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Yuppi Du (1975) di Adriano Celentano
20 Settembre 2008
 

Yuppi Du è il film-simbolo del Celentano pensiero, caratterizza un’epoca, ci riporta alle battaglie ecologiste degli anni Settanta e alle favole pop di un periodo storico ormai lontano. Il soggetto è di Adriano Celentano, Micky Del Prete e Alberto Silvestri, ma pare ispirato ai racconti di Cesare Zavattini, perché la suggestione onirica riporta - pur con tutti i distinguo del caso - alle atmosfere di Miracolo a Milano (1951). Alfio Contini realizza una fotografia densa di sperimentalismi, abbonda di split screen, immagini in bianco e nero, dissolvenze ed effetti anticati. Adriano Celentano si occupa di un montaggio, rapido e surreale, che alterna presente e passato, realtà e fantasia, elementi realistici a divagazioni surreali. Le scenografie di Giantito Burchiellaro sono suggestive e una Venezia da cartolina, alternata ai fumi della fabbrica di Porto Marghera, fa da sfondo alle azioni dei personaggi. La musica - scritta dallo stesso Celentano - è la parte migliore della pellicola e decreta il successo di un film che si segnala come il primo caso italiano di merchandising cinematografico. Chi non ha avuto una maglietta che raffigurava Celentano di spalle nell’atto di cantare Yuppi Du? Per non parlare del disco che per mesi restò in testa a tutte le Hit Parade nazionali. Celentano produce in proprio con il suo Clan Celentano Film, che nel 2008 cura il restauro per inserire la pellicola nel circuito Sky e sul mercato home video. Yuppi Du non è più una rarità e, dopo la celebrazione di Venezia 2008, può essere visto e apprezzato da ogni famiglia italiana.

Il cast degli interpreti è interessante. A parte l’onnipresente Celentano, troviamo Claudia Mori, Charlotte Rampling, Lino Toffolo, Gino Santercole, Memmo Dittongo, la piccola Rosita Celentano, Carla Brait, Sonia Viviani, Jack La Cayenna e altri caratteristi.

Yuppi Du racconta la storia di Felice Della Pietà, un povero pescatore veneziano che si è appena risposato con Adelaide (Mori), quando scopre che la prima moglie Silvia (Rampling), sei anni prima non si era suicidata, ma aveva finto la morte per andare a vivere a Milano con un uomo molto ricco. Felice scopre di essere ancora innamorato di lei, fa di tutto per riconquistarla, ma non è possibile, perché la donna è troppo attratta dal denaro. Felice finisce per perdere anche la figlia che decide di vivere a Milano insieme alla madre e il nuovo compagno, al termine di una scena intensa che vede il padre trattare la vendita sulla base di tre milioni al chilo.

La trama non è importante per un film folle e geniale come Yuppi Du, una delle più ispirate regie di Celentano, senz’altro superiore alla precedente Super rapina a Milano (1964), ma anche alle successive e troppo cervellotiche Geppo il folle (1978) e Joan Lui (1985).

Yuppi Du è una via di mezzo tra il musical e la fiaba per adulti, raccoglie tutti i temi cari a Celentano, dall’ecologismo alla politica dalla parte della povera gente, anticipa i silenzi televisivi, le pause interminabili e le pose da santone che costituiranno la sua fortuna. Celentano è un autore bizzarro, fuori dagli schemi, costruisce una figura tragicomica di barcaiolo veneziano che si barcamena tra due mondi, inserendolo in un’opera pop di rara bellezza e intensità espressiva. Un po’ musical, un po’ ballata, con un frequente uso del ralenti e delle parti oniriche, dando spazio alle suggestioni surreali e inserendo intensi momenti musicali. Ricordiamo l’attacco sopra le righe con il barcaiolo che affonda ma continua a remare a tempo di musica, una povera casa piena di acqua nel pavimento ma senza acqua corrente nel bagno, ma anche le scene di un matrimonio surreale tra borghesi e barboni. Celentano è dalla parte degli umili e dei diseredati, prova empatia per i barboni veneziani che hanno come unica ricchezza la loro prole. Commette l’errore (voluto) di rappresentare i poveri come tutti buoni e belli, tipico del neorealismo rosa, ma in una favola come questa pare inevitabile. Lino Toffolo, Gino Santercole e Memmo Dittongo sono tre perfetti poveracci del sottobosco veneziano che fanno da contorno surreale alle gesta di Celentano. Ricordiamo tra le cose migliori della pellicola la sequenza onirica che racconta il finto suicidio della moglie in una giornata di pioggia, ma anche la lite sulla tomba tra Felice e Silvia, quando lui si accorge che è viva. “Sai, mi sono risposato, un uomo non può per sei anni fare solo la pipì…” commenta. Da citare un dialogo fischiettato tra Celentano e un passante, ma anche la scena surreale delle sigarette accese a ripetizione da Santercole e Dittongo, per distrarre Claudia Mori e non farle incontrare la rediviva Charlotte Rampling. Sono notevoli le soluzioni pop di montaggio, il colore intenso alternato a dissolvenze in bianco e nero, il musical scatenato a base di rock and roll, fermo immagine e sequenze caotiche sempre ben gestite dal regista. Jack La Cayenna interpreta un pezzo di ballo mimico tra le stradine di Venezia che resta nella storia del cinema musicale italiano. Altre trovate geniali sono le finte stimmate alle mani di Celentano, le didascalie che accompagnano i dialoghi muti, il coro da chiesa che racconta l’amore tra due persone così diverse e la bella fotografia veneziana che pare uscita da un film di Tinto Brass.

