Pensando al protocollo di Kyoto, mi sono sentita sempre rassicurata, fino a quando non gli ho dato una sbirciata più da vicino.
È un trattato internazionale che riguarda il riscaldamento globale (e mi sarebbe piaciuto che riguardasse anche altri aspetti delle ‘trasgressioni’ tragiche alle regole anti-inquinamento); insomma, ci sono un’infinità di crimini che la comunità industrializzata mondiale può commettere contro la vita dei singoli e dei popoli e non c’è una ‘autorità’ mondiale che possa ‘tuonare’ contro di essa con tutto il peso che la sopravvivenza del genere umano meriterebbe.
Il Protocollo di Kyoto, però, esiste, grazie a Dio (è tutto ciò che abbiamo e dobbiamo farcelo bastare). È ‘nato’ l’11 Dicembre 1997. È entrato in vigore il 16 febbraio 2005 (dopo la ratifica della Russia, avvenuta a fine 2004); ha celebrato il 2° anno di ‘funzionamento’ il 16 Febbraio del 2007, a un decennio dalla ‘nascita’.
Prevede l’obbligo di riduzione (da parte dei paesi industrializzati) dell’emissione di elementi inquinanti come il biossido di carbonio e altri 5 gas serra: metano, ossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi, sofloruoro di zolfo.
Esulterei, per l’obbligo di riduzione, ma… il Protocollo di Kyoto prevede anche il Meccanismo di Sviluppo Pulito, a mezzo meccanismi flessibili. Ciò vuol dire che coloro che inquinano (e che, così facendo, non danneggiano soltanto l’atmosfera, ma anche coloro che vivono nelle vicinanze delle loro industrie) devono ridurre le emissioni dannose al minimo costo possibile, ovvero massimizzare le riduzioni ottenibili a parità di investimento. Ciò detronizza brutalmente il genere umano, per sostituirlo con lo sviluppo industriale. Addio, vecchia idea della vita umana in cima ai valori e mai al servizio dell’interesse e dei beni materiali, addio valori in generale… Il buonsenso comanderebbe di accantonare ciò che non è ‘buono’. È l’uomo che ha inventato le industrie e tutti i ‘mercati’ (incluso il mercato dei mercati: la ‘borsa’) e perché li ha inventati se poi non dovevano servirgli a vivere ma a morire? Ormai il sistema di vita sulla terra è improntato così; è, praticamente, un cannone rivolto verso lo stesso cannoniere. Invertirne la direzione ‘richiede tempo’ (dicono così tutte le organizzazioni cui affidiamo le battaglie della sopravvivenza). Posso crederci. Tutte le cose importanti richiedono sforzi e tempo, ma è poi vero che si voglia invertire la direzione di quel ‘cannone’? Istintivamente non mi fido troppo, anche perché gli ‘aggiustamenti’, anziché tranquillizzarmi, mi insospettiscono.
Il Protocollo di Kyoto doveva essere ratificato da almeno 55 paesi firmatari (produttori di almeno il 55% delle emissioni inquinanti). Tale condizione è stata raggiunta nel 2004, con la ratifica della Russia.
Gli esperti, a quel tempo, concordavano sulla conclusione che la riduzione delle emissioni dovesse diventare operativa immediatamente o al più presto possibile, perché i sistemi climatici sono caratterizzati da una certa inerzia relativa (e una riduzione anche consistente non era una garanzia a breve termine dell’inversione del riscaldamento globale e degli sconvolgimenti climatici). Avremmo, in altre parole, raccolto oggi i frutti (buoni) dei provvedimenti seminati da allora in avanti, ma… il ‘raccolto’ odierno sta stivando nei nostri ‘granai’ ‘frutti’ fatti di intere popolazioni violate e distrutte dalla furia degli elementi. Ciò può voler dire due cose: 1) i buoni propositi non sono stati messi in pratica, 2) i propositi medesimi non erano affatto buoni.
Vediamo come sono andate (più o meno) le cose.
Canada, Stati Uniti e Giappone, nel 2000, proposero di tener conto delle foreste come serbatoi di carbonio (Carbon sinks). È risaputo che le piante sono miracolose, per la capacità di fissare l’anidride carbonica durante la fotosintesi clorofilliana. I tre paesi, ricchi di foreste, ritenevano di poter bilanciare le loro emissioni di CO2 con i loro alberi. Gli USA si opposero pure alle sanzioni finanziarie contro il mancato rispetto del Protocollo di Kyoto.
