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Anna Lanzetta: Leggere insieme. “Il rogo di Berlino” di Helga Schneider
30 Agosto 2008
 

La lettura è il filtro per sapere, conoscere, capire e riflettere e come tale è una ricchezza per la mente e lo spirito.

Leggere insieme vuole essere un cenacolo ideale, ovvero un simposio a cui sono invitati tutti i lettori-navigatori, ma specialmente i ragazzi. La scelta non casuale, privilegia testi, la cui lettura, già sperimentata a livello didattico, diventa strumento di approfondimento interdisciplinare e parametro di conoscenza.

 

È Il rogo di Berlino, il primo libro che vi proponiamo attraverso la lettura di pagine scelte.

Nel testo, a carattere autobiografico, Helga Schneider parla della sua infanzia vissuta in un momento terribile della storia di Berlino; ancora più terribile perché Helga sarà abbandonata dalla mamma che lascia la famiglia per arruolarsi nelle fila delle SS. Basta questo per capire il dramma narrato da Helga adulta ma con gli occhi di bambina.

Le pagine scelte ci fanno capire il dramma di Helga bambina e la sua infanzia defraudata da una guerra che lei come tanti bambini non può comprendere.

 

La nostra infanzia è stata infestata da una feroce propaganda antiebraica e quotidianamente abbiamo assistito al manifestarsi dell’antisemitismo. Fin da piccoli abbiamo visto le vetrine infrante dei negozi degli ebrei e le saracinesche imbrattate con la parola Jude. (dal cap. VI)

 

Circa mezz’ora dopo la scoperta dei corpi a brandelli tra i cavoli, la giovane madre del bimbo che piangeva ininterrottamente sotto l’esplosione delle bombe si accorse che il figlio non respirava più. Cominciò ad accarezzarne il viso freddo, lo scosse fino allo spasimo chiamandolo con voce prima ansiosa, poi terrorizzata e infine implorante, ma fu tutto inutile:era morto. Io guardavo agghiacciata l’attonito dolore di quella madre, la sua disperazione incredula. Quel bimbo, che la vecchia Fichtner aveva chiamato «mostriciattolo» perché si ribellava a un mondo che gli negava perfino il riposo notturno, se n’era andato in punta di piedi senza disturbare nessuno.

La giovane madre rimase col figlio in braccio per un giorno e una notte senza parlare, chiusa in uno strazio raggelato. Aveva lo sguardo di vetro, le membra rigide, come impietrite. La mattina seguente, subito dopo un cessato allarme, si alzò, andò nel cortile, seppellì il figlio sotto un lillà e salì nella propria abitazione. Quando, dopo un po’ di tempo non la videro tornare dal cortile, andarono a cercarla nel suo appartamento. La trovarono impiccata nel bagno. (dal cap. XI)

 

Poi mi strinsi nelle spalle, guardai il cielo e mi chiesi se Dio esistesse, se in quel momento mi vedesse e se provasse un po’ di pietà. Pietà di una bambina vestita di cenci, dalle scarpe consumate e dalla pelle nera per la sporcizia. Mio Dio, eravamo davvero così sudici?! Giù in cantina la sozzura non si vedeva, anche perché la candela stendeva un velo pietoso sull’orrore. Guardai ancora le rovine e pensai che il sole era la cosa più neutrale che esistesse. Il sole era imparziale, illuminava il brutto e il bello, il patetico e il solenne, l’infamia e la virtù. Il sole era incorruttibile. Gli uomini potevano distruggere Berlino o forse tutto il mondo, ma il sole avrebbe illuminato tutti gli orrori e infine scaldato di nuovo la vita! (dal cap. XIII)

 

Dov’è l’altro pezzo di gamba? – ripeté Peter più forte. Al che il medico si risvegliò e rispose: – Me l’ha portato via una granata, ragazzo mio. Te la sentiresti di promettermi una cosa?

Sì… – bisbigliò Peter, colto alla sprovvista.

Devi promettermi che da grande non permetterai che ci sia un’altra guerra – disse il vecchio.

Perché? – fece Peter pizzicandosi le guance.

Perché la guerra non è degna degli uomini.

Perché?

Perché in guerra la gente è costretta a comportarsi in modo innaturale.

Perché?

Tu, ad esempio, stai sempre in questa cantina. Ti sembra giusto?

Sì.

Per quale motivo ti sembra giusto, bambino mio?

Se esco mi uccidono.

E ti pare bello che un ragazzino non possa uscire di casa perché altrimenti lo uccidono?

È così… – mormorò Peter scrollando le spalle.

Ma ti piacerebbe andare a giocare nel cortile? – insistette il medico.

Sì, – rispose Peter – per raccogliere una margheritina. (dal cap. XIII)

 

Misi la testa fuori dal letto per vedere che cosa stesse facendo mio fratello. Dormiva. Teddy stretto tra le braccia, il viso incorniciato da riccioli. Le palpebre erano mosse da un lieve tremolio e la bocca contratta come se stesse sognando qualcosa di spaventevole. Mi intenerii. Povero fratellino: cinque anni, pensai, solo cinque anni e già così tradito dalla vita e dagli uomini! Cinque anni mio Dio, e non sapeva giocare. Non sapeva che cosa fosse un bicchiere di latte o come potesse essere blu il cielo. Cinque anni. Gli uomini avrebbero mai potuto risarcirlo della sua infanzia perduta? E risarcirmi della mia? (dal cap. XIV)

 

Poche pagine bastano per farci capire il dramma di cui parla il libro e sperare che non si debba mai più ripetere; che non siano sempre i bambini a soffrire e a pagare il fanatismo e le colpe degli adulti.

È triste essere abbandonati a quattro anni dalla propria madre, è doloroso crescere senza padre, è lacerante leggere l’esperienza di questa bimba di nome Helga tra gli orrori della guerra. L’addio a Berlino in fiamme sembra il fuoco che divampa nelle menti e le atrofizza nel pensiero. Orrore, morte, disperazione accompagnano l’infanzia di Helga negli anni tra il 1941 e il 1945. L’arrivo in Italia, il matrimonio e la nascita di un bimbo sembrano cambiare la sua storia, purtroppo ancora funestata da lutti. Helga dimostra un coraggio indomito e pensa che la cosa più giusta sia raccontare e lo fa con gli occhi di quando era bambina, affinché tutti sappiano e nessuno dimentichi gli orrori della guerra e il desiderio di pace:

 

Cosa facevi laggiù? Avevi dimenticato qualcosa?

Ho solo guardato, – risposi, – ho guardato per non dimenticare nulla.

 

Anna Lanzetta


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