CENNI STORICI
In principio fu il copyright
Fu la monarchia inglese, nel XVI secolo, ad emanare le prime leggi nel campo del diritto di copia (copyright), per garantirsi un controllo sull’aumentata e fino ad allora libera circolazione di scritti di ogni sorta: una censura, legittima perché rientrante allora fra le funzioni amministrative. A questo scopo venne fondata nel 1557, una corporazione privata di censori - la London Company of Stationers, con un sistema di retribuzione a premio, a cui fu attribuito, con un provvedimento retroattivo, non solo ogni diritto di stampa, ma anche quello di confisca o di eliminazione dei materiali stampati illegalmente. La stampa delle opere seguiva un iter che prevedeva l’imprimatur del censore della Corona (o degli stessi Stationers) e la seguente registrazione nel Registro della corporazione, sotto il nome di uno dei membri, che da allora assumeva il copyright, mentre eventuali dispute fra questi ultimi erano regolate dalla Court of Assistants della Corporazione.
Prima di questo momento il copyright – cioè il generico diritto, tenuto privatamente, di proibire agli altri la copia – non esisteva: nel momento stesso in cui nasceva, si configurava invece come al servizio del governo, per il controllo che garantiva, e dell’editore, per il profitto. Così, paradossalmente, chi non ne traeva alcun beneficio era l’autore.
Con l’avvento delle idee liberali, le politiche di censura vennero attenuate: il monopolio degli editori era in pericolo ed essi, per salvaguardarlo, si rivolsero al Parlamento: l’assunto decisivo, che gli autori non disponessero dei mezzi per distribuire e stampare le proprie opere, permise loro di mantenere i privilegi acquisiti.
Nel 1710 fu quindi emanato lo Statute of Anne (dal nome completo An Act for the Encouragement of Learning, by vesting the Copies of Printed Books in the Authors or purchasers of such Copies, during the Times therein mentioned), riconosciuto come prima norma moderna sul copyright, che riconosceva agli editori il diritto esclusivo alla stampa: il monopolio aveva una durata massima di 14 anni ed era rinnovabile una sola volta nel caso in cui l'autore fosse vivo e facesse esplicita richiesta, mentre per le opere pubblicate prima dell'entrata in vigore della nuova legislazione, si garantì agli editori l'esclusiva ancora per ventun anni a partire senza possibilità di rinnovo: alla scadenza di tale data, quindi, le opere dovevano diventare libere.
Così scriveva Lord Camden: «…(gli Stationers) vennero in Parlamento come supplicanti, […] portarono con sé mogli e bambini per provocare compassione e indurre il Parlamento a garantire loro una sicurezza legale». La loro richiesta prevedeva il copyright fosse originato dall’autore, come una forma di proprietà che poteva essere venduta a chiunque – e che ovviamente fu quasi sempre venduta ad un editore; era inoltre nell’interesse del Parlamento impedire che si tornasse ad un monopolio centralizzato, suscettibile di una censura monarchica.
L'attribuzione dei diritto di proprietà sulle opere dipendeva ora da un contratto firmato con l’autore, con la clausola che lasciava all’editore la possibilità di trasferire successivamente la proprietà ad altri.
Durante i due secoli successivi, anche gli altri Stati d’Europa emanarono leggi riguardanti il copyright: in particolare, l’articolo 1 della legge 2337 del Regno d’Italia, alla data 25 giugno 1865, recita che «gli autori delle opere dell’ingegno hanno il diritto esclusivo di pubblicarle, e quello di riprodurne e spacciarne le riproduzioni».
Il 9 settembre 1886 fu poi costituita l'Unione internazionale di Berna, finalizzata a coordinare i rapporti in questo campo di tutti i paesi iscritti, ancora oggi operante.
Il copyleft
Si racconta che il termine sia nato da un messaggio contenuto in Tiny BASIC, una versione del linguaggio BASIC scritta da Li-Chen Wang nel 1976, liberamente distribuita: il listato dei programmi conteneva le frasi copyleft e all wrongs reserved (tutti i torti riservati), giochi di parole su copyright e all rights reserved (tutti i diritti riservati), diciture comunemente usate nelle dichiarazioni di copyright.
Il concetto di copyleft nacque dalla richiesta della ditta Symbolics a Richard Stallman di poter utilizzare l’interprete Lisp a cui l’informatico stava lavorando: Stallman accettò e fornì una versione di pubblico dominio del suo lavoro, che poi la Symbolics portò a perfezionamento: quando poi Stallman chiese di avere accesso ai miglioramenti apportati, la Symbolics rifiutò.
Così, nel 1984, iniziò a lavorare per sradicare questo tipo di comportamento, noto come software hoarding (accaparramento del software), creando, all’interno delle leggi vigenti, la GNU-General Public License, ossia una propria licenza, la prima in copyleft, con la quale per la prima volta il detentore del copyright poteva assicurare che il massimo numero di diritti si trasferisse in maniera perpetua, a prescindere da qualunque eventuale modifica successiva, agli utenti che hanno già ricevuto il programma.