Mancando l’appoggio degli USA, la quota delle emissioni dei firmatari era sotto il 55%. Il destino del Protocollo dipendeva, perciò, dalla Russia (responsabile del 17% delle emissioni mondiali e fino a quel momento contraria all’approvazione). Il 2001 parve segnare la compromissione irreversibile del Protocollo, poiché il neo-eletto presidente Bush annunciò il ritiro definitivo degli USA - responsabili di circa il 38% delle emissioni - (dal trattato che il suo predecessore, presidente Clinton, aveva firmato prima di rimettere il mandato), sostenendo che quel trattato penalizzasse la sua nazione e non tenesse conto delle emissioni di paesi in via di sviluppo come la Cina. Fu il presidente russo, Putin, a salvare il Protocollo di Kyoto, ratificandolo, nel Settembre del 2004. Alcuni Stati e Municipalità grandi (come Chicago e Los Angeles) degli USA stanno studiando soluzioni che permettano loro di applicare il Protocollo di Kyoto a livello locale: si tratta di evento non trascurabile, poiché ci sono singole regioni (come il New England) che da sole producono quantitativi di biossido di carbonio pari a quelli di nazioni (come la Germania). I paesi non aderenti al trattato sono responsabili del 40% delle emissioni mondiali di gas serra. I paesi firmatari in via di sviluppo non sono tenuti alla riduzione delle emissioni, perché ‘non sono tra i principali responsabili del periodo industriale che sta provocando le attuali ‘impennate’ climatiche. Trovo questa decisione irrazionale e masochistica, a livello mondiale, perché le emissioni dipendono, al 20%, dalle attività agricole e, all’80%, dal settore energetico (ergo dal combustibile fossile, tornato in auge negli ultimi anni). I paesi a basso reddito fanno un largo uso del carbone (la Cina è passata dal 71% di tale uso al 79% e l’India dal 65% al 68%). Le emissioni della Cina sono aumentate del 33% tra il 1992 e il 2002 e quelle dell’India del 57%. Tutte le emissioni in generale (del mondo ricco) sono aumentate, negli ultimi anni, del 2,5 % circa. È il caso, forse, di farsi un po’ di conti e di non escludere nessuno dall’impegno, se non si vuole assomigliare agli stolti che siedono dalla parte sbagliata del ramo che stanno tagliando.
L’atmosfera terrestre contiene 3 milioni di Megatonnellate (Mt) di CO2. Il Protocollo prevede che i paesi industrializzati riducano di circa il 5% le loro emissioni. Tale percentuale costituisce un valore medio complessivo dei provvedimenti presi dai singoli paesi; per ognuno di essi si stabilisce un obiettivo specifico e diverso. Ecco un esempio: la riduzione prevista per l’Unione Europea è dell’8% e per il Giappone del 6% (quella prevista per gli USA ‘sarebbe’ del 7%). L’Unione Europea, al suo interno, con accordo separato, stabilisce l’8% come valore per ognuno degli Stati membri.
Tutti i firmatari del Protocollo hanno un OB in comune: stabilizzare la concentrazione di gas serra, nell’atmosfera, a un livello atto a impedire perturbazioni di natura antropica delle dinamiche atmosferiche e del clima.
Il mondo immette 6.000 Mt di CO2 (3.000 dei paesi industrializzati e 3.000 dei paesi in via di sviluppo). Il protocollo di Kyoto prevede che se ne immettano 5.850, anziché 6.000 (sul totale di 3 milioni di Mt). Tale parametro mi sconvolge per la sua ‘esiguità’ e mi appare totalmente teorico; data la labilità dei confini tra le decisioni prese a tavolino e l’operato reale delle multinazionali, un margine così irrisorio è, a mio avviso, un’offesa all’intelligenza e non vale neppure le spese occorse per far riunire i potenti della terra (non senza defezioni, come tutti sanno), ma non è finita qui…
I paesi aderenti o che hanno avviato la ratifica producono il 61% delle emissioni di gas serra. I firmatari hanno diritto (udite un po’) anche a un ‘credito’ di emissioni, grazie a un sistema di meccanismi flessibili. Questa è la cosa che trovo più irragionevole (e terribilmente lesiva per l’umanità): l’uomo, che da nessuno ha mai ricevuto il diritto a commettere il crimine di inquinare e di alterare gli equilibri naturali, non solo si attribuisce tale diritto, ma si nomina giudice assolutore dei livelli di tale crimine e della misura in cui spartirseli con tanto di certificazione riconosciuta a livello mondiale!
