Legittima difesa. Negata in Iran alle donne. Altrimenti Nazanin, che uccise l'uomo che tentava di violentarla, non sarebbe sul punto di salire sul patibolo. Pena di morte garantita in Iran ai minorenni. Altrimenti la stessa Nazanin non sarebbe stata condannata all'impiccagione per un reato commesso quando aveva 17 anni. Una sola allucinante vicenda illumina due enormi macchie nere del sistema giudiziario iraniano. Una storia, una delle tante sfornate dalla fucina di crimini contro l'umanità all' opera nel Paese in cui i teocrati sono al potere. Il drammatico caso di Nazanin è illustrato da Elisabetta Zamparutti, che ha curato il rapporto di Nessuno tocchi Caino sulla pena di morte in Iran, e da Nella Condorelli di Articolo 21.
«Ho gridato, ho chiesto aiuto. Il parco era pieno di gente, ma nessuno è venuto ad aiutarmi. Cosa avrei dovuto fare?» Questa la vana autogiustificazione di Nazanin, aggredita da due uomini in un giardino pubblico di Teheran dove si era recata in compagnia di una nipote. La giovane aveva un coltello e l'ha usato per sottrarsi all'assalto. Uno dei violentatori è morto. Per il tribunale un omicidio come un altro. Uno dei numerosi reati che nella Repubblica islamica si punisce con la morte. Per salvare la vita di Nazanm numerose personalità della politica, della cultura, dello spettacolo, come Emma Bonino, Rita Levi Montalcini, Elie Wiesel, Lucia Annunziata, Sabrina Ferilli, hanno lanciato un appello all'Onu e all'Unione Europea. Nel testo si sottolinea che «nel carcere minorile di Teheran e in quello di Rajai-Shahr ci sono almeno trenta persone condannate a morte, che avevano meno di 18 anni quando hanno compiuto il reato», e che «nel 2005 almeno otto sono state impiccate in violazione della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo». Una di quelle convenzioni che Teheran ha sottoscritto, ma che evidentemente non applica. Nella classifica dei «Paesi boia», annota il rapporto di Nessuno tocchi Caino, il regime degli ayatollah è secondo solo alla Cina, ma «in rapporto alla popolazione è come se fosse arrivato primo».
Almeno 191 sentenze capitali emesse e 113 eseguite, sono il macabro bilancio dell'anno appena trascorso. Cifre probabilmente approssimate per difetto, visto che le autorità non forniscono dati ufficiali, e i calcoli vengono fatti sulla base delle notizie di stampa. Il Consiglio nazionale della resistenza iraniana valuta ad esempio che dal giugno scorso, quando Mahmud Ahmadinejad fu eletto alla presidenza, le persone messe a morte siano state ben 140. Una «democrazia totalitaria» l'Iran, secondo il sociologo Khaled Fouad Allam. Una «dittatura costretta a concessioni democratiche», secondo Ahmad Rafat, portavoce dell'Iniziativa per la libertà di espressione in Iran. Un Paese nel quale i diritti umani sono abbondantemente violati, come rilevano entrambi nell'aderire all'appello per la salvezza di Nazanin. Rafat ricorda anche, in aggiunta all'elevato numero di esecuzioni legali, la piaga delle eliminazioni «extragiudiziali». Ed esprime timore per la sorte di Elham Afrotan, una giornalista di 19 anni, arrestata insieme ad altri sei colleghi per un articolo satirico pubblicato sul settimanale Tamadone Hormozgan, nel quale si paragonava la vittoria della Rivoluzione khomeinista alla diffusione dell'Aids. A quanto risulta i reporter incriminati sono reclusi nel carcere di Bandar Abbas, dove la Afrotan avrebbe provato due volte a togliersi la vita. Rafat sospetta che le voci di tentato suicidio siano diffuse ad arte per nascondere qualcosa di ancora più grave.
Purtroppo, fa notare Emma Bonino, il mondo, e l'Europa in particolare, «focalizzano il proprio interesse sulla questione nucleare», trascurando lo stato della democrazia in Iran. Sarebbe meglio riflettere sulle parole del premio Nobel per la pace Shirin Ebadi, che, rivolgendosi alla comunità internazionale, svolge sostanzialmente questo ragionamento: «Non so se fermerete l'Iran nella sua corsa alle armi nucleari, che comunque prenderebbe diversi anni. Ma intanto il problema attuale è cosa voi intendiate fare affinché l'Iran trovi la strada verso una società più aperta e libera». La Bonino aggiunge: «Concentrando la nostra attenzione sulla minaccia atomica, non aiutiamo coloro che tentano di democratizzare l'Iran, perché diamo loro l'impressione che quella sia l'unica cosa che ci sta a cuore».
Gabriel Bertinetto
(da L'Unità, 18 febbraio 2006, pag. 3)