Il regime di Mosca scherza il fuoco; il suo riconoscimento (del tutto privo di valore giuridico, nonostante l’“azzeccagarbugli” Medvedev si richiami addirittura allo statuto dell’ONU) della secessione dalla Georgia di Ossezia del Sud e Abkhazia riapre l’intera partita del Caucaso, a partire dalla Cecenia e dall’Inguscezia.
Ricordiamo che la Cecenia è stata invasa dai russi nel 1999, quando era a tutti gli effetti uno Stato sovrano, con un presidente, Aslan Maskhadov (foto), eletto in libere elezioni certificate dalla comunità internazionale. E Putin non prese nemmeno in considerazione la proposta, avanzata nel 2003 dall’allora ministro degli esteri ceceno Akhmadov, di far amministrare la Cecenia dall’ONU – sull’esempio del Kosovo – per poi far tenere un referendum fra i ceceni sull’indipendenza da Mosca. Referendum serio, non le votazioni-farsa tenutesi successivamente in Cecenia, dove il partito di Putin ha preso il 99% dei voti…
Ieri l’amministratore delegato dell’ENI, Paolo Scaroni, ha escluso categoricamente che la crisi attuale abbia ripercussioni nei rapporti d’affari con Gazprom. Lasciando da parte qualsiasi valutazione di merito, ci permettiamo di ricordare al Dr. Scaroni che l’ENI non è una sua proprietà privata ma una società per azioni nella quale la quota di partecipazione diretta del Ministero dell’Economia e Finanze è pari al 20,31% (indirettamente, tramite la Cassa depositi e prestiti Spa, possiede un'ulteriore partecipazione del 9,99%); pertanto, prima di rilasciare simili dichiarazioni perentorie, sarebbe bene consultare il ministro degli Esteri Frattini.
Infine, a proposito della questione energetica e a testimonianza della strumentalità con cui Mosca utilizza la questione delle cosiddette repubbliche secessioniste, ricordiamo che i russi controllano ancora il porto georgiano di Poti, sul Mar Nero, distante sia dall’Ossezia del Sud che dall’Abkhazia. Il vero obiettivo dell’offensiva russa è quello di colpire le infrastrutture e le linee di comunicazione georgiane per impedire che diventino alternative, per il trasporto di gas e petrolio dall’Asia Centrale in Europa, alle pipelines di Gazprom. Questa è la vera posta sul tappeto. Finalmente l’Unione Europea se ne è accorta o è stata costretta ad accorgersene.
Giulio Manfredi, della Giunta di segreteria Radicali Italiani
Igor Boni, del Comitato nazionale Radicali Italiani
Fonte: Radicali.it, 27/08/2008