Non è una voce dal sen fuggita, quella di Silvio Berlusconi che pone il suo Verboten non solo nei confronti di Leoluca Orlando come possibile presidente della Commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI, ma anche su Giuseppe Giulietti e l’intero gruppo parlamentare dell’Italia dei Valori. Così facendo, Berlusconi legittima e accredita il movimento di Antonio Di Pietro, esattamente come un paio d’anni fa legittimò e accreditò la Rifondazione Comunista di Fausto Bertinotti. Ricordate? Bertinotti era ospite fisso, collaboratore si potrebbe dire, dei principali talk show e programmi di approfondimento politico, esattamente come oggi lo sono Di Pietro e i suoi; era quella di Rifondazione Comunista la “voce” che veniva ascoltata nei telegiornali, esattamente come oggi lo è quella dell’Italia dei Valori. Era quella dei radicali che veniva silenziata, come oggi, assieme a tutti coloro che decidono di fare e di essere un po’ radicali, dal presidente della Repubblica al più umile dei cittadini. Stessa sorte, stesso trattamento.
È una storia, insomma, che si ripete; anzi: mai interrotta. Di Pietro assurge a rango di avversario. Perché a Berlusconi viene lasciata la libertà di scegliersi gli avversari, oltre che quella di nominare alleati, “amici”, vassalli. Così Di Pietro viene agevolato nel compito e nella funzione di calamita dello scontento del PD, intorno al PD e che comunque nel PD non si riconosce. Il mio “nemico” (si tenga conto delle virgolette, per cortesia), diventa insomma il mio “amico”, in quanto è, concretamente, il “nemico” del mio “nemico”. Di Pietro, che da sempre gioca una spregiudicata partita pro domo sua, si presta volentieri a questa operazione; ed erode sistematicamente consenso e voti all’opposizione, con un PD suicida e masochista che non perde occasione per aiutarlo nell’impresa. Ed è qui il problema. Perché Berlusconi e Di Pietro, uno speculare all’altro, giocano la loro partita; ma è il PD che non gioca la partita, è sceso in campo e segna gol su gol nella propria porta, sicché il povero portiere si trova a dover fronteggiare non undici, ma ventun giocatori. La dirigenza del PD mostra impietosamente, giorno dopo giorno tutta la sua inadeguatezza, la sua fragilità; l’immagine è quella di uno sventurato pugile che incontra sulla sua strada un Primo Carnera o un Mike Tyson prima che si riducesse a fare il buffone da circo. È insomma un PD preda di un cupio dissolvi avvilente e pericoloso: per il PD, per il paese; un PD incapace di offrire e formulare una politica “altra” su un qualsiasi terreno in cui l’attuale maggioranza lancia la sua sfida.
Pessimismo eccessivo? Volentieri si vorrebbe essere smentiti, ma la conferma viene dal “fare” e dal “non fare” quotidiano del PD stesso. Non ha torto Arturo Parisi, quando osserva che «tutto inizia dall’inizio», e rimprovera Walter Veltroni: «Invece di candidarsi alla leadership del nuovo partito per succedere poi nella premiership del nuovo governo, ha rovesciato la sequenza, candidandosi immediatamente alla premiership e in quanto tale alla leadership del partito».
Parisi individua nella rottura dell’esperienza ulivista l’origine della crisi del PD: «Invece di riproporsi in continuità con l’Ulivo come il baricentro, la guida e il timone del campo di centrosinistra, esattamente come il PdL nell’altro polo, proponeva la sua parzialità come totalità guidato dall’illusione di battere pressoché in solitudine lo schieramento avverso». Un fallimento annunciato e anzi, verrebbe da dire scientificamente programmato quando si lavorò per il depotenziamento dei “prodiani” e nella folle gestione delle primarie, quando invece di favorire la candidatura di Pannella e incamerare la ricchezza indubbia di quella presenza, la si è illegalmente, illegittimamente esclusa. Un clamoroso autogol confermato in queste ore. Ma si legga quello che dice Giulia Innocenzi, che cerca di candidarsi alle primarie per la guida dei giovani del PD:
«Anche la speranza della presentazione ufficiale delle candidature è svanita: solo ieri alle 20 mi hanno comunicato che la conferenza stampa prevista per oggi alle 16 nella sede del PD è stata cancellata, senza una data alternativa. Non vi sono gli strumenti conoscitivi necessari per svolgere una campagna elettorale. A nove giorni dalle elezioni, non vi è traccia dei nomi dei candidati sul sito del PD, non si sa dove si andrà a votare e non si sa neanche chi potrà votare, visto che la mia richiesta di voto a immigrati, disabili gravi non trasportabili e carcerati non ho ancora avuto risposta ufficiale da parte dell’on. Andrea Orlando. A queste condizioni non è possibile proseguire».
