Lo scorso ventisette giugno, all’età di novantadue anni, è mancata la scrittrice e giornalista praghese Lenka Reinerová, di origini ebraiche, figlia di un commerciante ceco e di una boema tedesca. Si è spenta con lei l’ultima testimone di quella Praga che Angelo Maria Ribellino ha definito «magica», Franz Werfel una «fata morgana», e la stessa Reinerová «folle»,* ossia di quella fantasmagorica città sulla Moldava che nella prima metà del Novecento diede tanti autori alla letteratura tedesca: da Rainer Maria Rilke a Franz Kafka, dal già menzionato Franz Werfel a Egon Erwin Kisch, da Gustav Meyrink a Johannes Urzidil.
Ultima rappresentante di quel complesso mondo culturale ebraico-ceco- tedesco, che l’invasione nazista del 1939 distrusse per sempre, la Reinerová arrivò solo tardi a imporsi come scrittrice; ma la sua prosa e la sua memorialistica furono poi molto apprezzate, a partire dagli anni novanta, per lo stile sobrio che le caratterizza e che si mantiene nei toni di un’assoluta modestia e pacatezza anche là dove avrebbe motivo di caricarsi di rabbia o di sgomento per una vita costellata di perdite e delusioni.
Nelle pagine di Reinerová, un’inguaribile ottimista, non c’è né l’orgoglio né l’angoscia del sopravvissuto ai campi di sterminio, in cui non fu internata per pura casualità. Si trovava infatti come corrispondente a Bucarest quando i nazisti invasero il suo paese; e mentre i suoi familiari finirono deportati e uccisi in diversi Lager, a lei riuscì l’esilio in Francia, dove fu detenuta in un campo di lavoro, salvo poi riuscire a fuggire, a raggiungere Casablanca e da lì il Messico.
A guerra finita tornò in Europa, dapprima a Belgrado con il marito, medico e scrittore serbo, e solo nel 1948 nella sua città natale. La gioia di questo rientro fu però di breve durata: venne infatti coinvolta nelle purghe staliniane e finì in prigione: alla sua completa riabilitazione si arrivò soltanto nel 1964.
Quattro anni dopo, nel corso della cosiddetta Primavera di Praga, la Reinerová fu espulsa sia dal partito comunista sia dall’ordine dei giornalisti, e da quel momento visse lavorando soprattutto come interprete simultanea e traduttrice: sua è la prima versione in tedesco di un dramma di Václav Havel, allora ancora lontano dal successo letterario e politico.
Per anni le opere di quest’indomita e acuta osservatrice della realtà che la circondava non vennero pubblicati in Cecoslovacchia; poi, dopo la caduta della cortina di ferro, la sua narrativa trovò un numero sempre più ampio di lettori entusiasti. Insignita di molti premi e riconoscimenti, la scrittrice fu invitata nel 2005 dal Parlamento Tedesco a tenere un discorso commemorativo in occasione del sessantesimo anniversario della liberazione dei detenuti nel campo di sterminio di Auschwitz. Ragioni di salute le impedirono di presenziare alla cerimonia, che seguì per televisione, ascoltando le proprie parole lette da un’attrice.
L’impegno della Reinerová fu quello di riproporre, attraverso il ricordo di episodi e incontri, veri o solo sognati, lo spaccato di un’era drammatica, buia, da tener viva nella memoria come esempio da non ripetere per le generazioni future, dove però, accanto ai pericoli, ai tradimenti e alle disillusioni, c’era anche sempre stato modo di sperimentare solidarietà e generosità.
Gabriella Rovagnati
* Lenka Reinerová, Närrisches Prag. Ein Bekenntnis [Praga folle. Na confessione], Berlin 2005.