Sonia Viviani è protagonista di una scena onirica a metà tra l’erotico e il violento, che descrive una realistica violenza carnale, importante per raccontare la storia di Napoleone (Santercole) che per difenderla ha perso l’uso delle gambe. Si apprezzano buone parti musicali, come un bel pezzo country cantato da Gino Santercole, mentre Celentano e la Rampling consumano un amore ritrovato, un gay offre denaro al barcaiolo Toffolo e compare persino la Morte che porta via il povero Scognamillo (Dittongo). Torna il sapore da fiaba in una sequenza suggestiva che mette in primo piano il dialogo tra la Morte e l’operaio veneziano, schiacciato da una cassa che cade da un montacarichi. Tutto molto poetico, dal fermo immagine, alla corsa disperata degli amici, fino alla morte tra le braccia di Celentano e Claudia Mori che ormai non sentono più le sue parole. “Allora è questa la morte…” sussurra.

Celentano continua il suo discorso ecologista cominciato in musica con Il ragazzo della via Gluck, dipingendo una Porto Marghera inquinata, gli operai con le maschere antigas, il petrolio che esce al posto dell’acqua e che incrosta le parti cromatiche delle fontane, dove compare un cuore che simboleggia il vecchio amore di Silvia e Felice.

Chi lo può sapere meglio di un povero cosa sono i soldi?” è forse la frase migliore del film e sottolinea il motivo per cui l’amore tra Felice e Silvia è finito. La donna cercava una vita facile, nella quale potesse avere tutto, non voleva vivere con un poveraccio in una casa umida e fatiscente. “Ma c’era l’amore…” sussurra Felice. Non bastava.

Da manuale la caratterizzazione di Milano come città caotica popolata da grigi fantasmi che hanno perso l’allegria. Celentano dà il meglio di sé con una scena surreale nel bar della metropolitana, dove si fa a cazzotti per ordinare cornetto e cappuccino. Va citato lo scambio di battute tra un negro che chiede un bianchino e Felice che per tutta risposta ordina un negroni. Tra le parti surreali va inserita anche la sequenza del tappo di spumante che fa crollare una parete mentre un uomo al bagno risponde: “Grazie, non bevo mai prima di cagare”.

A questo punto si innesta la scena simbolo della pellicola, con il pezzo base Yuppi Du cantato da Celentano e Claudia Mori, mentre Charlotte Rampling balla seminuda. Si giunge al triste finale. Felice è rimasto solo, prima si illude sul ritorno di Silvia, poi scopre dove vive e allora va a Milano, dove decide di vendere la felicità della bambina. “Qui c’è tutto. Resti papà?” dice la piccola Rosita Celentano. Non può farlo. Felice torna al suo mondo di poveri ma belli, fugge via da una Milano popolata da fantasmi che hanno perso la voglia di sorridere e cantare. Felice stringe il suo pacco di banconote sotto il braccio, ripensa al primo incontro con Silvia, comprende che le donne sono inaffidabili, ma sa che l’amore lo porterà ancora a illudersi. Partono, lente ma dolci, le note di Yuppi Du, mentre in sottofondo c’è Venezia che attende.

Da riscoprire.


Gordiano Lupi


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