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Livio Pepino: La mafia che si trasforma in potere
24 Settembre 2008
 

 

Come curatore della rubrica “I Care... communication” su questo giornale on line, accogliamo dalla rivista del Gruppo Abele, Narcomafie, questo intervento molto significativo che volentieri pubblichiamo. (Piero Cappelli)

 

 

 

LA MAFIA CHE SI TRASFORMA IN POTERE

 

Esce in questi questi giorni una pubblicazione che ci piace segnalare, frutto del lavoro di anni di questo giorna­le. Si tratta del Nuovo dizionario di mafia e antimafia pubblicato per i tipi di Ega nella collana dei libri di Nar­comafie. Non sta, forse, a noi dirlo, ma si tratta di un evento significativo sul piano politico e culturale. È, in­fatti, un tentativo di approfondire l'analisi dell'arcipela­go mafia intorno a una serie di parole chiave in un mo­mento in cui, nel disinteresse dei più (ché il tema sembra essere passato di moda), le mafie si stanno riciclando trasformandosi sempre più in poteri. È, dunque, una occasione propizia per alcune riflessioni sul punto.

  

C'è, in questa fase politica, un ele­mento importante e trascurato. È la cosiddetta esternalizzazione dell'uso della forza da parte dei poteri pubblici che si manifesta in forme diverse (dall'impiego in ope­razioni belliche di forze irregolari, ingaggiate da società private, alla gestione ad opera di agenzie private di prigioni e corpi di sicurezza: i vigilantes diffusi in tutte le società occiden­tali). Orbene, la caratteristica della fase è che queste talo­ra funzioni vengono assunte in proprio dalle mafie. Il fatto, a ben guardare, non è nuovo se persino nella storia della camorra (l'organizzazione che più incarna l'illegali­smo popolare) si trovano casi di esercizio delegato di poteri di polizia (sin dall'epoca borbonica quando, alla vigilia dell'ingresso a Napoli di Garibaldi, il compito di preservare la città da sollevazioni e disordini venne affi­dato ad organizzazioni camorriste). Ma la novità è che ciò ha assunto, negli ultimi decenni, una dimensione per così dire strutturale. Così, per limitarsi ad alcuni esempi ete­rogenei, in Russia la mafia gestisce una parte significativa delle agenzie di sicurezza private, in Colombia il cartello di Cali ha svolto veri e propri compiti di polizia sia nel garantire l'ordine pubblico in città sia nell'assicurare alle autorità i principali esponenti del cartello rivale di Medel­lin, così come in Calabria e a Palermo il controllo del territorio nei confronti della microcriminalità di strada assicurato dalla 'ndrangheta e da Cosa nostra non è stato disdegnato, nei periodi di pax mafiosa, dalle istituzioni. In sintesi, le mafie si appropriano di poteri e prerogative che nell'organizzazione politica contemporanea sono monopolio dello Stato e diventano “imprenditori della sicurezza”; e ciò - è questo l'aspetto più significativo e inquietante - accade non in modo conflittuale (nel senso di una sottrazione di poteri allo Stato) bensì in modo con­sensuale (nel senso di una cessione di poteri o di una delega, nei fatti, a esercitarli).

  

Questo percorso evolutivo delle mafie (e, parallelamente, dell'agire di ampi settori delle classi dirigenti e della poli­tica) ha incrinato in modo significativo - e talora abbattu­to - il tradizionale confine tra lecito e illecito. Ciò, del resto, si è prima manifestato nel settore dell'economia. Da tempo è difficile trovare una contrapposizione netta tra economia legale ed economia illecita o mafiosa. Ma questa commistione è sempre più evidente nei processi di globalizzazione che mostrano una evidente crescita della zona grigia i tra ciò che è legale e ciò che non lo è. Scrive Monica Massari nel Dizionario (voce Globalizzazione e criminalità): «La ricerca di profitti crescenti a costi sempre più limi­tati attraverso la frode, l'inganno e il ricorso sistematico alla negazione dei diritti elementari fa sì che settori crescenti delle cosiddette élites utilizzino frequentemente comportamenti illegali, se non manifestamente criminali, per raggiungere i propri obiettivi. Si tratta i dell'emergere di vere e proprie “economie sporche” che trovano una collocazione, talvolta ottimale, nei meandri dell'economia ufficiale: un'arena in cui criminalità organizzata e attori legali tendono a scambiarsi servizi, a offrirsi reciprocamente favori, a promuoversi vicendevolmente nelle loro attività imprenditoriali. Le relazioni esi­stenti fra globalizzazione e criminalità possono essere vi­ste, secondo questo approccio, nei termini di una sorta di doppio movimento: da un lato assistiamo ad una espan­sione del crimine nell'economia - sia di natura lecita che illecita - e, dall'altro, è divenuto evidente un frequente scivolamento delle élites nella criminalità. Il pendolari­smo tra lecito e illecito costituisce una delle caratteristi­che più perverse di questa globalizzazione».

 

Più in generale, la crescita di una cultura e di una prassi nelle quali il successo e il riconoscimento sociale sembrano irrimediabilmente collocarsi sul ver­sante esclusivo della capacità di produrre profitti (in­dipendentemente dal modo in cui ciò avviene) proiet­ta le mafie in una dimensione di trasformazione tout court in potere. È un tema ineludibile nei tempi medi ma anche in quelli brevi.

 

(da Narcomafie, luglio/agosto 2008, pag. 1)


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