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Gordiano Lupi: Heberto Padilla, un poeta contro il regime
17 Agosto 2008
 

Note biografiche sintetiche

Heberto Padilla è uno dei poeti contemporanei più importanti in lingua castigliana. Nato a Puerta del Golpe, Pinar del Río, Cuba, nel 1932, trascorre la giovinezza nella sua provincia natale, dove compie gli studi secondari, si laurea in giornalismo all’Avana, insegna lingue e letterature in alcune università straniere. Conosce, scrive e parla francese, inglese, tedesco, russo, italiano e greco. Lavora come professore di inglese e commentatore radiofonico a Miami (1956-1959). Si trasferisce a New York per lavorare come traduttore delle Escuelas Berlitz. A richiesta dei suoi amici intellettuali, ritorna a Cuba in questo stesso anno. Corrispondente di Prensa Latina a Londra e del periodico Pravda di Mosca. Collabora all’organo ufficiale della UNEAC e alla rivista Unión. Dirige CUBARTIMPEX, organismo incaricato di selezionare libri stranieri, e lavora per il Departamento de Extensión de la Universidad de La Habana. All’interno della Rivoluzione Cubana occupa importanti incarichi direttivi, soprattutto nell’area delle relazioni diplomatiche e intrattiene contatti con numerosi intellettuali del mondo. A partire dal 1966 comincia a commentare problemi politici su Juventud Rebelde, il giornale ufficiale della gioventù comunista. Nel 1967 si trova al centro di una polemica ideologica a causa del suo libro Fuera del juego. Nonostante tutto, nel 1968, quel volume ottiene il Premio Nacional de Poesía de la Unión de Escritores y Artistas de Cuba "Julián del Casal". La premiazione segna l’inizio delle difficoltà di Padilla, perché il comitato direttivo della UNEAC considera Fuera del juego, un libro critico e polemico, “controrivoluzionario” e ne condanna il “contenuto ideologico”. Fuera del juego viene pubblicato preceduto da due dichiarazioni: quella di Padilla che si proclama fedele alla linea rivoluzionaria e quella dell’UNEAC che lo critica. La successiva lettura del nuovo libro di poesie, Provocaciones, davanti alla UNEAC, il 20 marzo del 1971, produce una ridicola autocritica imposta e la successiva detenzione dello scrittore.

Nella primavera del 1971 il mondo conosce il "Caso Padilla", una grande farsa montata dalle autorità culturali cubane che ricorda i processi sovietici, durante i quali gli intellettuali di prestigio, principalmente poeti e scrittori, venivano costretti a ritrattare le loro opere in una sorta di autocritica pubblica. Questo processo tocca a Heberto Padilla e a sua moglie Belkis Cuza Malé, entrambi scrittori di riconosciuta grandezza, con opere premiate e un vasto curriculum nel mondo delle lettere. I due intellettuali sono obbligati a ripetere un copione preventivamente concordato e orchestrato dalla Sicurezza di Stato. Nella così detta autocritica Heberto si dichiara colpevole di essere un controrivoluzionario e di aver commesso una serie di crimini politici. Nella confessione coinvolge - come concordato - sua moglie Belkis Cuza, che subito dopo viene incarcerata insieme a lui. Tutti gli intellettuali del mondo, soprattutto di sinistra, comprendono che si tratta di un processo stalinista, reagiscono inviando lettere a Fidel Castro facendo pressione perché Heberto e sua moglie vengano liberati. A protestare non sono “intellettuali da salotto preoccupati solo di brillare e distinguersi in una società decadente”, come li definisce Castro. Gli intellettuali che protestano sono nomi importanti della cultura internazionale. Il Caso Padilla è la prima ferita aperta della Rivoluzione Cubana e la prima vera crisi attraversata dal “paradiso comunista”.

L’autocritica di Padilla si tiene nel salone della UNEAC, il 27 aprile 1971, dove Fidel Castro tre giorni dopo convoca il Primo Congresso Nazionale di Educazione e Cultura. Fidel Castro dice, riferendosi al libro Fuera del juego: “Per motivi di principio ci sono alcuni libri dei quali non va pubblicato né un esemplare, né un capitolo, né una pagina”. Questa dichiarazione evidenzia a chiare lettere - se mai ce ne fosse bisogno - il carattere totalitario del suo regime e ancora oggi produce scandalo tra gli intellettuali democratici. Nello stesso congresso vengono dettate ridicole norme su come devono vestirsi i giovani cubani, prediligendo l’uso della guayabera come “capo di abbigliamento tipico della identità nazionale”, ma persino la musica che deve essere ascoltata alla radio. Viene proibita in maniera ufficiale e radicale tutta la musica che può essere considerata deviazionismo ideologico, soprattutto il rock. Viene fustigata l’omosessualità come figura delittuosa e si arriva oltre dicendo: “un omosessuale sarà portato davanti alle autorità e processato legalmente soltanto per la pubblica ostentazione della sua condizione”.

