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Erick de Armas. Elena è rimasta… y papá tambien
10 Agosto 2008
 

Erick de Armas

Elena è rimasta… y papá tambien

Epoché, pagg. 380, € 17,00

 

Erick de Armas non scrive un romanzo ma ci racconta la sua storia e ne viene fuori un romanzo verità che proprio in questi giorni caratterizzati dalla telenovela della pallavolista cubana Tai Aguero è consigliato come lettura edificante.

Erick nasce all’Avana nel 1965, presenta un programma televisivo per bambini a soli sette anni, canta nel coro delle voci bianche della Radiotelevisione cubana, recita in teatro, si laurea in medicina, inventa mille modi leciti e illeciti per campare e alla fine decide di esiliarsi in Belgio.

Il primo mestiere di Erick de Armas (a parte la professione medica) è quello di cantante e si nota dalla stupenda poesia-canzone dedicata all’Avana e citata in apertura di testo. Basta leggere pochi versi per comprendere la profondità della lirica: L’Avana, appari e scompari,/ adesso per esistere dipendi dai miei sogni…/ Ti conosco, L’Avana dei miei amici perduti,/ le tue distanze in anni luce,/ le tue interminabili attese in un’epoca perduta,/ il tuo delirio paranoico e contagioso,/ e conosco i tuoi mormorii dietro la parola d’ordine.

Erik de Armas è molto bravo a costruire un romanzo autobiografico che racconta il dramma di un’intera generazione di cubani. Proprio per questo motivo non racconta il suo ombelico, come la maggior parte degli scrittori italiani di romanzi, ma l’ombelico di un’intera nazione costretta a scegliere tra la fuga e l’assenza di speranze.

La traduzione di Monica Martignoni non è esente da pecche, ravviso molti errori sui nomi dei santi cubani, sugli accenti, ma soprattutto infastidiscono alcuni periodi contorti. Il libro non ne risente più di tanto perché - superato il primo capitolo che è il più faticoso a livello di resa in italiano - scorre bene.

De Armas descrive molto bene se stesso protagonista: un ragazzino prodigio che diventa medico ma per campare deve inventare mestieri improbabili e traffici illeciti, ma nel frattempo si accorge pure di essere omosessuale. Non sono meno ben tratteggiati i comprimari, soprattutto Elena, l’affarista che traffica in tutti settori del mercato nero per sopravvivere e il padre di Erick, comunista hasta la muerte, per non dover essere costretto a mettere in dubbio tutta la sua esistenza. La vera protagonista del romanzo è Cuba, devastata dal periodo speciale e dalle ristrettezze economiche, ma soprattutto la sua gente che inventa il modo per sopravvivere.

Era la legge dell’epoca. Vinceva il più furbo. L’intelligenza aveva valore se rapida e astuta. C’era chi aveva comprato delle sigarette di segatura e chi aveva mangiato vecchi copriletti logori ben cucinati credendo fosse una bistecca impanata; alcuni avevano fritto con olio per motore, altri fumato tabacco mescolato con foglie di banano.

De Armas descrive con bravura la paura del cubano che scappa e affronta l’ignoto, ma anche la disperazione e la disillusione che lo convincono a tentare il viaggio della speranza per una vita migliore.

E avevo molta paura, paura del mare, paura soprattutto di fallire, il che significava perdere quel poco che avevo. Ma ero anche sicuro di essere stufo di passare la vita a nascondermi per sognare un paio di scarpe, stufo di riviste proibite, dei successi sbandierati dalla stampa, delle assemblee assurde prive di qualsiasi verità e senso critico, dei fanatici vanagloriosi, del delirio di persecuzione, del paternalismo, dell’ipocrisia, dei custodi volontari della causa, delle antenne perseguitate, del lavoro volontario che sei obbligato a fare se non vuoi noie, di alzare la mano per avere diritto di esistere, degli ordini impregnati di morte e di sangue, di non essere mai abbastanza bravo per meritare un ventilatore…

Mi piace citare un’invettiva a Cuba che l’autore inserisce a pagina 348 e dimostra come la sua critica non sia di taglio capitalistico-imperialista: «Ah Cuba, così vergine, così ricca, quanto ti abbiamo ferita e quanto continueremo a farlo! Sarai invasa dalle grandi catene alberghiere che ci daranno lavoro e cementificheranno le tue coste (già accade! – ndr), le multinazionali sbarcheranno per inondarti di fumo e permetterci di sognare e mangiare meglio. Raggiungeranno i tuoi lidi le libertà inesperte, profane e ignoranti per aver subito tante dittature e tu sarai smarrita, cercando una via d’uscita nelle situazioni estreme come fanno tutti, quasi sempre. Ci perderemo? Un’altra volta? Cazzo, che ansia!»

Nonostante tutti i suoi dubbi Erick decide di lasciare Cuba, respira solo quando dal finestrino vede L’Avana inclinarsi su di lui.

«Ridendo e piangendo, pieno di disgusto e di amore, le dissi addio. Temevo che fosse per sempre ma ero pronto ad accettarlo».

Tutto molto bello. Da leggere subito.

 

Gordiano Lupi


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