Nel sesto articolo della serie “In versi d’amore” la poesia preferita da Maria Pina Ciancio per affrontare il tema d’amore è “Ho spesso immaginato che gli sguardi” di Valerio Magrelli, poeta contemporaneo considerato tra i più grandi.
Sono grata a Maria Pina Ciancio, mia amica e poetessa, alla quale di recente ho proposto l’intervista tipo di “In versi d’amore”, perché con la sua preferenza mi dà occasione di accennare al problema interpretativo ed alla connessione tra poesia e filosofia.
Percepisco anch’io il fascino dei versi di questa poesia del Magrelli, perché sono testimonianza nel loro lento e riflessivo scorrere di come il poeta sia anche, fra l’altro, un pensatore, un filosofo che, senza voler argomentare il suo pensiero, lo esprime in poche parole opportunamente composte in un verso che va e torna, scandito di “a capo”, come traccia, come vomere in campo, come solco sul foglio, come scia luminosa che scende o che sale e prosegue dagli occhi, alla mente e l’ accende, che invita a seguire o a pro-seguire ulteriormente slanciare, innescare, approfondire.
Leggendola però mi sono chiesta se questa sia veramente una poesia d’amore. La domanda introduce il problema interpretativo posto nei termini dicotomici se è vero, come taluno vorrebbe, che è possibile un’interpretazione univoca della poesia o se invece la poesia può avere interpretazioni diverse a seconda del percorso che essa compie nella mente del lettore. Così a me appare e vale anche per questa poesia. Così a me sembra necessario perché l’interpretazione autentica, ossia quella svolta dall’autore, che certo ben conosce il momento ispiratore, non solo non è necessaria, non è nemmeno utile ed è anche, in ultima analisi, indiscreta.
Accettare l’idea di Maria Pina Ciancio, pensare questo componimento come una poesia d’amore ne fa un testo parco, semplice, di tempi lunghi e sospirati, di pazienza e di memoria, di imprinting potente, dei gesti lenti, dei particolari, degli intrecci di fili, asticelle di legno, plastica e grovigli. Da districare.
La Ciancio la sceglie proprio per questo, perché essa non ha quei “contorni netti definiti” che la potrebbero far inquadrare senza ombra di dubbio fra le poesie d’amore. Mostra in questa preferenza di testo un’inclinazione che può lasciar intuire un suo senso dell’amore discreto, privato, che non strappa i capelli, che non mostra niente al superficiale, ma è come vapore, come un filo di fumo che sale, un ago da agopuntura, sottile, quasi impercettibile, ma che intenso giunge al nervo della profondità. Un profumo, una nuvola che in cielo si forma e prende le forme che in essa si vogliono immaginare. Un amore fatto più di pensiero che di carne, di interiorizzazione che di trasporto, di confronto, ricordo, emozione più che di passione che arde e consuma. La poesia mostra così il varco di pensosità a cui un testo poetico induce, un immaginare, inventare, percepire situazioni, un adattarle al proprio mondo o modo di sentire. Similmente l’interpretazione di un testo poetico. A qualcuno, infatti, questa potrebbe non sembrare una poesia d’amore. Cosa impedisce ad esempio di leggerla come pensiero rivolto a un incontro di sguardi non di amanti ma di nemici, incrociatisi nel vuoto di una stanza ed ancora aleggianti, tra nemici o estranei, tra amici o rivali.
L’amore è fatto anche indubbiamente di duelli crudi, a volte crudeli, di confronti sempre e compromessi, di un andarsi incontro non necessariamente da amanti ma talora armati. Dalle schermaglie giocose d’amore agli scontri tremendi di un amore a finire. Dolorosissimi.
La poesia non dice e lascia che ognuno rifletta se stesso nel testo e trasporti l’immagine in luogo, un luogo nel quale la chiusa in shangai induce persino a rimandi filmici tecnologico- orientaleggianti, in bilico tra Matrix e Kill Bill. L’incrociarsi di spade delle arti marziali, di scontri a mezz’aria, di fili di lame, di passi sospesi nel vuoto a scalciare, di colpi che uccidono. Senza toccare.