Heberto Padilla viene demolito dai membri dell’UNEAC (Nicolas Guillén in testa) che seguono alla lettera le indicazioni di Fidel Castro che lo definisce “un uomo ambizioso, iscritto al cenacolo dei poeti e degli intellettuali da salotto con il solo interesse di elevarsi in una società decadente”. Non tutti gli uomini di cultura cubani si schierano dalla parte di Castro, soprattutto alcuni giovani intellettuali della zona di Santiago, dichiaratamente ribelli e controcorrente, difendono l’opera di Padilla. Le opinioni internazionali sul Caso Padilla si dividono. Da un lato c’è la maggioranza che considera l’autocritica come una vera e propria farsa, una specie di operetta velenosa concepita, guidata e condotta dalla Sicurezza di Stato. Dall’altro lato ci sono gli intellettuali allineati e disciplinati che definiscono l’autocritica genuina, considerano Heberto e Belkis alla stregua di agenti della Cia che consegnano le armi al nemico e contribuiscono al deviazionismo ideologico tra gli intellettuali e la classe politica.

Padilla viene incarcerato insieme alla sua sposa, la poetessa e scrittrice Belkis Cuza Malé, accusati entrambi dal Dipartimento di Sicurezza dello Stato di “attività sovversive”. La sua carcerazione provoca una rottura tra gli intellettuali della sinistra mondiale e la Cuba castrista. Ci sono proteste e pressioni da parte di intellettuali come Jean-Paul Sarte, Carlos Fuente e Mario Vargas Llosa. Padilla chiede a Castro il permesso di lasciare il paese, ma gli viene negato. È soltanto grazie alla pressione di Sartre, Simone de Beauvoir, Alberto Moravia, Mario Vargas Llosa, che, nel 1980, Padilla viene liberato e autorizzato a lasciare il paese. In questo stesso anno conclude il romanzo En mi jardín pastan los heroes, che viene tradotto in sette lingue, persino in italiano (Nel mio giardino pascolano gli eroi, Mondadori - purtroppo fuori catalogo). Nel settembre del 2000, Padilla muore negli Stati Uniti, in una stanza di hotel dell’Alabama, per un infarto cardiaco.

 

Bibliografia – Il suo più importante libro di poesia è Fuera del Juego (premio «Julián del Casal», concorso UNEAC, 1968), ma vanno citati anche i precedenti: Las rosas audaces (1949) e El justo tiempo humano (1962) e i successivi: Provocaciones (1973), El hombre junto al mar (1981), Un puente, una casa de piedra (1998). Padilla scrive anche due romanzi come El buscavidas (1963) e En mi jardín pastan los héroes, (1986) e un saggio autobiografico come La mala memoria (1989). Di Heberto Padilla niente risulta edito in italiano, a parte un’esaurita (e ormai fuori catalogo) edizione Mondadori de Nel mio giardino pascolano gli eroi. Che peccato!

 

 

ANTOLOGIA POETICA

 

Per Heberto Padilla (1932-2000), “la poesia deve essere, prima di tutto, comunicazione”. Il suo libro Fuera del juego (1968) non ottiene l’approvazione del governo castrista e diventa il simbolo dei limiti della libertà di espressione del regime. Queste poche poesie - che traduco personalmente in italiano - sono tratte dal suo capolavoro Fuera del juego (1968).

 

 

EL ÚNICO POEMA

 

Entre la realidad y el imposible

se bambolea el único poema. Retenlo

con las manos, o con las uñas, o con los ojos

(si es que puedes) o la respiración ansiosa.

Dótalo, con paciencia, de tu amor

(que él vive sólo entre las cosas).

Dale rechazos que vencer

y otra exigencia

mucho mayor que un límite,

que un goce.

Que te descubra diestro, porque es ágil;

con los oídos alertas, porque es sordo;

con los ojos muy abiertos, porque es ciego.

