Anche per quest’estate fino al 10 agosto, i riflettori sono rimasti accesi al Giardino della Basilica di Sant’Alessio all’Aventino sulla Compagnia de La Bottega delle Maschere. Per la decima edizione della Pirandelliana sono andati in scena a giorni alterni Il gioco delle parti ed Enrico IV.
I due testi di Luigi Pirandello, affidati alla regia, oltre che all’interpretazione di Marcello Amici, vedono l’affiatata partecipazione di: Marco Vincenzetti, Anna Varlese, Antonella Alfieri, Umberto Quadraroli, Andrea Volpetti, Riccardo Laurina, Carlo Bari, Pamela Del Grosso, Tommaso Carratelli, Micol Pavoncello, Giampaolo Filauro, Gianluca Blumetti. Le scene sono curate da Marcello Lu Vrau; i costumi da Natalia Adriani e il disegno luci da Gino Govi.
Nel Gioco delle parti Marcello Amici, quale scrupoloso regista ed attento lettore del dramma, ha voluto che l’attenzione dello spettatore, venisse polarizzata nei momenti più mostruosi di questo dramma borghese: la moglie volubile, l’amante superficiale e il marito indifferente.
E così quello che sembra solo il fastidio di un marito tradito, che manifesta una quasi svagata e distante indifferenza, è invece un metafisico calcolo che lo porta a maturare la sua perversa vendetta. Egli, apparentemente estraniato da ogni accadimento, lascia che la moglie Silia eserciti la propria bramosia sui propri corteggiatori. Ma è proprio quest’apatica rassegnazione del marito che rende feroce la donna, al punto di volerlo vedere morto.
Ella fa così in modo che il consorte debba sfidare a duello il bellimbusto ubriaco che si era comportato sconvenientemente nei suoi confronti, ben sapendo che costui è una delle migliori lame della città. Eppure chi mena il gioco non è lei, bensì il proprio marito che ne è fuori e può dirigerlo e concertarlo non secondo la fatalità della drammaturgia borghese, ma secondo l’estro e la giustizia superiori della grande immaginazione. Poiché è lui che regola ‘il gioco delle parti’, manderà l’amante della moglie a farsi ammazzare in vece sua, tirandosi indietro dall’impegno assunto all’ultimo momento, e costringendo l’altro, che si era proposto come padrino, a battersi al suo posto.
Leone Gala, non si presenta qui come un marito che escogita una vendetta crudele sull’adultera e non si propone neppure come il lucido sofista mondano che nasconde sotto la sfilza dei paradossi, l’angoscia della propria lucidità. Egli al contrario è il sereno creatore di un gioco terribile
Per l’altra opera pirandelliana, ricordiamo che Enrico IV fu scritta espressamente dal drammaturgo per Ruggero Ruggeri che ebbe a recitarla al Teatro Manzoni di Milano. Resta inoltre come uno dei testi maggiormente rappresentati dai grandi attori di ogni tempo. Colui che vive tra crudele verità e allucinante finzione, ha da sempre conquistato i più apprezzati attori e tra questi: Salvo Randone, Giorgio Albertazzi, Giulio Bosetti, Romolo Valli, Marcello Mastroianni. Adesso tocca a Marcello Amici interpretarla, riproponendo la singolare allegoria tra realtà ed apparenza, con tutta la lunatica follia di chi al buio di un’ottenebrata mente, alterna a momenti d’ira e di rancore, attimi di sconforto, di disperazione, di continuo malessere.
La vicenda, lo sappiamo bene, parla di un nobiluomo che rinsavito dopo dodici anni di effettiva follia, si rifiuta di tornare tra la gente cui era legato. Inserendosi d’improvviso in quest’aristocratico ambiente, egli farebbe la figura di un mendico intorno ad una mensa apparecchiata. Avendo per di più ucciso l’uomo che fu responsabile della sua sventura, egli sarà costretto a farsi pazzo per tutta la vita, onde evitare il peggio. Ma il suo inganno dopotutto, rappresenta la sola possibilità del proprio esistere; quasi un’invenzione, addirittura un prodotto dell’immaginazione. La grandezza di Pirandello sta oltretutto nell’aver messo in scena l’alienazione, in un tempo in cui (1922) la psicanalisi veniva considerata ancora quale scienza nascente.
Nel dipanare le due storie, la regia non ha mai dimenticato che Pirandello è l’autore del più acuto saggio sull’umorismo. Le risate di Leone Gala e di Enrico IV ne sono la firma autografa, falsa e vera, liberatrice ed amara, spontanea e provocatoria. L’ingranaggio delle due messinscena viene esposto in tutta la sua evidenza metaforica, l’asciutto contenitore mentale è reso visibile con effetti di magico realismo che oscilla tra Kafka e Buñuel, con i tempi, il battere e il levare, dell’uomo del Caos.
Lucio De Angelis
(da Notizie radicali, 1° settembre 2008)