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Daniele Dell'Agnola. Sull'«Appello per l'educazione»
Albert Anker,
Albert Anker, 'La gita della scuola domenicale'  
08 Settembre 2008
 

Cari amici di Tellufolio,

è recente la pubblicazione sui quotidiani della Svizzera italiana, di un «appello per l'educazione» al quale hanno aderito parecchi politici, liberi professionisti, docenti, giornalisti ticinesi. Ecco il testo dell'appello, al quale si può aderire da questo sito:

http://appelloeducazione.blogspot.com

 

 

Appello per l'educazione

 

«Riaprono le scuole, inizia un nuovo anno. Di fronte a qualcosa che ricomincia possiamo scegliere tra l’aspettarci una novità oppure il dire “ci risiamo” e augurarci che ci vada bene o che finisca in fretta.

E se guardiamo all’anno scorso certamente non possiamo illuderci che in ambito scolastico e giovanile tutto sia a posto. È sotto gli occhi di tutti che il nostro Cantone è sempre più spesso teatro di episodi di violenza che vedono implicati dei giovani. Ed è evidente a tutti che non si tratta di episodi sporadici, ma di un male ormai cronico, segno anche di un disagio diffuso e profondo.

Questa situazione genera rabbia e paura. Ci si chiede cosa fare di fronte a una tale emergenza. E la scuola è una delle realtà più sollecitate a prendersi delle responsabilità.

Ma la radice di questo disagio è educativa ed interroga tutta la società, interroga ognuno di noi, poiché la noia, i timori e la diffidenza dei più giovani sono la noia, i timori e la diffidenza degli adulti che non sono più in grado di riconoscere e trasmettere il gusto e il significato della vita. Rischia così di crescere una generazione di ragazzi che si sentono orfani, senza padri e senza maestri, costretti a camminare come sulle sabbie mobili, bloccati di fronte alla vita, annoiati e a volte violenti comunque in balia delle mode e della mentalità dominante. Per questo la prima emergenza che il nostro paese si trova a dover affrontare è quella educativa.

Far fronte a tale emergenza, allora, vuol dire prima di tutto che degli adulti riprendano quel cammino umano che tutti siamo chiamati a compiere, scoprendo il significato di sé e delle cose che ci circondano in un confronto con il patrimonio ereditato dalla nostra tradizione culturale. Ed è ciò che consente tra l’altro di stare di fronte a culture diverse senza complessi e senza inutili paure.

C’è bisogno di adulti, insomma, che siano consapevoli di essere nel mondo e nella società per un compito, per una costruzione positiva, e che – loro per primi – non facciano ultimamente coincidere la riuscita nella vita col successo, i soldi e la carriera.

Solo di fronte ad adulti così, i giovani potranno crescere e imparare a stimare e ad amare se stessi e le cose, assumendo la loro responsabilità di uomini.

Insieme è possibile riappropriarsi del compito drammatico e affascinante di educare. Assumersi il “rischio” di educare, perché l’educazione comporta un rischio ed è sempre un rapporto tra due libertà.

Ed è possibile incominciare di nuovo: salutare i propri figli al mattino come entrare in classe incontrando gli allievi senza scetticismo o cinismo.

Si potranno allora individuare anche le soluzioni per rispondere alle situazioni specifiche.

Non è solo una questione di scuola o di addetti ai lavori: lanciamo un appello a tutti, a chiunque abbia a cuore il bene dei nostri giovani e del nostro paese.

Ne va del nostro futuro».

 

 

Condivido il senso di questo appello e ho aderito in qualità di docente di italiano in una scuola superiore professionale e in una scuola media, dove da anni promuoviamo, in collaborazione con altri colleghi, un'attività teatrale pianificata nel doposcuola che ci permette di sviluppare dei temi vicini ai bisogni del “crescere”. Concretamente, alcuni ragazzi incontrano un modo per vivere esperienze emotivamente significative, rispettando il gruppo e soprattutto le regole indispensabili per portare avanti un progetto collettivo.

È vero che bisogna insegnare a costruirsi positivamente, dare consapevolezza del mondo in cui si vive: quanto al successo, al prestigio, ai soldi o alla carriera (che, si dice nell'appello, non devono “coinvidere con la riuscita nella vita”), dobbiamo però assumerci delle responsabilità e ammettere che noi adulti (docenti, liberi professionisti, giornalisti eccetera) siamo a volte i primi ad essere legati a tali aspettative. È una questione di “modelli”, di punti di riferimento. Il compito educativo è quindi delicato anche in questo senso, così come potrebbe essere complesso "educare alla pace" in un "universo" adulto spesso distruttivo.