…ED EDITORIA OGGI. LE EDIZIONI OMP
Oggi il copyleft in Italia sta prendendo sempre più piede anche nel campo in cui, come si è visto, storicamente si è imposto il diritto d’autore, cioè l’editoria. In copyleft pubblica il collettivo Wu Ming, composto da cinque autori bolognesi che peraltro, per rimanere fedeli al nome (Wu Ming in cinese significa senza autore), per anni sono rimasti pressoché anonimi: «Il nome della band è un tributo alla dissidenza e un rifiuto del ruolo dell'Autore come star. Le identità dei cinque membri di Wu Ming non sono segrete, solo che riteniamo le nostre opere più importanti delle singole biografie o dei volti.», si legge sul sito ufficiale, www.wumingfoundation.com, da cui è peraltro possibile scaricare e riprodurre per scopi non commerciali le opere. Il libro di un altro collettivo, l’ensemble narrativo Kai Zen – formato da autori che vivono in città diverse e comunicano solo via web –, La strategia dell’Ariete, è stato il primo (e finora unico) pubblicato in copyleft da una casa editrice prestigiosa come Mondadori. Tra le case editrici dedite al copyleft è particolarmente nota Gaffi, con sede a Roma, attiva dal 2002, che offre narrativa – nelle collane “Godot” ed “Evasioni” –, cronaca – ne “I sassi” –, saggistica – in “Ingegni” e “Centenari”, polemisti – in “Pamphlet” –.
In questo panorama hanno da poco fatto il loro ingresso le Edizioni OMP, create nel 2007 a Pavia, che attualmente ci risultano l’unica casa editrice in copyleft (le pubblicazioni sono anche in questo caso sotto la licenza Creative Commons) che metta a disposizione sul sito web www.edizioniomp.com la versione integrale in pdf di tutti i testi presenti in catalogo. Agli autori non si richiede alcun contributo economico, e, dato il carattere no profit della casa editrice, i proventi derivati dalla vendita dei libri vengono rifusi per le successive pubblicazioni: al momento il catalogo si compone di sette testi (nelle immagini tutte le copertine, ndr), con in lavorazione altri che andranno ad arricchire le collane esistenti, Prosa, Poesia, Collective, e ad aprirne una nuova, dedicata alla Saggistica.
Rimandando per informazioni, curiosità, invio di testi per la valutazione o offerte di collaborazione, agli indirizzi contatti@edizioniomp.com, ufficiostampa@edizioniomp.com o info@edizioniomp.com, riportiamo qualche estratto dai testi finora pubblicati, acquistabili direttamente dal sito, per contatto email e su www.ibs.it.
Manuela Di Paola
«Torino, 10 giugno – Domani alle ore 9 antimeridiane nell’Aula Magna del Regio tribunale di Torino comincerà quello che può senza dubbio essere definito il “processo del secolo”. Sebbene la cittadinanza aspetti con impazienza l’inizio del dibattimento, l’esito del procedimento appare scontato: la colpevolezza del servo africano Sayyid Mukhtar è certificata da prove che l’avvocato della pubblica accusa, Paolo Maria Calligaris, definisce “inconfutabili”. È atteso in aula, per questa prima storica udienza, anche il Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti».
(da F. Vietti, Lo straniero. Misterioso delitto nella Torino di Lombroso, Edizioni OMP, Pavia 2008, collana Realeimmaginario, pag. 11)
ASSALTO SILENZIOSO
È un pomeriggio di metà Aprile.
Si aggirano con aria incredula
e terribilmente insicura. Ogni angolo
è preda dei loro corpi mollicci.
Grugniscono continuamente
e si muovono con una strana sensibilità.
Non capisco perché
hanno bussato alla mia porta.
La loro gentile invadenza
mi è insopportabile.
Sono riuscito a difendere un piccolo
spazio mentale isolando le mie
poche emozioni.
Alcuni di loro si sono sistemati
in fila sul marciapiede
e controllano fiduciosi
l’uscita.
(da T. Truglia, Assalti poetici. Poesie d’amore e di contestazione, Edizioni OMP, Pavia 2008, collana “Antilogos”)
La poesia d’amuro è agli antipodi della pubblicità: i versi sono l’oggetto stesso di un acquisto impalpabile, che è una suggestione evocata, una immagine, magari uno scatto di fastidio per parole che paiono prosaiche come il gusto farmaceutico de l mango sul palato abituato all’uva e alle pesche. La poesia diventa muro e gli autori della poesia non esistono. […] esistono centinaia di superfici apolidi, imprigionate nella città, che nessuno verrà mai a reclamare . Dice Eron che “il vandalo è colui che imbratta, senza sapere ciò che sta facendo. Il writer è un vandalo con creatività, gusto estetico, rispetto per l'arte e consapevolezza di ciò che fa”. Quelle eccezioni continuano ad essere le manifestazioni artistiche che necessitano di una collaborazione attiva, di una decrittazione, di una interpretazione: la poesia scorta da lontano e letta su un muro è nient’altro che un giornale che si è deciso di aprire. […] La parola scritta coinvolge sia il passante distratto, che decide di non avventurarsi nella lettura, sia il fruitore: la scelta di legge re, o non, e di come/cosa legge re de l te sto rende proteiformi e inconoscibili le possibilità interpretative. Questo noi intendiamo per pandemia: la composizione e ricomposizione mentale del testo in tonalità infinite, che può esse re effettuata da tutti.
(da gruppoH5N1, Poesia d’amuro, edizioni OMP, Pavia 2008, collana “Collective”, pagg. 87-88)
SCAMPIA
A Scampia a Scampia
scorre il sangue nella via
ma nessuno sa chi sia
che ora insanguini Scampia.
Da Scampia da Scampia
me ne voglio andare via.
Dice il prete: “E così sia!”
va su e giù la polizia.
A Scampia guerre di clan
hanno un grande fascino
ma con un kalashnikov
hanno ucciso Peter Pan.
C’era un’auto e dentro c’è
una donna e il fuoco brucia
auto e donna e un poco indugia
domandandosi perché.
Miserabile Camorra
quanto sangue vuoi che scorra
non è mica l’Ok Corral
c’è qualcuno che si opporrà?
(da A.M. Petrosino, Autostrada del sole in un giorno d’eclisse, Edizioni OMP, Pavia 2008, collana “L’Arabesco”)