Alcuni hanno detto che è stato un successo, altri hanno parlato di un “flop”. Comunque sia, è andata bene, nel senso che non ci sono stati inconvenienti, e nessuno si è fatto male.
Ma è sufficiente questo per giustificare una manifestazione?
Sabato 13 settembre, a Vicenza, il corteo si è mosso da piazza Matteotti verso la periferia della città. Gli organizzatori hanno detto che erano ottomila, la questura ne ha dichiarati duemila, secondo i miei conteggi erano tremila. In ogni caso il confronto con le precedenti manifestazioni “No Dal Molin”, nel 2006, 2007 e 2008, è sconfortante. Da duecentomila, a centomila, poi trentamila, e ora qualche migliaio. Segno evidente che c'è una certa stanchezza. Ci sono momenti per le manifestazioni di massa, e ci sono momenti per altre strategie.
Ora l'obiettivo da raggiungere è quello della vittoria referendaria.
Una manifestazione, indetta da una sola parte del variegato movimento, probabilmente non è la risposta giusta. Tanto più che tra gli obiettivi degli organizzatori figurava anche quello della rimozione del questore. Non è il momento delle polemiche interne, ma è fuor di dubbio che i vicentini hanno a cuore più la sorte della propria città che il giudizio sul responsabile della polizia. E in effetti di famiglie vicentine alla manifestazione non se ne sono viste tante.
Rete Lilliput, Mir e Movimento Nonviolento di Vicenza hanno preso una posizione chiara di non adesione alla manifestazione. L'hanno espressa con un documento che valorizza al massimo il lavoro unitario per il referendum ed il dialogo con tutte le parti coinvolte, dentro e fuori dal movimento. Eravamo comunque presenti, per dimostrare che non c'è rottura e che il dialogo è sempre aperto, ma non abbiamo nascosto le nostre critiche ad una “gestione della piazza” che ci sembra datata. Moltissime delle persone e dei giovani che erano presenti hanno dimostrato un grande entusiasmo, e voglia di esserci. Certo, l'importante è fare qualcosa, ma bisogna anche farlo bene. Essere presenti alla manifestazione e spiegare le nostre ragioni, distribuire le bandiere con il fucile spezzato e far conoscere la rivista Azione nonviolenta è stato un modo per dare comunque il nostro contributo positivo. La pioggia battente ha fatto il resto, e tutto è andato bene. Punto e a capo.
Ora si lavori per conquistare l'opinione della maggioranza dei vicentini, e per aiutarli ad esprimerla al meglio, con il proprio “sì” al referendum del 5 ottobre.
Mao Valpiana