[Ringraziamo Lorenzo Porta (per contatti: porta.l@email.it) per questo intervento dal titolo originale “Minime da un ambito locale con lo sguardo al mondo. Meno nonviolenti della domenica perché ci sia una domenica della nonviolenza”, che costituisce la traccia di un documento predisposto per l'incontro della Tavola per la nonviolenza che si terrà il 2 ottobre a Firenze]
Ho inviato questo contributo ai membri della costituenda Tavola per la nonviolenza a Firenze, un coordinamento di associazioni che opera sul territorio. È stata lanciata dal Movimento per lo sviluppo umano di Firenze. Ho aderito personalmente e ho cercato di coinvolgere l'associazione di cui sono responsabile, il Centro di documentazione sociale (Cedas). Non si tratta di un'adesione di cartello per aggiungersi ad un elenco di associazioni. L'offerta di partecipazione ci è stata data da un'aderente alla Comunità per lo sviluppo umano, Claudia Caruso, con la quale ho avuto il piacere di condividere un'esperienza di ricerca-azione sulla condizione giovanile, fondata sulla scrittura autobiografica, assieme al suo gruppo-classe dell'Istituto “Elsa Morante” per i servizi sociali. Fu un gran lavoro che partiva dai vissuti personali e che poi si è esteso a boule de neige a numerose scuole fiorentine, e poi di Scandicci e Prato, che aveva l'obiettivo di far emergere le contraddizioni principali di una condizione giovanile per poi cercare di individuare possibili percorsi di trasformazione. Era coinvolta l'Università, il Comune di Firenze, la Regione Toscana, e di quel percorso abbiamo dato conto nel libro: Autobiografie a scuola. Un metodo maieutico. Franco Angeli, 2004. Questo percorso maieutico ha creato legami tra le persone e non è un caso che poi i protagonisti di questa esperienza si rincontrino e facciano scaturire proposte. Ci tengo a sottolineare questa situazione di partenza, per differenziarla da un'adesione formale e per affermare che, quando vengono gettati semi perché si intessano trame di relazione tra le persone, volte alla coscientizzazione e alla trasformazione sociale, questi prima o poi germogliano nella libertà dei rapporti, senza stantie retoriche giovaniliste.
Un pensatore e un nonviolento pratico come Aldo Capitini nella sua concezione del tu-tutti anteponeva l'attenzione alla dimensione della singolarità alle logiche di apparato, ai grandi obiettivi, che nella loro grandiosità fanno uso di mezzi violenti difformi dal fine proclamato.
Auguro a questa costituenda Tavola della nonviolenza di poter rappresentare nella città e altrove un momento libero, vigile ed appassionato in cui ognuno “porta a tavola” qualcosa e, assieme, nel rispetto dell'autonomia e senza prevaricazioni, sia possibile individuare sinergie, percorsi comuni, obiettivi importanti.
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Cosa può “mettere sulla tavola” il Centro di documentazione sociale (Cedas)?
È un'associazione del volontariato che dal 1997 svolge attività di informazione e formazione sui temi della pace, dei diritti umani e delle esperienze interculturali. Cerca di coniugare un impegno per l'analisi delle cause delle disuguaglianze e la pratica di costruzione di risposte solidali e coscienti alla polverizzazione e divisione sociale. Ha svolto e svolge principalmente la sua attività negli ambiti dell'istruzione formale: scuole, università - dove alcuni suoi membri già operano come insegnanti o studenti -, e in tutti gli ambiti in cui c'è la possibilità di offrire percorsi culturali di promozione sociale ed umana a livello non formale ed informale. Dispone di materiale e documentazione sul tema della nonviolenza, delle pratiche educative ad essa ispirate e su alcune campagne di lotta importanti che si sono svolte nel nostro paese (la lotta contro la nuclearizzazione militare a Comiso negli anni '80, il movimento per la democrazia nelle università denominato “la Pantera” della fine degli anni '89-'90, esperienze di tipo interculturale in luoghi di forte tensione come, ad esempio, la situazione medio-orientale con riferimento a specifiche esperienze, guerre del Golfo, esperienze di scuola interculturale tra ebrei ed arabi, ecc.). Si pone l'obiettivo di mettere a disposizione tale documentazione quando potrà disporre di una sede idonea per farlo.
