Si fa un gran parlare del film Miracolo a Sant’Anna di Spike Lee. Regista celebre e celebrato nel mondo. Si rifà al romanzo omonimo di James McBride, autore anche della sceneggiatura.
Ci sono polemiche e ciance. E non potrebbe essere diversamente dal momento che sul film è stata orchestrata una grande attesa, con l’occhio puntato sull’eccidio di Sant’Anna di Stazzema (Lucca), il più cruento in Toscana (560 le vittime) e il secondo d’Italia, dietro a Marzabotto. Opera, tutti, dei nazifascisti.
Vai a vederlo, il film (eccessivamente lungo, eccessivamente americano), e ti accorgi che Lee ha teso a raccontare, soprattutto, attraverso quattro personaggi, la 92ª Divisone Buffalo Soldiers dell’esercito statunitense, formata unicamente da soldati afroamericani (neri)... La Divisone vituperata. Giudicata capace soltanto di azioni fallimentari. Per gli americani, la sventurata 92ª, traboccante di analfabeti superstiziosi e pessimi combattenti.
Bene, Lee la racconta per rintuzzare – giustamente – le accuse e celebrarla. La racconta in una situazione estremamente delicata, appunto l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, avvenuto il 12 agosto 1944, il giorno dopo la liberazione di Firenze. Eccidio parto della strategia di Kesselring, tesa a creare terrore (“immensi lutti”) nella popolazione, con l’obiettivo di fare terra bruciata intorno ai partigiani e consentire all’esercito nazista, ormai malandato, una ritirata senza problemi eccessivi.
In questo contesto, il film fa emergere soldati di ben altra statura di quella impressa nell’immaginario dei bianchi. Per ottenere questo, però, trascura di considerare che certe ferite, anche se ne è passato, di tempo, sono ben lontane dall’essere rimarginate in Italia. E per un motivo preciso, semplice: sono troppo profonde. Hanno sconvolto – per sempre – la vita di migliaia di famiglie. Soltanto in Toscana i nazifascisti si resero responsabili di eccidi che provocarono la morte di quasi cinquemila persone, in gran parte bambini, donne e anziani, nell’estate del 1944.
Come si fa a chiedere a chi ha ancora negli occhi quella lunga scia di sangue innocente, a chi almeno una volta la settimana va a deporre fiori sulla tombe della madre, del padre, dei fratelli, delle sorelle, della moglie e del marito; come si fa a pretendere da questa gente di chiudere i conti con il passato, come ha sollecitato Lee, e come altri, prima di lui, hanno fatto, e insistono, caso mai alimentando il tarlo del dubbio pur di fronte alla verità documentata?
Vero: quello di Lee è un film a soggetto, per di più tratto da un romanzo, non un documentario. Sicché può essere concessa qualche licenza. Ma a tutto c’è un limite. Non si possono cambiare le carte in tavola.
I riflettori puntati, tutti, sul film di Lee hanno messo in secondo piano un evento collegato: l’anteprima, a Lucca, di uno spezzone del documentario Inside Buffalo, che racconta per la prima volta le vicende storiche e umane della 92ª Divisione Buffalo Soldiers, impiegata nei luoghi più difficili. Autore è il regista Fred Kudjo Kuwornu, ghanese da parte di padre e toscano da parte di madre. Il documentario, una volta montato completamente, avrà la durata di 100 minuti. Nel progetto sono coinvolti la Provincia di Lucca, la Fondazione del Monte di Lucca, il Circolo Fondazione frateli Rosselli, la National Archives Records of Administration e la Libreria “Bill Clinton”. Senz’altro avrà meno spettatori del film di Lee. Però sarà più vero.
Lucca e Barga sono tra le città (poche) che hanno sempre onorato la 92ª Divisione Bufffalo.
Riccardo Cardellicchio