Tra le varie pratiche di allevamento dei figli c’è un punto nodale: il consumo di oggetti, di cose, di giochi con la conseguente ricaduta sul bilancio familiare.
Quanto costa un bambino? Ci sono spese necessarie di alimentazione, igiene personale, abbigliamento, servizi per l’infanzia, giochi e libri per crescere. Ciascuna voce è incrementata o diminuita dall’incidenza della volontà del bambino e dalla contrattazione.
Uno dei problemi che i genitori riferiscono è la difficoltà a far capire, a far ragionare i bambini sulla necessità di un oggetto e sul suo ruolo: ciascun oggetto è uno strumento per vivere meglio o peggio, secondo i gusti, non può diventare il fine della vita. Il possesso gratifica, ma dovrebbe essere un mezzo per sentirci meglio nella funzionalità quotidiana.
Il telefonino, il motorino, il videogioco… sono diventati un obiettivo anche per bambini piccoli, in una escalation di richieste sempre più costose e sempre meno ragionevoli. Dal punto di vista dei genitori c’è la volontà di contrattazione e di mediazione fra il desiderio del bambino e il bisogno di non spendere per il superfluo, ma spesso la spunta il bambino. Genitori che hanno già avuto tanto, hanno ora figli che vogliono tutto e subito; genitori che si sentono in colpa per il poco tempo dedicato ai bambini non riescono a dire di no e utilizzano il regalo come valore risarcitorio, genitori che non dicono di no perché è difficile, evita capricci e litigi, poi, in fondo, possono comunque permettersi la spesa.
E il bambino che ha e continua ad avere vive un senso di onnipotenza che sarà difficile scardinare più tardi, quando adolescente vorrà l’auto e la/il ragazza/o, un viaggio, denaro e molto altro che non basterà mai a soddisfare i desideri.
Ciò che non saprà costruire è il senso dell’attesa, il senso di possedere un desiderio per il quale spendere del tempo, dare qualcosa in cambio, il sogno da coltivare intimamente, per un tempo lungo, dilatato, con la soddisfazione quando riesci a raggiungerlo in parte o completamente.
Molti bambini, già da piccoli, vivono una quotidianità dove non riescono nemmeno a formulare un desiderio: gli adulti presenti hanno già risposto, in anticipo, alla fame, alla sete, al caldo e al freddo, alla voglia di uscire o di stare dentro, di giocare…
Invece il bambino deve costruirsi il suo percorso di vita, anche con fatica, con qualche sforzo e delusione, con dei ‘no’ che lo obbligano a pensare e a modificare il suo desiderio oppure a impegnarsi per raggiungerlo. “Se mi vuoi bene dimmi di no” era il titolo di un libro che circolava qualche anno fa, molto chiaro e indiscutibile! Proprio perché non siamo il centro del mondo, ma come noi ciascuno ha desideri e sogni, lo scontro con la realtà, che può essere anche diversa da come la vediamo noi, diventa necessario. Una volta si chiamava frustrazione, ovvero il ricondurci al senso del reale.
Un bambino abituato a sentirsi dire sempre ‘sì’ sarà un adulto vulnerabile perché non conosce il diniego, la frustrazione di una situazione non favorevole, la delusione e il dolore.
Occorre farsi gli anticorpi per vivere sereni sia da bambini che da adulti. Il senso del limite è la soglia dell’essere adulto rispetto all’adolescente che si percepisce onnipotente.
E sul terreno della spesa i bambini capiscono se vogliamo farli capire, occorre aiutarli con argomenti comprensibili, con il confronto sugli oggetti a loro conosciuti: il costo di una o 10 pizze, di più gelati o giochi da loro preferiti per un oggetto costoso.
Allora si possono costruire le possibilità di acquisto nel tempo, perché i soldi non escono dal bancomat, ma costano impegno e fatica, normalmente. Oppure si può decidere se vale la pena acquistarlo, o ancora si può rimandare a quando si ha qualche anno in più.
Il rischio dell’accontentare i figli sui mille desideri che hanno, pur con i tanti motivi che ci possono essere, è rappresentato dalla creazione di individui condizionati dal benessere, convinti che il vero valore della vita non sia l’essere, ma l’avere.
Fausta Svanella