L’anarchico Pinelli era il grande dimenticato della drammatica vicenda che si concluse con l’omicidio del commissario Calabresi. Chi sciaguratamente aveva preteso di vendicarlo uccidendo il suo presunto carnefice, in realtà contribuì a farlo morire una seconda volta creando le premesse di una rimozione, che ha quasi cancellato dalla memoria collettiva il ricordo di quest’altra vittima, di questa prima vittima di quella tragedia. Perché tale Pinelli è certamente stato quale che fosse la causa della sua morte.
Con la crudezza di cui è capace, da molti giudicata inopportuna, eccessiva, perfino sgradevole, Adriano Sofri ha avuto però il coraggio e il merito di rompere questa rimozione e questo silenzio, riportando Pinelli, l’incolpevole Pinelli, al centro di una vicenda di cui lui stesso, giudicato da una sentenza passata in giudicato mandante dell’omicidio Calabresi, è divenuto protagonista.
I commenti di stampa che sono seguiti si sono occupati assai più del “caso Sofri” che del “caso Pinelli”. Non così il Giudice Gerardo D’Ambrosio, oggi senatore del P.D., che indagò sulla morte di Pinelli, scagionando Calabresi e i suoi collaboratori e attribuendo ad un malore la causa della sua caduta dal quarto piano della Questura di Milano. D’Ambrosio ancora oggi sostiene che non fu né omicidio né suicidio e conferma le conclusioni cui giunse in quella sentenza.
Vorrei sommessamente dire a D’Ambrosio che per un malore si può svenire e cadere in terra, ma è davvero difficile che si possa precipitare dal quarto piano. Chi non era in quella stanza non può sapere cosa sia realmente accaduto. Personalmente non ho mai unito la mia voce ai tanti (non solo Lotta Continua, tutti i gruppi extraparlamentari, molti giornalisti e intellettuali di sinistra, anche dell’Avanti!) che parlarono allora di assassinio (“Pinelli è stato suicidato”). Sull’Astrolabio, il settimanale diretto da Ferruccio Parri, scrissi che se non c’erano delle responsabilità penali, c’erano, non potevano non esserci responsabilità amministrative. Chi detiene una persona in stato di fermo, ha un dovere di custodia, è responsabile della sua incolumità. Non possiamo sapere che cosa sia passato per la testa di Pinelli in quelle ore. Cosa gli è stato detto, cosa gli è stato fatto credere nelle lunghe ore di un pressante interrogatorio nel quadro di indagini unidirezionali (la pista anarchica) su una strage così efferata come quella della Banca dell’Agricoltura? Sono domande purtroppo che rimarranno senza risposta per sempre.
Chi scatenò la campagna contro Calabresi accusandolo dell’assassinio di Pinelli, si è assunto responsabilità gravissime. Ma furono altrettanto gravi le responsabilità di quanti pretesero di liquidarne la morte come un banale incidente, come un evento accidentale. Gli uni e gli altri contribuirono ad alimentare e far crescere quel clima di odio che portò poi alla barbara uccisione del Commissario.
Chi scrive onora la memoria del commissario Calabresi e rispetta i sentimenti dei suoi familiari, pur ritenendo che non sia con lo spirito di vendetta, non sia con l’accanimento contro Sofri che si onori davvero la memoria di una vittima. E tuttavia quell’onore e quella memoria non possono e non debbono cancellare l’onore e la memoria di quell’altra vittima, l’incolpevole Pinelli, che non fu la prima e purtroppo non fu l’ultima della tragica vicenda che aveva avuto inizio con la strage di Piazza Fontana.
Gianfranco Spadaccia
(da Notizie radicali, 25 settembre 2008)