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Georgia e dintorni. Riflessioni
24 Agosto 2008
 

Mi interessa relativamente poco prendere posizione a favore dell'una o dell'altra parte nella contesa sulla Georgia.

Certamente Bush vuole lasciare la politica attiva, avendo inferto il massimo danno possibile alla Russia, anche a condizione di violare le Olimpiadi, pur di rafforzare il potere imperiale degli USA. Certamente Putin pensa immediatamente allo strumento militare per qualsiasi replica e ambedue tendono, mirano a, provocano di fatto un indebolimento ulteriore di qualsiasi struttura politica internazionale legittima, sicché la Nato è diventata più di un potentissimo stato nazionale ecc.

Sembra di capire che Bush voglia lasciare al suo successore (che malauguratamente potrebbe anche essere Mc Cain) una grande opportunità, quella di riprendere una guerra fredda con la Russia annettendosi di fatto l'Europa ecc. Putin reagisce sulla stessa lunghezza d'onda. Per fare un esempio di casa nostra, come Di Pietro rispetto a Berlusconi: usano la stessa cultura politica, gli stessi toni.

Ma noi abbiamo davanti uno scenario molto preoccupante, quello cioè di una nuova guerra fredda e della gestione di fatto “bipolare impropria” del mondo.

A me interessa capire quali strumenti politici e culturali potremmo avanzare, e confrontare e lanciare anche per un approfondimento dei lavori della Tavola.

Osservo che l'uso della categoria “etnia” ha disfatto l'equilibrio interculturale che Tito era riuscito a introdurre nella Costituzione jugoslava e tutto ciò che è venuto dopo è peggio di ciò che vi era prima, la stessa osservazione vale per Cecenia Ossezia ecc. ecc.

I temi e i livelli sono almeno due, uno quello della valutazione delle istituzioni internazionali e loro efficacia ed eventualmente come pensare a una loro riforma e rilancio: è il tema che sta alla base del nostro seminario sul 60° della Costituzione e della Carta delle Nazioni Unite.

L'altro comporta l'individuazione dei concetti di fondo che hanno retto negli anni scorsi la politica mondiale, in vista di una fase che fa seguito alla prima guerra fredda e misura le possibilità e compatibilità capitalistiche di guerre calde cosiddette “regionali”, del rilancio del nucleare civile e militare, della riduzione delle risorse naturali e del clima, a modello economico immutato. Ricordo che Tito aveva lanciato, insieme a Cuba e India, il movimento dei paesi non allineati, che era una diversa distribuzione del potere e una alternativa al modello bipolare; Mao a sua volta aveva lanciato il programma di una Cina che non si sarebbe messa a perseguire la ricchezza individuale, una volta ottenuto che ogni cinese avesse una ciotola di riso al giorno, un paio di scarpe ai piedi e un tetto sulla testa, fino a che ci fossero stati altri paesi poveri: un altro modello di governo delle risorse mondiali. Tutto ciò è cancellato dal monopolio, falso duopolio USA-Russia (come dire dal governo e dal governo ombra) e dalla prospettiva che semmai potrebbe diventare un club dei grandi paesi capitalistici di grandi risorse contro il resto del mondo, se attraverso convulsioni che non possiamo nemmeno immaginare si trasformasse in USA Russia Cina e India. Per questo il nostro attuale ministro degli Esteri (ma D'Alema credo sia del tutto d'accordo) teme tanto che la Russia si metta contro la Nato, unico baluardo di potere riconosciuto. Resta sullo sfondo l'America latina, unica speranza del mondo -credo io- insieme sperabilmente ad Europa e Africa.

Dichiaro che considererei una azione per indebolire anche di diritto le N.U. e puntare alla loro dissoluzione, una pura follia. Ricordo solo che uno dei più preoccupanti segnali del profilarsi della seconda guerra mondiale fu il fatto che di fronte alle sanzioni economiche votate dalla società delle Nazioni, per punire l'Italia fascista che aveva aggredito l'Etiopia, Hitler si sia schierato con Mussolini, abbia rotto il blocco e l'embargo e cementato una alleanza funesta e non più modificabile. Eppure la Società delle Nazioni, che tentava di regolare i rapporti tra gli stati, era ben poca cosa di fronte alle N.U che -dopo il massacro bellico- furono istituite e collocate a New York, invece che a Ginevra, come prima tutte le istituzioni internazionali, segno che il comando era passato dall'Europa agli USA. Esse possono a tutt'oggi essere un elemento di difesa e di equilibrio e bisogna puntare sulla loro riforma e non sulla loro distruzione, meta che oggi sembrerebbe non sgradita né a Bush né a Putin.

Credo che l' Europa sia il soggetto politico che può fondatamente proporre la riforma delle NU, a partire dall'osservazione che -essendo il territorio che ha scatenato le due guerre mondiali, uscendone distrutta e vinta- e avendo deciso, sia pure con alterne vicende, di rendere impossibile la guerra tra i suoi popoli, ha titolo per presentarsi alle N.U. come forza che può dare ad esse un contributo significativo, purché non sia fondato su come aggiungere uno stato europeo al Consiglio di sicurezza e ai suoi membri permanenti: a me pare che si dovrebbe agire per avere un voto unico per l'Europa nel Consiglio di sicurezza e che si alternino lì i presidenti europei pro tempore, che tutti i membri del Consiglio di sicurezza siano a rotazione. Sul veto ho un paio di proposte, ma di ciò un'altra volta.

Sto dunque per proporvi che si dichiari decaduto il principio dell'autodeterminazione dei popoli, inteso come appoggio incondizionato alle nazionalità (che poi degenerano in etnie). Del resto esso già ora può funzionare solo se un popolo compattamente “puro” ed esteso su un territorio egualmente “puro” stia entro uno stato compattamente di altra nazionalità, occupante un territorio ben delineato.

Questo tema è già stato affrontato e lo riprenderemo nel seminario ad ottobre.

 

In questo momento mi interessa di più capire quale è stato lo strumento di cultura politica che ha disarticolato molti paesi, introdotto elementi di guerra e lasciato senza soluzione quella dei Balcani, Medio oriente ecc.

Sono convinta che il principio di nazionalità, che degenera nelle appartenenze etniche sia distruttivo stupido pericoloso e infondato. Le etnie non hanno nessun fondamento scientifico e pochi storici. Vivere in uno stato dittatoriale della propria nazionalità è peggio che vivere in uno stato democratico di altra nazionalità.

Sono altresì convinta che, se non mutano le condizioni strutturali e culturali di un dato assetto, esso si riproduce, per quanto tremende siano state le vicende che lo hanno attraversato: la prova più lancinante è che gli Ebrei, costituitisi in stato di tipo nazionalista ed etnico, per quanto ricordino la propria storia, soprattutto, ma non solo quella recente, riproducono comportamenti verso altri popoli simili a quelli di cui furono vittime. E fascismo e nazismo pure.

 

Lidia Menapace


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