Uno studio condotto sugli scimpanzé, ospitati in un rifugio e precedentemente utilizzati nei laboratori di sperimentazione animale, dimostra come questi animali soffrano degli stessi disturbi psichici e comportamentali che si riscontrano negli umani vittime di tortura.
Questa ricerca, presentata dalla studiosa Hope Ferdowsian al XII Congresso della Società Internazionale di Primatologia che si tiene in questi giorni ad Edimburgo, è stata condotta su 116 scimpanzé scampati ai laboratori e che ora si trovano in un centro di riabilitazione negli Stati Uniti. Lo studio dimostra che il 95% di questi animali presenta almeno uno dei tratti comportamentali specifici (distinctive pattern) che - scientificamente - caratterizzano la sindrome che in psichiatria è conosciuta come post-traumatic stress disorder PTSD (disturbo post-traumatico).
Il National Institute of Mental Healt fornisce questa definizione della PTSD: «un disordine di natura ansiosa che si può sviluppare a seguito dell'esposizione ad un evento terrificante o ad una terribile esperienza in cui si è verificato o è stato minacciato un danno fisico. Gli eventi traumatici che possono causare la PTSD comprendono violenti attacchi personali, catastrofi di origine umana o naturale, incidenti, o combattimenti militari». Tra le cause bisognerebbe a questo punto aggiungere anche il trattamento “umano” di cui gli animali godono nei laboratori di vivisezione.
La dott.ssa Ferdowsian, un medico con esperienza nel trattamento dei richiedenti asilo politico in quanto scampati alla tortura, e direttore del Physicians Committee for Responsible Medicine ha dichiarato: «L'alta prevalenza dei disturbi mentali osservati in questi scimpanzé porta nuove motivazioni alla proposta di bando all'utilizzo delle grandi scimmie nei laboratori». Ma anche che «il risultato di questa ricerca si può applicare a tutti i primati e quindi il bando alla sperimentazione non dovrebbe riguardare solo le 'grandi scimmie'».
I primati sui quali è stato condotto lo studio vivono ora in un rifugio negli Stati Uniti dove vengono aiutati nel difficile percorso della riabilitazione. Fare in modo che questi, e gli altri animali torturati possano tornare a vivere a una normale vita di relazione, che possano essere liberati dalle fobie, e dalle angosce indotte in anni segregazione e trattamenti subiti nei laboratori non è un compito facile. Richiede esperienza, pazienza e comprensione, e apre la grossa questione del come gestire gli animali scampati ai laboratori.
Non solo primati: riabilitazione degli animali attraverso il progetto “Quarta R”
Ma tutto questo vale anche per le altre specie animali sottoposte a sperimentazione: attraverso il progetto “Quarta R” del Centro I-CARE, migliaia di animali in tutto il mondo sono stati salvati dai laboratori di vivisezione, e si è potuto constatare anche su di essi l'impatto psicologico e fisico che la sperimentazione subita ha avuto su di loro.
Il progetto si chiama “Quarta R” con riferimento al principio delle "3R" (che stanno per Riduzione, Raffinamento, e Rimpiazzamento dell'utilizzo degli animali nella ricerca medico-biologica): la quarta R è la Riabilitazione degli animali da laboratorio.
Non si tratta di una questione teorica o in divenire, che sarà attuale “quando sarà abolita la vivisezione”, ma di una esigenza concreta nell'oggi: ora, in Italia e in altri paesi nel mondo. Ogni anno sono centinaia gli animali che - legalmente - si riescono a far uscire dai laboratori.
Sono topi, ratti, cavie, cani, gatti, conigli, che possono ritrovare un pezzetto di vita, dopo anni di isolamento e “utilizzo”. Animali che chiedono come prima cosa di non essere più sottoposti a terrore e sofferenza, che hanno bisogno di affetto ma anche di un'attenzione particolare per via della loro storia passata. Sono animali che hanno bisogno di un posto dove stare, e di persone che se ne possano occupare, con amore.
Prima dell'adozione in famiglia gli animali hanno spesso bisogno di un periodo di riabilitazione: un coniglio che ha sempre vissuto in una gabbia non può essere messo di colpo in un giardino a mangiare l'erba. Perché lui non sa che l'erba si mangia. Lui conosce solo i pellet che il tecnico di laboratorio metteva nella vaschetta della sua gabbia. Lui non sa che può alzarsi sulle zampe posteriori e guardarsi attorno, perché la gabbia in cui è sempre vissuto era alta solo 20 cm e poteva starci solo accovacciato. E farlo improvvisamente può anche spezzargli la schiena. Non può stare sul prato al sole, perché non può sapere cos'è un prato né tantomeno cosa possa mai essere quella palla di luce e calore che noi chiamiamo sole: per lui esistono solo le lampade al neon dello stabulario.
Il progetto “Quarta R” è questo: riportare alla vita questi animali, ridare loro, almeno in parte, ciò che altri, in nome di una falsa scienza e una pretesa superiorità hanno tolto. Senza alcun diritto, o ragione, o pietà.
Per adottare uno di questi animali, si può far riferimento, per l'Italia, al progetto Adozione animali di laboratorio di AgireOra Network.
LEAL - Sezione di Sondrio
(da 'l Gazetin, settembre 2008)
Per informazioni ed adesioni:
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