Alivento
IN VERSI D’AMORE: LA SCELTA DI M. PINA CIANCIO
L’amore come bisogno di contenere “luoghi” e spazi della felicità
Non amo particolarmente la poesia d’amore dichiarata, quella dai contorni definiti e netti. E non ho una poesia d’amore preferita, così come non ho un poeta o un libro preferito. Amo ciò che senza chiasso sa venirmi incontro, intercettando un mio stato d’animo o un bisogno del momento.
Resto in ascolto. Una poesia dalle immagini rapide, veloci, quasi sfuggenti, si fa strada tra le tante, sotto le venature della pelle. E’ una poesia di Valerio Magrelli. L’ho scelta per la bellezza che con-tiene e per il bisogno che ne emerge di restituire valore e continuità ai gesti condivisi dell’amore.
Ho spesso immaginato che gli sguardi
Ho spesso immaginato che gli sguardi
sopravvivano all'atto del vedere
come fossero aste,
tragitti misurati, lance
in una battaglia.
Allora penso che dentro una stanza
appena abbandonata
simili tratti debbano restare
qualche tempo sospesi ed incrociati
nell'equilibrio del loro disegno
intatti e sovrapposti come i legni
dello shangai.
Valerio Magrelli, Nature e venature, Mondadori 1987
Di questa poesia di Magrelli mi piace innanzitutto la struttura plastica, l’equilibrio pacato e misurato del verso. Lo spazio scenico di una stanza che si fa teatro e con-tenitore di gesti, voci, sguardi; tutto un corredo emozionale capace di riempire, di restituire “continuità” all’essenza più intima dell’“incontro”.
“Ho spesso immaginato che gli sguardi” è una poesia che appartiene alla geografia degli spazi e si sviluppa in una modulazione di pieni e vuoti, dentro e fuori, presenze e assenze. Opposti esistenziali, da cui nasce il bisogno di ipotizzare uno spazio “immaginario” della mente, dedicato al risarcimento e al risanamento dello spirito. Uno spazio quasi “sacrale” capace di trattenere, custodire, riparare dal mondo e da se stessi, da quella paura interiore di perdere i luoghi del vissuto.
Il testo si apre con una similitudine tra gli sguardi degli amanti e le armi da lancio di due guerrieri in battaglia, che calcolano, misurano le distanze del duello, che si sfidano e restano in gara in un equilibrio perfetto; un equilibrio che il poeta sa essere breve e momentaneo, ma che in realtà vorrebbe eterno.
E così la poesia si dipana in un’altra efficacissima similitudine, tra l’equilibrio di quei gesti e un disegno composto di bastoncini colorati di shangai, che basta un filo d’aria, una porta che si apre, una nuova presenza e già si disfa, si perde e si scompone. E il turno passa a un altro. Lo spazio si riempie di rinnovati umori e altri sguardi.
Ecco, la poesia di Magrelli, credo sintetizzi in modo estremamente lucido e razionale, quel sentimento oscillante dell’amore, che si muove tra bisogno di durevolezza e consapevolezza di precarietà. Eppure è importante poter pensare e/o credere che dentro l’aria e i luoghi resti ancora l’eco, lo stupore e il tepore della condivisa gioia dell’incontro.
Una poesia semplice, composta, questa di Magrelli, lontana da qualsivoglia romanticismo, ma fedele, come tutti i suoi testi, all’onestà e alla serietà di una ricerca intellettuale ed esistenziale, che va oltre il corpo e le parole.
Maria Pina Ciancio
Link di riferimento per conoscere meglio Maria Pina Ciancio sono:
http://mariapinaciancio.wordpress.com
http://mariapinaciancio.blogspot.com
http://pillolediversi.blogspot.com
http://fotoscatti.leonardo.it/blog