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Simona Borgatti. La scuola fané di Mariastella Gelmini
01 Settembre 2008
 

Nella scuola italiana è scattata l’operazione vintage dall’aspetto fané: grembiuli, voti – anche in condotta – e maestro unico. Il giro di vite sembra necessario per riportare la scuola italiana sulla retta via dal baratro educativo nel quale stava pericolosamente precipitando. O era già precipitata. Ma come spesso accade si ha la sensazione che l’opinione pubblica non conosca affatto il funzionamento della scuola e tanto meno la storia scolastica.

Prendiamo ad esempio, la cosa più frivola e d’immagine: i grembiuli. Premesso che indossando un grembiule non si restituisce autorevolezza all’istituzione, i grembiuli alle elementari non sono una novità, così come non lo era l’inglese ai tempi della Moratti che già veniva insegnato dal 1990. O come la famosa autonomia, salvacondotto di ogni decisione collegiale: l’autonomia è nata col ministro Berlinguer, Moratti, Fioroni e Gelmini non hanno inventato nulla di nuovo.

 

Insomma, quando scatta la parola “scuola” si generalizza rimanendo in superficie e dalla stampa non si capisce se l’oggetto in questione è la scuola elementare, la scuola media inferiore o le superiori. E poi l’Italia è lunga, troppo lunga e nonostante i criteri nazionali di base non si capisce come mai al Nord le cose funzionino in un certo modo e al Sud in un altro. E partiamo proprio dal Sud. Le scuole meridionali sono fatiscenti, i docenti incapaci e quindi facciamoli studiare, i professori meridionali invadono le scuole nordiche – caccia al prof sudista – ma perché questi calano al Nord? Perché in meridione non ci sono posti. E perché mancano posti? Sono stati cementati? Forse c’è già il maestro unico? Le donne meridionali fanno meno bambini? Fanno lezione sul bagnasciuga? Inviterei quindi Gelmini&Brunetta a varcare il Po e andare ad indagare. Seriamente.

  

E altrettanto seriamente vorrei commentare il discorso “voto”. Le maestre saranno le più contente: un sufficiente ai genitori non rende altrettanto bene come un “6”, un “4” è più terrorizzante di un insufficiente, un “10 e lode” che oltre alla banana dal bollino blu, regalerà sogni di gloria. Alla faccia dei giudizi del metodo Steiner molto amato dai giovani genitori intellettuali nonché dalla Veronica nazionale. Sottile la ministra, che con la scuola vintage attua strategie psicologiche mica da ridere. Una scuola fané riporta i genitori indietro nel tempo e ricordando “ai miei tempi” – frase gettonatissima ai colloqui – forse capiranno che l’educazione dei propri figli è cosa seria. E che l’educazione non è solo “Dì grazie al signore”. Ben venga quindi, a parer mio, il 5 in condotta anche se i bulli faranno a gara a chi ne colleziona di più come “la sfida dell’anno” mettendo tutto su Youtube. Non si sconfigge il bullismo con i voti, però questi possono affilare di più il coltello ai docenti. Coltello recentemente un po’ spuntato.

 

Ma la cosa che mi terrorizza è il ritorno del maestro unico. Sono già andata dal contadino dietro a casa a chiedere se ha bisogno di mondine. Perché è questo che rischiano la metà delle maestre di ruolo – non oso pensare a quelle precarie – d’Italia. Mia madre era maestra elementare, ho avuto quindi un pezzo di storia scolastica in diretta tra le pareti domestiche. Tramite lei, in 30 anni, ho vissuto la riforma Gentile, i Decreti Delegati, il doposcuola che ha portato all’attuale Tempo Pieno, ho visto 3 tipi di pagella e le “A” al posto dell’“ottimo”. Mia madre è stata maestra unica per lungo tempo, solo a fine carriera ha condiviso onori e oneri con un’altra collega. La “Tuttologa” lavorava sei giorni per 24 ore settimanali di cattedra, svolgendo tutte le materie escluso l’inglese, l’informatica, le varie “educazioni” e i progetti perché non c’erano. Anche il mio monte ore è di 24, non tutte sono di cattedra, i giorni sono 5, come le materie che insegno. Ma ho alunni stranieri e gli italiani spesso sono vittime della scellerata educazione familiare. Entrambe le tipologie una volta non c’erano, proprio come l’inglese e l’informatica. Di una volta rimangono i 27 ragazzini per classe, mica i 15 fortunelli del metodo Montessoriano. I miei nordici alunni però a scuola ci stanno 40 ore con gioia dei genitori che fino alle 16:30 possono godere di buono ossigeno anche col PM alle stelle. Il Tempo Pieno, il più amato dalle famiglie italiane e strutturato per apprendere, rischia così l’affondamento. Dice, la ministra Gelmini, che anche la sua mamma è stata maestra, ma sono convinta che le profferte amorose di Tremonti le abbiano annebbiato ricordi di felice vita famigliare. Per Tremonti infatti due maestre sono più esose di un’amante e di una moglie messe insieme. Meglio poche maestre ma buone piuttosto che tante ma cattive. Economicamente il ragionamento è perfettamente stirato quasi come un Dior del 1949 che esce dalla naftalina, ma rimangono tanti, troppi “ma”. Tralascio per brevità il discorso peda-psicologico su cosa sia meglio o peggio e passerei al discorso pratico.

 

Trenta ore obbligatorie alle elementari su 5 giorni la settimana fanno 6 al giorno, vorrebbe dire incollare alla sedia i settenni dalle 8:30 alle 14:30 con uno, due al massimo microbi intervalli giusto per il lunch box americano. A meno di andare al sabato come nel 1972. In 30 ore settimanali ci staranno poi tutte le materie, le educazioni, i progetti? Forse verranno defalcati e sarebbe anche un bene così i bambini arriveranno alla laurea con tutte le “h” a posto. Ma dalle 14:30 alle 16:30 come faranno i nordici genitori stakanovisti? I meridionali avranno risolto facendo controllare la digestione del panzerotto al bagnino. Ma niente paura perché arriveranno le altre maestre, quelle “cattive” che, smontando dalla risaia, intratterranno i ragazzini con i laboratori, con la scuola di writer, col punto croce, con “danzabasketkaratè” facendo così risparmiare benzina ai genitori. Tremonti gongolerà. Dopo anni d’insegnamento serio con l’insegnamento di materie altrettanto serie, le maestre 45enni verranno declassate sull’altare dei conti statali. Ma anche le maestre cattive andranno pagate per “danzabasketkaratè” o si troverà una soluzione col contadino? Io ho avvertito anche mio marito: “Proprio tu che mi dicevi – stipendio scarso ma sicuro – ricrediti, che presto, insieme al contadino, dovrai mantenermi. Proprio come una volta, quando la donna faceva la donna e l’uomo, l’uomo”. E poi la storia della maestra unica, chissà perché, mi ricorda il tutor morattiano, quella maestra stellare attorno alla quale girano tanti satelliti, i satelliti “danzabasketkaratè”.

  

Ma da qui al 2009 la strada è in salita. Se in un decennio abbiamo cambiato 4 ministri della “Pubblica Distruzione” una ragione ci sarà. Ora vado, il contadino mi aspetta.

 

Simona Borgatti


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