“Schiava di Roma Iddio la creò?” “Toh!”, esclama l’ex-celodurista, alzando al cielo con rabbia il dito medio della destra, raffinata versione simbolica del più popolare detto “Co ‘sto c zzo!” Ammiccando ai suoi fedeli sostenitori, fior d’intellettuali, sicuro d’essere ammirato. Un gesto per chiamare l’applauso da parte di un pubblico noto per l’irrinunciabile esigenza della signorilità.
Per chi ha altri gusti, questa è l’ultima dimostrazione del livello intellettuale, e quindi politico, di chi fu definito, dall’esimio professor Miglio, «Una scoreggia nel vuoto», quando si accorse del clamoroso granchio di valutazione in cui era incorso.
Nel purtroppo inedito poema musicale Il Bosso, (l’editore s’è tirato indietro in extremis, «per paura delle botte e degli attentati», parole sue) c’è una simpatica dissertazione su questa originalissima e micidiale definizione. Si sostiene che sia stata concepita dal figlio di Miglio, laureato in fisica. Infatti sono notevoli e divertenti, oltre al forte impatto immediato dell’espressione, le elucubrazioni di carattere fisico-chimico, sugli effetti che la detonazione e la flautolenza possono avere nel vuoto.
In genere verso i 10-12 anni, quando si presta attenzione per la prima volta alle parole del nostro inno nazionale brutto, retorico ma vibrante di passione, si interpreta alla lettera che l’Italia sia stata creata da Dio “schiava di Roma”. E questo, ovviamente, non piace e ci si ribella all’idea. Ma, appena qualche anno dopo, si scoprono le metafore e il parlar traslato. Si capiscono le immense difficoltà della poesia, che deve tendere alla perfezione del linguaggio. Si scoprono le ancora più grandi difficoltà nel dover rispettare le esigenze del linguaggio poetico e quelle del metter tutto in musica. Si apprende che Goffredo Mameli era poco più che un ragazzino quando scrisse di getto quel testo. Aveva 20 anni. Morì, da patriota, a 22. E allora, per chi sa, il tutto acquista un sapore e significati particolarissimi, anzi unici. L’inno resta brutto, ma è come una moglie invecchiata e rugosa che per il marito, dopo una vita assieme, è insostituibile, quindi, unica. I padani suonano il coro del Nabucco? Splendido. Ma quel “Oh, mia patria, sì bella e perduta…” è da inno nazionale?
Si dovrebbe imparare a scuola che i patrioti cantando Fratelli d’Italia non pensavano a Roma ladrona, agli insegnanti terroni da rispedire a Sud, alle tasse che i padani pensano di pagar solo loro. Il loro sogno era che tutti gli italiani fossero fratelli. Ma avete letto le dichiarazioni che fece la sorella del senatur, quando ruppero? Fratelli coltelli. È ovvio allora che Fratelli d’Italia gli faccia venir l’orticaria. A scuola o da letture personali, si dovrebbe scoprire che quelle parole che hanno scatenato le ire del vecchio e ineducabile burino, affermano una verità storica ineliminabile: l’Italia sarà in eterno legata alla fama e alla grandezza dell’antica Roma. Non è che con la piadina, il liscio e i concorsi di Miss Padania (per la maggioranza: ammazza che racchie!) ci si possa rendere famosi in Australia, al Polo Sud, nei campus e altrove. Non riusciremo mai a superare la fama che i Romani diedero al nostro Stivale. Questo significa essere schiavi di Roma, caro burino del Nord.
La rozzezza del vecchio celodurista, la ritroviamo in chi, con scritti truculenti contro il fisico Antonino Zichichi e i cattolici, ha introdotto il bossismo nella “kultura” italiana.
Mi riferisco a Piergiorgio Odifreddi, geometra di Cuneo, professore universitario già in pensione grazie alla legge Maroni. Il suo linguaggio ricorda le truculenze del primo Bossi, quello del Berluskaiser e del caterpillar, per intenderci. Dando sarcasticamente dell’IDDIOTA al siciliano Zichichi, ha dimostrato d’essere anche un razzista linguistico.
Leggendo alcuni brani della Bibbia e dei Vangeli, ha avuto lo stesso atteggiamento dell’esimio ministro. Ha interpretato tutto alla lettera e alla fine ha fatto “Toh!”, alzando il dito medio e, con questo stato d’animo ha fatto di tutte le erbe un fascio. Ha attaccato, Bibbia, Vangeli, religioni di tutto il mondo, in particolare quella cattolica. Ha dichiarato guerra a tutti i credenti. E, assieme ai due direttori della rivista Le Scienze, s’è messo a sostenere che se uno critica qualche corbelleria scientifica che ha scritto, dietro lauto compenso, lo fa perché «è un cristiano, cioè, un cretino».
Ma di questo parleremo un’altra volta.
Paolo Diodati