Come simboli del disarmo nucleare, dell'aspirazione alla pace, dell'amore per la vita, nel giardino del monastero di Santa Giulia a Brescia (con ingresso da via Musei 81) sono stati trapiantati un aogiri portato da Hiroshima e un kaki arrivato da Nagasaki.
Provengono dalle due città del Giappone che, alla fine della seconda guerra mondiale, furono disintegrate con i loro abitanti dalle bombe atomiche del 6 e del 9 agosto 1945.
I figli degli alberi scampati ai bombardamenti americani sono per i sopravvissuti un simbolo della rinascita, per le nuove generazioni della speranza di crescere in pace nel rispetto dell'ambiente in un pianeta senza bombe atomiche.
C'è un kaki anche a Barbiana, dove don Lorenzo Milani nell'ottobre del 1965 a scuola leggeva le lettere di Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima che vedeva ogni notte donne e bambini bruciare e fondersi come candele, rifiutava i tranquillanti, si considerava «un povero imbecille irresponsabile» per avere obbedito agli ordini individuando la prima città su cui far esplodere l'atomica.
Il prete-maestro poi, partendo dal principio del diritto romano sulla responsabilità in solido (secondo cui mandante e sicario vengono condannati entrambi all'ergastolo, dato che un omicidio non si divide per due) spiegava ai figli dei montanari toscani l'assurdità della posizione dell'aviere che sganciando la bomba atomica aveva disintegrato 200.000 giapponesi, ma tacitava la coscienza dividendo la sua responsabilità con qualche migliaio di altri corresponsabili: aviatori, operai, tecnici, scienziati, politici.
Gruppo don Milani di Brescia