Al versatile Friedrich Torberg (1908-1979), personalità controversa della cultura ebraica negli anni della guerra fredda, in occasione del centenario dalla nascita - che cade proprio oggi, 16 settembre - è dedicata una mostra negli spazi dello Jüdisches Museum [Museo ebraico] di Vienna. L’esposizione, che si avvale di materiali (manoscritti, lettere e volumi) del lascito, custodito nella Wienbibliothek im Rathaus [Biblioteca viennese nel Municipio], di documenti della Nationalbibliothek, nonché di spezzoni di film e trasmissioni radiofoniche d’epoca, intende illustrare la vita e l’opera di Torberg, intellettuale dalle molte sfaccettature, giudicato in maniera contraddittoria: per questo la mostra è intitolata Die “Gefahren der Vielseitigkeit” [I pericoli della poliedricità].
Nato a Vienna quando la metropoli danubiana era la capitale dell’imperial-regia compagine francogiuseppina, nel 1921 Torberg si trasferì con la famiglia a Praga, dove conseguì la maturità e dove, da cittadino ceco, nel 1928 divenne, con la sua squadra, campione di pallanuoto. Iscrittosi a giurisprudenza, interruppe ben presto gli studi universitari e iniziò a scrivere, arrivando a un successo insperato con il suo primo romanzo Der Schüler Gerber hat absolviert [L’allievo Gerber ha dato la maturità].
Il protagonista, Kurt Gerber, è una delle tante vittime di un sistema scolastico repressivo, dove gli insegnanti tendono più a “domare” che a formare gli allievi, esposti a un autoritarismo insensato e costretti a un’ubbidienza imposta senza possibilità di replica. Gerber, in particolare, è il bersaglio preferito del sadico professore di matematica Kupfer, che esercita contro di lui la sua presunta “onnipotenza”. Il terrore che la scuola gli incute induce alla fine il sensibile e fragile Gerber, convinto di aver sbagliato un compito alla maturità e quindi di essere stato bocciato, a gettarsi dalla finestra ancor prima di conoscere l’esito dell’esame. La gioventù dell’era fra le due guerre si riconobbe nella vicenda di Gerber e trasformò il romanzo, che pur non eccelle per limpidezza di stile, in un bestseller.
Il miracolo del successo non si ripeté tuttavia nelle opere successive, anche perché Torberg, dopo l’ascesa al potere di Hitler, si impegnò soprattutto da giornalista in una vivace campagna antinazista. Con l’invasione della Cecoslovacchia nel 1939 fu costretto all’esilio che, dopo varie tappe, lo portò negli Stati Uniti, prima a New York e poi a Los Angeles, dove lavorò come giornalista, traduttore, insegnante di tedesco.
Agli anni dell’esilio risale la stesura della sua opera più significativa dal punto di vista letterario, la novella Mein ist die Rache [Mia è la vendetta], che in uno stile lucido descrive le violenze subite da un gruppo di ebrei in un campo di sterminio nazista sul confine olandese. Il racconto prende il titolo dalla scelta del protagonista, diviso fra la devozione religiosa, che gli chiede di rimettere a Dio il suo destino di innocente perseguitato da un crudele e fanatico ufficiale, e il desiderio, che alla fine prevale, di eliminare quell’odioso e sadico antisemita che vorrebbe indurre anche lui, com’è già riuscito a fare con altri suoi compagni, al suicidio.
A ridare fama di scrittore di livello a Torberg, che rientrò a Vienna nel 1951 continuando a guadagnarsi da vivere come giornalista, non fu tuttavia questo bel racconto con il quale lo scrittore aveva certo tentato di esorcizzare anche drammi personalissimi, visto che nel 1941 sua madre era stata deportata a Litzmannstadt. Pubblicata nel 1947, la novella passò allora piuttosto inosservata, mentre grande successo fu di nuovo tributato negli anni settanta a Torberg per una serie di aneddoti, distribuiti in due volumi, che hanno come protagonista Die Tante Jolesch [La zia Jolesch] e raccontano in tono faceto e amaro - ricostruendo per flash la vita degli Ebrei in Austria prima dell’annessione al Terzo Reich - “il crollo della cultura occidentale”.
Apprezzato da molti per la sua indefessa coscienza di Ebreo, molto criticato da altri per le sue decise prese di posizione anticomuniste, Torberg morì poco più che settantenne a Vienna, concludendo la sua vita ricca di peripezie nella città in cui era nato.
Gabriella Rovagnati