Siccome il Compito Educativo dipende da molti fattori (siamo in una società che comunica velocemente, che corre tra gli alti e i bassi dell'economia, in una società dove chi si ferma un attimo è in ritardo) aggiungo, infine, un piccolo contributo al dibattito: sulla “Gestione della pubblica educazione” (è uno dei tasselli nel grande panorama dell'appello per l'Educazione) si è tornato a discutere, anche nell'ambito dei tagli alle spese. Perché il Compito Educativo costa dal profilo umano, ma anche dal profilo finanziario.

Leggo così, nella rubrica “Visti da lontano” del Caffé di domenica 30 agosto, un intervento nel quale Angelo Rossi esprime la propria posizione in merito alla Gestione della pubblica educazione. Rossi sostiene che occorre «risparmiare sui costi del personale». Ridurre unicamente il numero di direttori di scuola media sarebbe però «come un uragano in un bicchier d’acqua». Sarebbe necessario un «aumento del numero degli allievi per docente nelle scuole medie e nelle scuole medie superiori». «Nel medio termine», aggiunge Rossi, «si potrà anche pensare alla chiusura di qualche sede di scuola media».

Visto da lontano” e da un profilo prettamente finanziario, il problema pare risolto. Ma forse il problema non è prettamente finanziario, anche perché l’autorevole economista si sta esprimendo attorno alla gestione del problema Educativo.

Sì, perché il problema del Compito Educativo (pubblico o privato che sia) ingloba forse anche la gestione dei conti, delle uscite e delle entrate, ma pure la formazione dei professori, il tempo e le energie da dedicare allo studente, ai giovani a disagio di cui si parla tanto, ai loro problemi, ai suicidi, e ancora alla crescita delle menti brillanti, alla formazione di base delle menti talentuose! La Gestione della pubblica educazione ingloba tali aspetti e altri ancora che hanno a che fare con la Formazione dell’Uomo di cui gli Uomini adulti (“quelli della classe dirigente”, come dice una mia allieva) devono occuparsi in favore di chi sta crescendo.

A questo punto mi chiedo se la Scuola sia ancora per taluni politici o pensatori, un’agenzia che copre il compito di diffondere il sapere, di accrescere il numero delle persone che sanno e di mettere in movimento quello che si sa, anche se, va ricordato, gli insegnanti si trovano ad operare in contesti sempre più complessi, perché è vero che l’insegnante ha pure il compito di occuparsi di quel malessere o disagio di cui i media hanno tanto parlato recentemente. In tutto questo marasma non dimentichiamoci delle polemiche sui giovani che non sanno più leggere, scrivere, comprendere un testo, giovani che…

Se vogliamo aprire un dibattito sulla Gestione della pubblica educazione, allora dobbiamo sviscerare i problemi in maniera più profonda. Limitarci alla gestione finanziaria non è sufficiente. Altrimenti il senso della ricchezza della comunità (o degli individui, per non offendere nessuno) si ridurrà al pareggio dei conti e rimarremo con qualche biblioteca in meno, qualche adolescente semianalfabeta in più, qualche docente di matematica laureato in meno (perché quelli se ne vanno altrove), qualche giovane in più perso per le strade di periferia con un coltello tra le dita e pronto a finire come caso dell’anno, in prima pagina, a dimostrare di nuovo che “i giovani qua e i giovani là”, e “la scuola cosa fa”, e “la famiglia non c’è più” eccetera.

Se poi il problema educativo è da demandare alle scuole private, allora il tenore del dibattuto cambia e nella Scuola Pubblica dobbiamo essere pronti a garantire, in aperta concorrenza, una qualità ineccepibile, assieme ai miei colleghi, dell’insegnamento-apprendimento erogato nella Scuola pubblica. Perché ci credo profondamente: a condizione che si diano i mezzi finanziari necessari. Altrimenti il gioco non vale più. Basta sapere che società vogliamo e che Uomo del ventunesimo Secolo vogliamo. Lo si dica, però…

 

Daniele Dell'Agnola

docente, scrittore


 
 
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