Negli ultimi anni ha svolto progetti rivolti ai giovani e alla condizione giovanile attraverso la raccolta di autobiografie giovanili. Inoltre ha sviluppato progetti sull'educazione alla legalità, realizzando contatti tra studenti e detenuti-studenti in collaborazione con il Polo universitario per il diritto allo studio dei detenuti e con il valido contribuito di studenti, ora già laureati o laureandi, come Giulia Molinengo, Tommaso Cassiani, Lorenzo Querci.
Nel sessantesimo anniversario della nostra Costituzione partecipa ad un progetto regionale che vede coinvolte numerose scuole sul tema dell'educazione alla legalità.
Non intende affrontare il tema della pace in modo generale e generico, ma vuole calarsi nelle contraddizioni sociali che hanno prodotto un profondo processo di individualizzazione delle pratiche dei soggetti, di corporativizzazione delle rivendicazioni con una perdita di capacità dialogica, di forza solidale e di memoria storica delle conquiste e delle lotte del passato per la diffusione della democrazia, non solo rappresentativa, ma a larga partecipazione sociale, fondata su reti attive della società civile organizzata.
Ma come persone e gruppi impegnati per una pace concreta dobbiamo domandarci le ragioni di una situazione di caduta partecipativa, rispetto alla quale nulla vale ripetere vecchi schemi del pacifismo del no, senza creare radicamento sociale e costruire nei diversi ambiti sociali percorsi di nonviolenza pratica.
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“Strani frutti” di questa globalizzazione: far competere i precari tra loro
Oggi i paesi cosiddetti emergenti cercano di sfidare il sistema occidentale sul suo terreno: progresso tecnologico, produzione di beni e servizi massimizzata, lotta durissima sulle regole del commercio per rispondere colpo su colpo al sistema delle dogane eretto in Occidente. Se cadessero le dogane protezioniste ai prodotti agricoli di Africa, Asia, America Latina in Europa e Stati Uniti si avrebbero pesantissime proteste dei proprietari agricoli americani ed europei con perdita di consenso di tutti i governi a prescindere da quale alleanza ci sia al potere nel panorama attuale delle alternanze.
Il processo che viviamo oggi viene chiamato globalizzazione. Molti sono gli “strani frutti” che sta producendo: uno di questi è la precarietà del lavoro. Si parla ad intermittenza, con scarse proposte di trasformazione efficace, della questione e del conseguente furto di vita, conoscenze e potenzialità vitali di una parte considerevole della società civile europea occidentale e in modo ancor piu' tragico degli strati subalterni russi, ucraini e rumeni per rimanere in Europa, cinesi, indiani, indonesiani in Asia, brasiliani, solo per citare importanti subcontinenti. Un miliardo e mezzo di persone provenienti da questi paesi sono poste dalle imprese fautrici di questa globalizzazione in diretta concorrenza sul terreno della progressiva precarietà con i precari e flessibili dell'occidente europeo.
È chiaro che oggi solo azioni coordinate a livello internazionale possono far emergere l'ingiustizia del meccanismo dell'accumulazione di capitale che provoca rovesci repentini delle condizioni di vita.
Se ci limitiamo all'Italia e agli studi più documentati, sono tra i dieci e gli undici milioni le persone fisiche coinvolte in diversa misura nell'occupazione flessibile. In base ai dati Istat confrontati con i dati di rilevazione del Sistema europeo dei conti nazionali e regionali (Sec95) si stima che almeno il 25% del prodotto interno lordo nazionale sia realizzato attraverso lavoro irregolare. Il passaggio dei lavoratori da un'attività flessibile, che assume profili diversi a seconda delle decine di varietà di contratti atipici (più di trenta), ad un lavoro decisamente irregolare, avviene con molta frequenza (vedi le analisi condotte sui dati Istat, Sec95, Isfol, Inail di Luciano Gallino in questi anni contenuti nel suo più recente testo, Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità, Laterza, 2007).
Non può essere che questa situazione provochi un'erosione di memoria storica, di slancio solidale, di furto di tempo? Perché non riuscire a portare al nostro livello “un'aggiunta nonviolenta organizzata” dentro queste situazioni?
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Gandhi: una citazione irrituale
Al di là delle citazioni retoriche, nel lavoro con i miei studenti, mi sono trovato ad approfondire alcuni scritti di Gandhi non molto conosciuti al folto pubblico, nei quali egli imposta una vera inchiesta dal basso sulla condizione dei lavoratori dell'indaco, la preziosa pianta che forniva quello stupendo colore che facevo gola ai capitani d'industria britannici.
