«Per me gli eroi sono individui come tanti che trovano la forza per andare avanti e resistere nonostante ostacoli apparentemente insormontabili. Sono questi i veri eroi, insieme alle famiglie e agli amici che gli sono stati accanto».
Christopher Reeve
Le parole di Christopher Reeve, il celebre attore interprete di Superman - poi condannato da una tragica caduta da cavallo e dalla conseguente lesione al midollo spinale alla sedia a rotelle e a un'immobilità pressoché totale: tetraparesi il responso (e il destino di respirare attaccato a una macchina) -, paiono riecheggiare per tutta la durata del Piccolo Grande Eroe (Everyone's Hero). La terribile e senza pari disavventura non aveva implacabilmente placato il sentire, l'intelletto e i desideri di Christopher, impegnato da quel momento in poi a battersi per i diritti dei disabili, il diritto alla salute, in un Paese, gli Stati Uniti d'America, che non conoscono un Servizio Sanitario Pubblico degno appieno di questo nome. Né il nostro aveva smesso di lavorare, come e quando poteva. Come voleva, poiché la sua volontà era davvero ferrea, indomito lo spirito e qualcosa di fortissimo nell'anima lo muoveva, oltre l'indicibile sventura che l'aveva colpito. La regia del film d'animazione Piccolo Grande Eroe, cui ha partecipato e offerto consigli e un importante contributo (gli altri coregisti sono Daniel St. Pierre e Colin Brady), ne è la riprova. Un'opera nel suo caso postuma, giacché Christopher è morto nel 2004, tanto più commovente dunque, in cui sembra essersi riversata tutta la sua sensibilità umana e artistica.
La storia in realtà nasce da un racconto che Howard Jonas, fondatore e presidente della IDT Entertainment, aveva creato ed elaborato per far addormentare i propri figli. Una genesi alquanto strana, simpatica e bizzarra. Una storia che ha infine preso il volo approdando al grande schermo con i toni della favola. Non un prodotto intellettualistico, ma semplice, sebbene non semplicistico, che parla direttamente al cuore, con una verve quasi d'altri tempi e gag molto ben riuscite. Con i modi del road movie, anche. Una sorta d'iniziazione pure, in cui Yankee Irving, ragazzino decenne e un po' sfigato, patito dei New York Yankees di baseball, intraprende il viaggio per riconsegnare al suo idolo Babe Ruth, asso senza pari, la mazza rubatagli da uno slealissimo avversario, il disgustoso, squallido e infido Lefty.
Nel suo avventuroso itinerario e scorrere Yankee attraversa, dalla Big Apple a Chicago, i luoghi dove si svolgono le World Series, l'America degli anni della Grande Depressione, per quanto il duro clima sociale ed economico non sia reso in maniera tanto cupa com'era l'esistenza di quei giorni (ma si avvertono sempre sullo sfondo le difficoltà della situazione). Sua compagna di viaggio è Screwie, una saccente e divertente palla da baseball; a loro presto si unirà la vezzosa Darlin' (la voce in originale è di Whoopi Goldberg), anch'essa parlante, che poi è l'ambita mazza di Babe. Gli esiti del faticoso tour? Il lieto fine è garantito ed è bello saperlo anzitempo.
«Non ho mai avuto alcun dubbio», racconta il produttore Ron Tippe, «sul fatto che Christopher Reeve si fosse innamorato della storia per il suo significato. È la storia di un ragazzino che deve continuare ad andare avanti, senza arrendersi mai. E se consideriamo l'intera vita di Chris, ancor prima del suo drammatico incidente, è sempre stata questa la sua filosofia. La sua visione della vita è sempre stata quella secondo la quale non bisogna mai mollare, ma bisogna sempre creder in noi stessi, ed è un qualcosa che è più che presente nel film. E Dana Reeve (produttore esecutivo, oltre che voce di Emily, la madre di Yankee) è stata meravigliosa e si è impegnata con tutta se stessa».
Dana Reeve, coraggiosa come il marito. Morta a soli 44 anni per un tumore, nel 2006. Anche a lei si deve la soavità di questo film, di “una qualità emotiva unica e toccante”, che sa mostrare, oltre i dolori e l'ineluttabile fine, come i sentieri della vita possano essere stupendi e le relazioni felicemente travolgenti quando illuminati dal sole della passione.
Alberto Figliolia