo di stato Dos Santos. I cubani dovevano difendere un territorio infido: il sud dell’Angola sconvolto dalla guerriglia. Per capire la guerra d’Angola è necessario approfondire le motivazioni storico - politiche che portano a considerare la partecipazione di Cuba come conseguenza dell’alleanza storica con l’Unione Sovietica. Difficile farlo capire alle madri dei figli che tornavano morti, impazziti e mutilati… (Gordiano Lupi)


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