Risorgerà l'Alitalia come la Fenice?
No, le azioni messe in atto ricordano l'applicazione di una prassi largamente diffusa nel nostro Paese: socializzare le perdite, privatizzare i profitti.
Se non ricordiamo male, si diceva che “quel che va bene per la Fiat va bene per l'Italia” e, parafrasando, oggi si dice che quello che va bene per Alitalia va bene per l'Italia. Insomma il contribuente italiano si accollerà le perdite (bad company) mentre alcuni imprenditori prenderanno la parte attiva dell'Alitalia (good company). Nulla di nuovo sul fronte italiano, si potrebbe dire.
Ci sono alcune incognite nell'operazione. L'alleanza con Airone potrebbe trovare qualche difficoltà se non con l'Antitrust italiano almeno con quello europeo. Vero è che il commissario europeo ai Trasporti è Antonio Tajani, uomo di tutta fede del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ma gli interessi in gioco sono tanti e gli aeroporti italiani sono molto appetibili per le altre compagnie aeree.
Altro problema è quello del conflitto di interessi che potrebbe sorgere tra la banca Intesa come advisor e la stessa come partecipante all'operazione di salvataggio. Anche gli azionisti dovrebbero avere qualcosa da dire visto che con la bad company probabilmente si ritroveranno in mano titoli che varranno meno della carta sulla quale sono stampati.
Infine c'è il problema degli esuberi e dei contratti. Si parla di 7mila «esuberi» (interessante il termine!). Il sindacato che è stato una delle cause del declino Alitalia, supportando rivendicazioni che hanno contribuito a mettere fuori mercato la compagnia, oggi balbetta.
Non c'è che dire: un tempo la ritirata si chiamava riposizionamento, oggi l'Alitalia si chiama Fenice.
Primo Mastrantoni, segretario Aduc