 

L’UNICO POEMA

Tra la realtà e l’impossibile

oscilla l’unico poema. Trattienilo

con le mani, o con le unghie, o con gli occhi

(se puoi farlo) o la respirazione ansiosa.

Dotalo, con pazienza, del tuo amore

(che lui vive solo tra le cose).

Dagli rifiuti da vincere

e altre esigenze

molto più grandi di un limite,

che un piacere.

Che ti scopra abile, perché è agile:

con le orecchie aperte, perché è sordo;

con gli occhi molto aperti, perché è cieco.

 

 

POÉTICA

Di la verdad.
Di, al menos, tu verdad.
Y después
deja que cualquier cosa ocurra:
que te rompan la página querida,
que te tumben a pedradas la puerta,
que la gente
se amontone delante de tu cuerpo
como si fueras
un prodigio o un muerto

 

POETICA

Dì la verità

Dì, almeno, la tua verità.

E poi

lascia che succeda qualsiasi cosa:

che ti strappino la pagina preferita,

che ti abbattano la porta a colpi di pietra,

che la gente

si accalchi davanti al tuo corpo

come se tu fossi

un prodigio o un morto

 

 

LOS POETAS CUBANOS YA NO SUEÑAN

 

Los poetas cubanos ya no sueñan
(ni siquiera en la noche).

Van a cerrar la puerta para escribir a solas
cuando cruje, de pronto, la madera;
el viento los empuja al garete;
unas manos los cogen por los hombros,
los voltean,
los ponen frente a frente a otras caras


(hundidas en pantanos, ardiendo en el napalm)
y el mundo encima de sus bocas fluye
y está obligado el ojo a ver, a ver, a ver.

 

I POETI CUBANI NON SOGNANO PIÚ

I poeti cubani non sognano più
(neppure di notte)

Vanno a chiudere la porta per scrivere in solitudine
quando scricchiola, all’improvviso, il legno:
il vento li spinge alla deriva;
alcune mani li prendono per le spalle,
li rovesciano,
li mettono di fronte ad altre facce


(affondate nei pantani, bruciando nel napalm)
e il mondo sopra le loro bocche scorre
e l’occhio è obbligato a vedere, a vedere, a vedere.

 

 

NO FUE UN POETA DEL PORVENIR

Dirás un día:
él no tuvo visiones que puedan añadirse a la posteridad.
No poseyó el talento de un profeta.
No encontró esfinges que interrogar
ni hechiceras que leyeran en la mano de su muchacha
el terror con que oían
las noticias y los partes de guerra.
Definitivamente él no fue un poeta del porvenir.
Habló mucho de los tiempos difíciles
y analizó las ruinas,
pero no fue capaz de apuntalarlas.
Siempre anduvo con ceniza en los hombros.
No develó ni siquiera un misterio.
No fue la primera ni la última figura de un cuadrivio.
Octavio Paz ya nunca se ocupará de él.
No será ni un ejemplo de los ensayos de Retamar.
Ni Alomá ni Rodríguez Rivera
ni Wichy el pelirrojo
se ocuparán de él.
La Estilística tampoco se ocupará de él.
No hubo nada extralógico en su lengua.
Envejeció de claridad.
Fue más directo que un objeto.

 

NON FU UN POETA DEL FUTURO

Diranno un giorno:

lui non ebbe visioni che possano essere trasmesse ai posteri.

Non possedette il talento di un profeta.

Non incontrò sfingi da interrogare

né accettò che leggessero nella mano della sua ragazza

il terrore con cui sentivano

le notizie e i bollettini di guerra.

Decisamente lui non fu un poeta del futuro.

Parlò molto dei tempi difficili

e analizzò le rovine,

ma non fu capace di sostenerle.

Andò sempre con la cenere sulle spalle.

Non svelò neppure un mistero.

Non fu né la prima né l’ultima figura di un quadrivio.

Octavio Paz non si occuperà mai di lui.

Non sarà neppure un esempio per i saggi di Retamar.

Neppure Alomá e Rodríguez Rivera,

né Wichy il pellerossa

si occuperanno di lui.

Nemmeno la Stilistica si occuperà di lui.

Non ci fu niente di extralogico nella sua lingua.

Invecchiò con chiarezza.

Fu più diretto di un obiettivo.

 

 

PARA ESCRIBIR EN EL ÁLBUM DE UN TIRANO

 

Protégete de los vacilantes,

porque un día sabrán lo que no quieren.