Qui Gandhi adotta un metodo per l'analisi della condizione di sfruttamento degli operai dell'indaco, ritiene impossibile una battaglia legale, bisogna creare coscientizzazione e forza per fermare le imposizioni della coltivazione di un prodotto, che gli inglesi ottengono attraverso il lavoro schiavizzato degli indiani, per tingere i tessuti prodotti in Inghilterra e venduti sul mercato indiano a prezzi di concorrenza. Quella era la strategia del dominio imperialista inglese di allora (1917). E Gandhi con i suoi collaboratori conduce inchieste prima di intraprendere una linea di lotta.
Il caso dell'indaco nello stato del Bihar che ha come esito l'abolizione della norma dell'obbligo di coltivazione, le lotte ad Ahmedabad con i lavoratori e le lavoratrici delle filande, sono tutti esempi di esperimenti di verità in azione con la forza della nonviolenza, che non danno per presupposto che quel metodo è il migliore per principio, ma quel principio si misura con il contesto storico, con le condizioni concrete, può anche fallire. Sono esperimenti che cresceranno e raggiungeranno tappe importanti. Ma egli non ripete schemi a priori, attua pratiche che aprono varchi in cui possa liberarsi la parola dei senza voce e per fornire loro gli strumenti per la promozione sociale. Danilo Dolci, Martin Luther King jr., ma anche un valido sindacalismo non burocratico e corporativo si muovono su questa linea.
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Il servizio pubblico dell'istruzione
Oggi vediamo che la precarietà del lavoro è molto diffusa nel vasto settore terziario dei servizi a diversi livelli delle prestazioni, da quelle dequalificate a quelle che richiedono più conoscenza. Una situazione che ci richiama, pur nelle mutate condizioni strutturali, al vasto settore agricolo degli anni '50 con le sue forme di sfruttamento pesanti ed umilianti.
Anche il lavoro intellettuale è esposto ad una precarizzazione di lungo periodo nei diversi ambiti della produzione con un aumento della competitività tra singoli lavoratori che ottunde in loro quel processo collettivo di riconoscimento di una condizione comune, momento fondamentale per esprimere una forza cosciente di trasformazione. Tale condizione di precarietà competitiva è un dato strutturale anche nel campo dell'istruzione pubblica nei diversi gradi degli insegnamenti dalle elementari all'università.
Un'università, quella italiana, che vede ben sette studenti italiani scegliere le università straniere a fronte di un solo loro collega straniero che viene negli atenei italiani. La pratica della trasparenza e della democrazia nel reclutamento dei ricercatori e professori negli atenei ha raggiunto livelli di allarme, al punto che si sono invocati codici etici per le università, che però non riescono a limitare il sistema della cooptazione, fondato sulla corruzione. Un'università in cui la mobilità sociale ascendente per studenti con capitale culturale familiare medio basso è preclusa (cfr. www.lavoce.it, argomento: Scuola e Università, “Uguali perché mobili”, gennaio 2007; “La mobilità sociale resta al palo”, ottobre 2006).
Oggi poi vediamo intensificarsi l'attacco alla scuola pubblica a partire dalla scuola primaria, su cui si abbatte più pesantemente la scure della cacciata dei maestri già di ruolo. Gli emendamenti dell'opposizione in commissione al decreto 133 della ministra della pubblica istruzione sono stati respinti quasi nella totalità. Si sta preparando il varo del decreto a colpi di fiducia. È in preparazione un attacco frontale, che secondo una simulazione di scenario elaborata dal sindacato (elaborazione della Flc-Cgil), già dal prossimo anno nei diversi gradi scolastici farebbe scomparire 43.000 docenti e 15.000 tecnici, amministrativi ed ausiliari. Scomparirebbero le supplenze annuali. Le ore di lezione saranno ridotte. Come documentare e far emergere il lavoro educativo svolto dagli insegnanti che in questi anni si sono battuti per una scuola viva e partecipata? Come fermare la dispersione scolastica, che in Italia è al 20%, 10 punti sopra gli obiettivi di Lisbona, con punte del 30% in alcune aree del mezzogiorno? Giovani gettati sul mercato del lavoro con una debole preparazione sono destinati allo sfruttamento. Chi si preoccupa della loro formazione? Ora il tiro al bocciato riuscirà meglio con il voto di condotta revolver. Quando si parla di costi diventa sacrilego oggi ricordare che le potenti immissioni in ruolo degli insegnanti di religione cattolica sono anch'esse un costo, ma non assolvono al crescente bisogno di una crescita culturale laica nella conoscenza della dimensione religiosa, al di là della libera appartenenza confessionale. Anche lì' ci sono insegnanti bravissime e bravissimi, ma dipendono nelle nomine dalle curie vescovili.
