Il mio percorso come scrivente inizia parecchio tempo fa, come per molti da una necessità personale di esprimersi, quasi uno sfogo. Poi si è fatto via via più serio e spero consapevole, ma ho sempre vissuto la scrittura come conseguenza del vivere, e non come scopo da raggiungere. Nel corso del tempo ho lavorato molto di più per sottrazione che per aggiunta, pensando alla scrittura come al taglio che il bordo della carta lascia sulla pelle delle dita, qualcosa di sottile ed invisibile che però rivela un dentro spesso doloroso. So bene che non esiste una sola poesia, come non esistono una sola musica o una sola danza: il mio è un tentativo di scarnificazione. Se c’è un valore in ciò che scrivo è proprio questo, se c’è una strada attraverso cui qualcuno può riconoscersi è nella nudità di chi scrive, o almeno, senza pretendere che sia una regola generale, questo vale per me.
Sto seguendo un percorso che quasi sempre ricostruisco a posteriori, ma che nel suo svolgersi non ha un piano preciso. È più simile alla mappa di uno smarrimento, in cui a volte capita di trovarsi e di incontrarsi. A volte è una sorpresa, a volte uno spavento. Eppure, a posteriori appunto, tra momenti migliori ed altri non così buoni, mi sembra forse con presunzione di trovare una coerenza, uno svolgersi di cui intuisco l’inizio ma ovviamente non ancora il punto di arrivo. E so bene che sono di più le cose che ancora non riesco a dire: forse per questo lascio molto bianco sulla pagina, è lo spazio di un silenzio ancora da colmare.
Deve essere ciò che mi resta delle origini friulane che ancora faccio fatica ad accettare. I friulani sono gente di poche parole, gente che tace spesso ma quando parla lo fa per essere ascoltata, e non a caso. Ecco, anch’io mi sforzo di non scrivere a caso. Che poi i testi piacciano o no, che abbiano valore o no è un altro discorso: giudicare è il diritto-dovere di chi legge, ed è giusto così.
Testi tratti da L’infanzia vista da qui (Sottomondo, 2005)
Pompei
Quando fra duemila anni scaveranno questa terra
troveranno i nostri corpi ormai diventati sasso
nella stessa posizione in cui ci addormentiamo oggi
tu girata di fianco
io che ti stringo appoggiato alla tua schiena
e non sapremo mai se il nostro bene
è così grande da superare il tempo
o se è stata l’abitudine dei gesti ripetuti
a indurire l’amore
fino a trasformarlo in pietra
Trenitalia
Per fortuna frequento poco le stazioni
il sollievo passeggero dei ritardi l'attimo
lunghissimo in cui il treno si allontana
perché dal marciapiede la partenza
ha il sapore di lasciarsi
e negli annunci non c'è mai una parola
per chi resta
Double face
(pensiero all’uscita del turno di notte)
Guarda le gru di Marghera altissime
e bianche nel buio come radici
di alberi piantati a rovescio
nella terra
dunque questo non è cielo
ma un cielo capovolto questa non è
vita
ma quello che alla vita viene tolto
Astronomia privata
Ho cinque nei sul braccio
sinistro e già da bambino
li univo in una forma
di incudine
come una costellazione
in negativo
sul cielo roseo della pelle
che delimita lo spazio alla vista
ma non lo rinchiude
e non sai dove prosegue
l’infinito
se dentro o fuori o semplicemente
ti attraversa
Senzavino
Mio nonno diceva che mangiare
senza vino in tavola
gli ricordava il tempo della guerra
mia nonna gli sopravvisse a lungo
quando anche lei morì
trovammo milleduecento bottiglie vuote
allineate come soldati lungo il muro
dietro alla legnaia
dopo pranzo negli ultimi anni lei si sedeva sul divano
con un sorriso strano che allora non capivo
pensavo che fosse per qualcosa alla televisione
invece
aveva approfittato della pace
(a Stefania, finalmente)
Eri troppo minuta per essere donna e sorella maggiore
come sembrava impossibile che tu fossi madre
come sembrava impossibile morire di parto
nell'anno duemila di Dio
pesavi di meno di questo cognome che oggi
io porto da solo che se si potesse prenderlo
in braccio e sollevarlo come facevo con te
sarei un uomo diverso e avrei un sorriso
più facile da regalare ai miei figli
L'influenza
Più della malattia debilita
questa solitudine passeggera
che può essere data per
contagio
ma non condivisa
L'infanzia vista da qui
Non ho mai visto così tanta
neve a Gorizia
mi viene da pensare all'infanzia
che non ho passato qui
sarei sceso saltando a slalom lungo il pendio dell'Isonzo
Gustavo Thoeni che vince l'oro a Innsbruck
una cinque dieci volte
e gli avversari lontani sconfitti
come barche in secca
sulla riva del fiume
Francesco Tomada, nato a Udine nel 1966, vive a Gorizia.
Dalla metà degli anni novanta scrive e partecipa a letture ed incontri nazionali ed internazionali, così come a trasmissioni radiofoniche e televisive in Italia e all’estero.
I suoi testi sono apparsi su numerose pubblicazioni, antologie, plaquettes e siti web in Italia, Slovenia, Canada, Francia. Sono stati inoltre tradotti anche in slovacco, inglese e cinese.
La sua prima raccolta, L’infanzia vista da qui (Sottomondo), è stata edita nel dicembre 2005 e ristampata nel marzo 2006. Innumerevoli i riconoscimenti in concorsi.
Non manca molto alla pubblicazione del suo secondo libro.
Fabiano Alborghetti
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