Ci sono poi le quotidiane, e improvvide dichiarazioni di una Livia Turco; gli smarcamenti e gli ammiccamenti di un Massimo D’Alema; e tutto quello che la cronaca politica ogni giorno ci offre. Con queste basi, queste premesse, questi comportamenti, quale partito nuovo, quale politica nuova, quale modello nuovo di partecipazione e di società stessa, si offre? E soprattutto, ma davvero si pensa d’essere credibili? Impegnati come sono a scavarsi la fossa l’un l’altro, i leader e i leaderini del PD raccolgono quello che seminano, e continuano a danzare inconsapevoli sull’orlo dell’abisso. Il loro è un percorso segnato da gravi e grossolani errori, un misto di arroganza e di impotenza i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti.
A costo di dire una scempiaggine. L’impressione è che Di Pietro si sia dato una mission: quella di distruggere il PD. Le prove generali saranno le elezioni in autunno in Abruzzo. Nando Pagnoncelli, il 7 settembre scorso (da La Stampa) ha certificato: «Il consenso per Di Pietro si sta impennando anche nelle regioni rosse e poi in Molise e in Abruzzo, in forme impressionanti».
E a costo di dirne una seconda scempiaggine: perché il PD si è alleato con Di Pietro nelle forme e nei modi che sappiamo? Lo vogliono finalmente spiegare? Le possibili risposte sono: a) per non inimicarsi la magistratura; b) per il timore di un ricatto; c) per l’arroganza di chi ritiene di essere il più forte, il più intelligente, il più bravo; d) per semplice stupidità.
E qui si torna al ragionamento di Berlusconi: che non ha qualità, ma certo ha notevoli capacità; e tra le sue capacità quella di comprendere al volo dove sta il suo interesse. Così ha perfettamente compreso che un forte Di Pietro è un qualcosa che va tutto a suo vantaggio; quello che il PD non comprende, non ha compreso e chissà se mai comprenderà è che continuare nella politica masochista di dare spazi e agibilità politica all’Italia dei Valori e mortificare Pannella e i radicali porterà innanzitutto alla loro rovina. Ma scusate: chi avrebbe interessa a valorizzare e massimamente sostenere la gravosa iniziativa di queste ore di Pannella e dei radicali? Se si restituisce dignità al Parlamento, ai parlamentari, alle istituzioni, chi, se non il PD per primo, ne guadagnerebbe? E chi, se non il PD dovrebbe essere massicciamente mobilitato perché questa dignità sia difesa, tutelata, garantita? È davvero sconcertante e avvilente la miopia della leadership del PD. Ma davvero se Veltroni non ci arriva, non c’è nessuno nel suo entourage che gli fa presente come sia perfino offensivo il messaggio in risposta alla richiesta radicale di un incontro politico al massimo livello, tra le delegazioni dei due partiti?
Come dice Parisi, “tutto inizia dall’inizio”. E, purtroppo, tutto fa pensare che quell’inizio porterà inevitabilmente a una catastrofica fine. E tuttavia, questo tempo di “monti furenti” non ci deve far dimenticare che esistono pur sempre le “fantastiche amicizie”, e sono quell’oltre centinaio di parlamentari che hanno deciso di associarsi alle iniziative radicali, di sostenerle e farle proprie. È vero che stanno condividendo il trattamento solitamente riservato ai radicali: silenziati, ignorati, “negati”. I compiti con cui ci dobbiamo misurare sono difficili e impegnativi; e le nostre responsabilità tanto più grandi, apparentemente, delle nostre forze. Isolati dai vertici dei partiti, ma non dalle loro basi; per questo, sappiamo di poter affrontare queste sfide con fiducia e speranza.
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 9 ottobre 2008)