Confessionalizzare lo spazio pubblico, privatizzare il servizio dell'istruzione, è la prospettiva che abbiamo di fronte. Questa è una restrizione della sfera pubblica come luogo del confronto garantito dai diritti, dove la logica del mercato è tenuta sotto controllo e dove le idee e le fedi non sono il mercato delle idee, ma appartenenze a confronto. La Costituzione italiana è uno scoglio da superare o una carta ancora da realizzare in alcuni punti qualificanti? Il sistema d'istruzione in una società è la linfa della democrazia e della partecipazione attiva.
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Scendono le spese per l'istruzione, ma salgono le spese militari
È amaro, ma conseguente ai modelli economici e culturali dominanti, che il Sipri ci dica che la spesa militare mondiale sia cresciuta in un anno del 6% e nel 2007 la spesa militare mondiale sfiora i 1.400 miliardi di dollari in valori correnti - pari a 1.214 miliardi in valori costanti, raggiungendo così la nuova cifra record dagli anni della Guerra fredda.
L'Italia è all'ottavo posto nel mondo con 33 miliardi di dollari di spesa militare (1,9 del Pil, 2007). I paesi dell'Unione Europea sono i principali esportatori di armi nel mondo per un valore - tra trasferimenti interni tra i membri dell'Ue e esportazioni extra-Ue - che si mantiene nel 2007 sulla cifra di 10,3 miliardi di dollari ricoprendo nell'insieme il 41,9% di tutti i trasferimenti internazionali. Qui l'Italia è ad un “rispettabilissimo” settimo posto (analisi di Unimondo sui Rapporti Sipri, dati 2007).
Sono grandi numeri, certo, sui quali quanto possiamo incidere? Difendendo, per esempio, la legge sul controllo del commercio delle armi, che ha subito modifiche nella direzione della più ampia discrezionalità delle imprese, ma ardue sono le difficoltà a creare consenso nei luoghi di lavoro, quando le imprese “tirano”.
Sicuramente la lotta per la pace si inscrive in una capacità di realizzare con atti quotidiani collettivi scelte che tolgano terreno fertile all'alimentazione di conflitti, che oggi hanno un campo di battaglia ben preciso: l'approvvigionamento energetico e delle risorse vitali per la sopravvivenza (ad esempio l'acqua).
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Domande minime ad una città, ma anche a tutte le città
Noi qui a Firenze, in questa città ricca di cultura e di arte, come possiamo dare corpo al motto “pensare globalmente ed agire localmente”?
Io cerco di esprimere questo nesso con alcune domande alle cui risposte speriamo si possa concorrere in molti di noi, Tavola per la pace.
Perché questa città non ha un piano energetico comunale ed è caduta all'ottantaduesimo posto delle 111 province italiane sui parametri della qualità ambientale (traffico motorizzato, riciclaggio rifiuti, verde cittadino)? (Rilevamento Istat, 2008).
Perché a Firenze migliaia di cittadini inviano domande per l'istallazione di pannelli solari, con introiti di tasse da parte del Comune per la sola presentazione, e queste domande vengono regolarmente bocciate ai sensi del regolamento edilizio comunale? La bontà di approvvigionarsi di un'energia pulita, che migliorerebbe la qualità dell'aria e che ci porterebbe progressivamente nella direzione di un'autoproduzione di energia, è incompatibile con la conservazione della bellezza dei tetti di terracotta?
Perché uno tra i più importanti servizi pubblici della città per numero di addetti, l'università, deve avere un buco di bilancio di svariati milioni di euro (50?) che si abbattono sulla qualità dell'offerta formativa e sul blocco di concorsi trasparenti per dare spazio nell'università a ricercatori preparati al servizio della comunità?
Sono spunti costruttivi per fare emergere un nocciolo spirituale anche nel lavoro di analisi delle condizioni materiali e storiche in cui operiamo, per metterci in condizione di migliorare insieme una realtà inadeguata a partire dai nostri atti quotidiani.
Lorenzo Porta
(da Voci e volti della nonviolenza, 30 settembre 2008)