Ecco i meccanismi flessibili:
- il Clean development mechanism (CDM) consente ai paesi industrializzati di realizzare progetti (nei paesi in via di sviluppo) che producano benefici ambientali (riferiti alla riduzione dei gas serra e ai benefici economici e sociali dei paesi ospiti- dicitura che da sola è un grimaldello per qualsiasi opposizione ad eventuali progetti non validi) e che, per contro, guarda caso, generino ‘crediti’ di emissione per i paesi che promuovono gl’interventi. Controllo e verifica dei progetti e dei ‘crediti’ sono affidati a enti specifici indicati dalla Conferenza delle parti. I ‘crediti’ sulle emissioni sono denominati Certified Emission Reductions. Chi ha i soldi, cioè, può andare a creare industrie (e possibilità di inquinare, nei paesi poveri, con tutte le panzane che può raccontare sulla famosa ‘riduzione) e, in più, guadagnarsi il diritto ad inquinare di più a ca’ sua (cioè nostra);
- la Joint Implementation (JI) consente (come sopra) di andare a realizzare progetti nei paesi poveri e di ‘spartire’ con loro il ‘credito’ di inquinamento in più ‘guadagnato’;
- la Emission Trading (ET) permette ai paesi industrializzati di ‘prestarsi’ tra loro i ‘crediti’ (chi non ha ridotto le sue emissioni venefiche, può prendere in prestito il ‘credito’ da chi è stato, invece, ‘virtuoso’ e si è preoccupato più della vita che del denaro). Ciò è assurdo e ‘legalizza’ un comportamento che a me sembra demenziale. Come non definire affetto da demenza chi pretende di arrivare da qualche parte facendo un passo avanti e due indietro? Vorrei sbagliarmi, ma ho proprio l’impressione che stia accadendo questo.
Tutto ciò mi lascia allibita (a dir poco) e con una domanda di antica-filosofica memoria: “Cerco l’uomo”. Credo (anzi, temo) che persino Omero si scoraggerebbe, di fronte a simili ‘sintomi’, e, forse cambierebbe le parole di Ulisse, facendone un epitaffio: “Fatti foste a viver come bruti”.
Mi chiedo perché l’uomo faccia tanti sforzi e tanti sacrifici e poi si condanni a… segnare il passo (se non a precipitare del tutto). C’è voluto l’impegno di tanta gente, per giungere al Protocollo di Kyoto. Gli uomini di buona volontà hanno osato e, nel lontano 1987, hanno ottenuto la sottoscrizione del Protocollo di Montreal. La Comunità Europea (ora Unione Europea), nel 1989 ha proposto la messa al bando totale dei CFC e il blocco della loro produzione entro la fine degli anni Novanta. Gli Ambientalisti, nel 1994, hanno favorito l’accelerazione della sostituzione dei fluidi frigoriferi. Le emissioni di CFC sono calate dell’87% , a partire dal benedetto accordo che porta il nome della città di Montreal. Si stimava, allora, che il buco dell’ozono si sarebbe richiuso entro il 2040. È ancora valida tale ‘prospezione’ (se mi è consentito chiamarla così)? Rio De Janeiro, dopo Montreal, tornò a dibattere e a spargere nel mondo una ventata di speranza. Johannesburg ci ha riprovato, a dieci anni di distanza, con 200 paesi partecipanti, e ha prodotto una dichiarazione sullo sviluppo sostenibile e un relativo piano di azione e, nel mio piccolo, ritengo che questo sia un passo cruciale. La conferenza di Johannesburg ha dato il “Disco Verde” al Protocollo di Kyoto (che, con l’adesione della Russia e poi della Cina, ha superato il 55% delle emissioni necessarie alla legittimazione del Protocollo medesimo).
La settima sessione della Conferenza delle Parti, nel Novembre 2001, a Marrakech, aveva visto l’adesione di soli 40 paesi; due anni dopo, i firmatari erano 120; negli anni successivi i paesi sottoscrittori sono diventati 160 e oggi (tra quelli aderenti e quelli che hanno avviato la ratifica) mi pare che siano 174. Tutto ciò soffia sulle vele della speranza, perché non parla di insensibilità e di rifiuto dell’impegno necessario a salvare il pianeta.
Moltissimi sono gli scienziati cui dobbiamo riconoscenza e gratitudine, poiché (against all odds) ogni giorno ‘si sgolano’, per richiamare il genere umano al buonsenso, e molte sono le persone di ogni categoria sociale, che s’impegnano giorno e notte per le sorti del nostro pianeta; molti sono gl’ignoti che fanno il poco che possono (e che, forse, costituiscono ‘the pillars’ della lotta impari contro qualcosa che ha dimensioni ormai ‘immisurabili’).
Alcuni sostengono che non sia neppure chiaro né sicuro che l’inquinamento contribuisca al global warming (della serie: ‘forse l’uomo non ha colpe’), ma persino loro sono convinti che sia necessario uniformarsi alla linea del no-regrets e al buonsenso. Vedo costoro un po’ come bambini che tendano sempre a sdrammatizzare tutto, per non avere paura, ma mi associo alla loro linea, poiché è meglio fare di tutto (nel presente), per non avere rimpianti (nel futuro- se ne avremo uno), e andare avanti responsabilmente e senza bende sugli occhi (e, soprattutto, senza bende sulla coscienza), ma non rinuncio a sperare che gli Stati firmatari del Protocollo di Kyoto si estendano alla totalità degli Stati mondiali e che facciano qualcosa di più che ‘strappare’ alle multinazionali sforzi praticamente invisibili …
Bruna Spagnuolo