Ho già parlato di Stefano Simone, ventiduenne regista pugliese che ambienta le sue storie nella nativa Manfredonia, anche se da un po’ di tempo a questa parte vive a Torino. I suoi primi lavori sono stati alcuni corti di genere thriller, horror, erotico e noir di provincia come Il gatto nero dalle grinfie di Satana (2005), Istinto omicida (2006), Infatuazione (2006), L’uomo dal vestito nero (2007), Lo storpio (2007) e Contratto per vendetta (2008). Adesso ci consegna un nuovo lavoro a metà strada tra il noir duro e la pellicola del terrore, perché i truci fatti raccontati non appartengono all’orrore soprannaturale, ma alle cronache quotidiane. Kenneth è sceneggiato da Emanuele Mattana, che si ispira a un racconto di Gil Brewer, ma Stefano Simone si occupa di un rapido montaggio e di un’attenta regia. Interprete principale è il giovane Luigi Di Giorgio, piuttosto bravo, anche se la sua recitazione (come quella degli altri attori) risente di un marcato accento pugliese. Simone dimostra di essere cresciuto come direttore di attori, perché in questa pellicola la recitazione (pur non eccelsa) raggiunge livelli di sufficienza. La musica di Niko Rubini (presenza abituale nei corti del giovane autore), intensa e ben amalgamata con la storia, esalta i momenti topici della pellicola. Ottima la fotografia, soprattutto nelle immagini di apertura che immortalano il paesaggio pugliese, piante di olivi e campi di grano, alternati ai primi piani del protagonista.
Kenneth è la storia di un debole che si ribella, di un vinto di verghiana memoria che scopre il gusto dell’omicidio e lo usa come un modo per affermare la sua personalità. Il messaggio non è dei più educativi, ma non è compito di una pellicola horror educare, se non ci bada Ozpetek con un film in concorso a Venezia come Un giorno perfetto, non vedo perché dovrebbe essere un problema di chi fa cinematografia di genere. Il regista descrive la debolezza di Kenneth (non comprendo la necessità di un nome inglese per un personaggio pugliese), incapace di difendere gli amici dai bulli, sottomesso a un ricattatore, tradito da una quasi fidanzata, deriso da una bella ragazza e oppresso dalla madre. Kenneth è la storia di uno sfigato che vince nel modo peggiore le sue debolezze, descritta con buoni effetti da horror psichedelico, alternando immagini quotidiane, parti oniriche e momento di rabbia. La ribellione di un represso diventa realtà quando si libera del ricattatore a colpi di spranga e del sogno erotico ricorrente, sgozzato come un animale. Simone cita Dario Argento e la scena finale di Tenebre (1983) con l’assassino che sbuca improvviso dietro le spalle della donna. La sequenza non è girata con la stessa maestria, ma si apprezza l’impegno profuso nel rendere omaggio a un maestro. La scena di Tenebre impressa nell’immaginario collettivo vede la sagoma folle di Anthony Franciosa stagliarsi dietro un impotente Giuliano Gemma per brandire un terminale colpo d’ascia. Brian De Palma cita l’inquietante passaggio in Doppia personalità (1992). Stefano Simone ci prova pure lui in Kenneth, sostituendo il colpo d’ascia con un coltello utilizzato per sgozzare la ragazza.
Il regista cita Edgard Allan Poe e il suo L’antro dell’orrore, versione a fumetti, forse possibile corresponsabile del cambiamento.
“Si cambia” dice Kenneth al suo amico. Ed è vero. Il ragazzo mette in atto due omicidi perfetti e adesso non ha più padroni.
Kenneth è un buon lavoro che si segue con piacere, ottimo nelle parti di azione e nelle sequenze affidate a musica e immagini, più modesto nei momenti dialogati, ma in definitiva un prodotto dignitoso che può riscuotere consensi nelle rassegne di cinema.
Gordiano Lupi