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Gianfranco Spadaccia. Taccuino. Appunti, commenti, polemiche
24 Settembre 2008
 

Keynes non è stato affatto di moda negli ultimi quindici anni. Gli è stato preferito e contrapposto Von Hayek come un economista legato al liberalismo classico. Lui invece è stato demonizzato come un teorico dello statalismo e della programmazione economica quasi fosse un pericoloso collettivista. Invece Keynes fu un economista liberale che, memore della crisi catastrofica del 1929, ha studiato tutta la vita per capire come fosse possibile impedirne il ripetersi. Combatté il protezionismo, che insieme a una incontrollata speculazione finanziaria era stato una delle cause principali della crisi, la quale per altro aveva dimostrato che nessuna barriera protezionistica, neppure la più alta e autarchica, poteva mettere al riparo gli altri stati da un evento così devastante. La crisi dilagò infatti in tutta Europa e nel resto del mondo determinando prima una recessione economica spaventosa e poi una stagnazione mondiale che durò fino alla seconda guerra mondiale. K. indicò nella libertà degli scambi e, al contempo, nella creazione di strumenti di governo internazionale delle politiche monetarie gli strumenti necessari per conseguire questo scopo. Considerato il padre degli accordi di Bretton Woods, che aveva in effetti sollecitato e contribuito a preparare, non fu tuttavia affatto soddisfatto di quegli accordi che ritenne insufficienti, così come ritenne eccessivamente timida e profondamente inadeguata la politica di liberalizzazioni degli scambi. E tuttavia si deve proprio a ciò che si è riusciti a ottenere nei decenni successivi su questi due terreni, l’ininterrotto sviluppo che ha conosciuto per oltre mezzo secolo il mondo occidentale e, di riflesso, l’intera economia mondiale. Forse si sarebbe riusciti ad evitare le crisi che - con l’esplosione della enorme bolla finanziaria - ha colpito le grandi banche d’investimento americane, se si fosse continuato ad operare nelle due direzioni indicate da Keynes e non si fosse lasciata crescere illimitatamente, fuori di ogni regola e di ogni controllo, l’economia finanziaria senza alcun riferimento ormai allo sviluppo dell’economia reale.

Ora che una delle crisi da lui paventata si è verificata, in dimensioni e proporzioni che potremo misurare solo nei prossimi mesi ed anni, il grande economista sembra improvvisamente tornare di moda. Non ci rassicura affatto che ad invocarne i rimedi siano oggi proprio coloro che in questi lunghi anni lo avevano messo da parte o addirittura demonizzato come un cattivo maestro. Non ci rassicura affatto che il ricorso alle politiche keynesiane di intervento sull’economia sia oggi sollecitato da Giulio Tremonti. Keynes aveva escogitato la politica del deficit spending per combattere i pericoli di recessione nei momenti di caduta dello sviluppo economico ma non aveva mai teorizzato il ricorso illimitato e incontrollato alle politiche di indebitamento, come è stato praticato in Italia dagli anni ’70 agli anni ’90. Beniamino Andreatta, che pure come consulente di Moro nei primi governi di centro-sinistra aveva spinto per politiche di deficit spending, più tardi quando si rese conto degli effetti nefasti che, anche a causa dell’introduzione della legge finanziaria, erano stati prodotti, da parlamentare, da ministro del tesoro e da presidente di commissione si trasformò in un rigoroso sostenitore dell’avanzo di bilancio e della politica di privatizzazioni e di liberalizzazioni (a lui si deve il divorzio fra il tesoro e la Banca d’Italia, che eliminò una delle cause, forse la principale, di deficit e di inflazione). Ora con il non invidiabile record europeo del nostro debito pubblico e nella previsione purtroppo realistica di un probabile e imminente aumento dei tassi di interesse che gravano sul debito, l’invocazione delle politiche keynesiane ci fa temere un nuovo tradimento del pensiero di Keynes. Nei pericoli di crisi occorrono politiche coraggiose ma anche rigorose. Di tutto abbiamo bisogno tranne che di una nuova stagione di finanza creativa.

 

Gianfranco Spadaccia

(da Notizie radicali, 23 settembre 2008)


 
 
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