Protégete de los balbucientes,

de Juan-el-gago, Pedro-el-mudo,

porque descubrirán un día su voz fuerte.

Protégete de los tímidos y los apabullados,

porque un día dejarán de ponerse de pie cuando entres.


DA SCRIVERE NELL’ALBUM DI UN TIRANNO


Guardati dai titubanti,

perché un giorno sapranno quello che non vogliono.

Guardati dai balbuzienti,

da Juan tartaglia, Pedro il muto,

perché un giorno scopriranno la loro voce forte.

Guardati dai timidi e dagli umili,

perché un giorno smetteranno di alzarsi in piedi quando entri.

 

 

DICEN LOS VIEJOS BARDOS

 

No lo olvides, poeta.

En cualquier sitio y época

en que hagas o en que sufras la Historia,

siempre estará acechándote algún poema peligroso.

 

DICONO I VECCHI BARDI

Non dimenticarlo, poeta.

In qualunque posto ed epoca

in cui si faccia o si soffra la Storia,

sempre ti starà seguendo qualche poesia pericolosa.



FUERA DEL JUEGO

 

                             A Yannis Ritzos, en una cárcel de Grecia.

 

¡Al poeta, despídanlo!
Ese no tiene aquí nada que hacer.
No entra en el juego.
No se entusiasma.
No pone en claro su mensaje.
No repara siquiera en los milagros.
Se pasa el día entero cavilando.
Encuentra siempre algo que objetar.

¡A ese tipo, despídanlo!
Echen a un lado al aguafiestas,
a ese malhumorado
del verano,
con gafas negras
bajo el sol que nace.
Siempre
le sedujeron las andanzas
y las bellas catástrofes
del tiempo sin Historia.
Es
     incluso
                 anticuado.
Sólo le gusta el viejo Armstrong.
Tararea, a lo sumo,
una canción de Pete Seeger.
Canta,
           entre dientes,
                                 La Guantanamera.
Pero no hay
quien lo haga abrir la boca,
pero no hay
quien lo haga sonreír
cada vez que comienza el espectáculo
y brincan
los payasos por la escena;
cuando las cacatúas
confunden el amor con el terror
y está crujiendo el escenario
y truenan los metales
y los cueros
y todo el mundo salta,
se inclina,
retrocede,
sonríe,
abre la boca
                     “Pues sí,
                     claro que sí,
                     por supuesto que sí...”
Y bailan todos bien,
bailan bonito,
como les piden que sea el baile.
¡A ese tipo, despídanlo!
Ese no tiene aquí nada que hacer.


FUORI DAL GIOCO

 

                              A Yannis Ritzos, in un carcere della Grecia.

 

Al poeta, congedalo!

Lui qui non ha niente da fare.

Non entra nel gioco.

Non si entusiasma.

Non mette in chiaro il suo messaggio.

Non si accorge neanche dei miracoli.

Trascorre l’intera giornata cavillando.

Trova sempre qualcosa da obiettare.

A questo tipo, congedalo!

Si metta da parte il guastafeste

a questo imbronciato

dell’estate,

con gli occhiali neri

sotto il sole che nasce.

Sempre

lo sedussero le avventure

e le belle catastrofi

del tempo

senza Storia.

È

     perfino

                 antiquato.

Soltanto gli piace il vecchio Armstrong.

Canticchia, al massimo,

una canzone di Pete Seeger.

Canta,

           tra i denti,

                                 La Guantanamera.

Però non c’è

chi gli faccia aprire la bocca,

però non c’è

chi lo faccia sorridere

ogni volta che comincia lo spettacolo

e saltano

i pagliacci sulla scena;

quando le befane

confondono l’amore con il terrore

e sta scricchiolando il palcoscenico

e tuonano i metalli

e le pelli

e tutti saltano,

si china,

indietreggia,

sorride,

apre la bocca

                     Ebbene sì,

                     chiaro che sì,

                     certo che sì…”

E ballano tutti bene,

ballano in modo gradevole

quando gli chiedono come trova il ballo.

A questo tipo, congedalo!

Lui qui non ha niente da fare.

 

 

La speranza - senza volersi attribuire eccessivi meriti - è quella di aver dato un piccolissimo contributo alla conoscenza di un grande poeta cubano, praticamente ignoto nella nostra lingua.

 

Gordiano Lupi


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